“PLOTONE DI ESECUZIONE”. UNA STORIA IGNORATA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Leggendo il libro di Del Boca,“Maledetta guerra”, Piemme (2015), tra i tanti temi affrontati, mi ha incuriosito il fenomeno dei processi più o meno sommari ai tanti e troppi ragazzi impegnati in una guerra sanguinosa. Del Boca fa riferimento al libro dello storico Alberto Monticone e del giornalista Enzo Forcella, “Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale”, edizioni Laterza, (2014). Il testo gode è di una straordinaria solitudine. Infatti la prima guerra mondiale presenta una bibliografia sterminata, oltre 60.000 titoli, ma uno solo ha analizzato specificatamente le sentenze emesse dai tribunali militari. Questo libro è appunto quello di Monticone e Forcella, che sono riuscito casualmente a leggere perchè prestatomi da un amico.
Le sentenze raccolte in questo volume sono 166, scelte tra circa 100.000, contenute in due fondi dell’Archivio Centrale dello Stato in Roma. Secondo Forcella,“Per circa cinquant’anni l’aspetto punitivo e repressivo della prima guerra mondiale è stato pressoché ignorato dalla cultura italiana. Storici illustri accennavano appena, quando vi accennavano, alle varie manifestazioni del dissenso e ai modi con cui vennero fronteggiate. Da una parte i documenti che avrebbero potuto far luce su queste vicende erano tenuti gelosamente nascosti, dall’altra non v’era neppure l’interesse a disseppellirli”. Le sentenze riguardano, diserzioni, ammutinamenti, discorsi e corrispondenze disfattiste, casi di autolesionismo. Si tratta di un“immenso cimitero di drammi umani”, scrive Forcella nella prefazione.
I documenti pubblicati in questo libro sono delle testimonianze preziose, sino ad oggi ignorate.“Se si eccettuano le poche lettere di combattenti già note (le lettere anticonformiste, bloccate dalla censura o sfuggite al suo controllo, non quelle edificanti dei vari epistolari a sfondo patriottico) e in una certa misura le canzoni ‘proibite’, queste sentenze costituiscono la sola ‘fonte’ non letteraria e non memorialistica per ricostruire la ‘storia coscienziale’ delle classi subalterne durante la prima guerra mondiale, per conoscere e valutare i vari fermenti di opposizione, le ribellioni e le proteste con cui la massa dei contadini soldati reagiva ai sacrifici, alle sofferenze, alle crudeltà che le erano stati imposti”.
E’ l’altra faccia della realtà della guerra, di quelli“che non vogliono combattere o che combattono loro malgrado bestemmiando e piangendo: perchè non condividono le idealità e gli obiettivi della guerra patriottica[…]”. Forcella è abbastanza critico sull’oleografia interventista e smonta il mito che univa le due Italie, un disegno sostanzialmente fallito. Tutti quei contadini delle varie regioni obbligati a combattere da “una minoranza audace e geniale che trascinerà per la gola questa turba di muli e di vigliacchi a morire da eroi[…]”. Combattenti però con “alle spalle gli spettri della polizia militare e di plotoni d’esecuzione”.
Per Forcella“basterebbe una sola fucilazione per mettere a nudo la sostanza autoritaria sulla quale poggia il preteso consenso delle masse combattenti”. Peraltro basta leggere il bando di Cadorna per capire come le autorità militari hanno paura dell’isolamento di fronte alla popolazione e quindi minacciano pesantemente.
In pratica Forcella sottolinea la gravità del numero di tutti quelli che hanno avuto a che fare con la giustizia penale di guerra. Tra il 1915 e il 1918 ci furono 870.000 denunzie all’autorità giudiziaria. “In tre anni e mezzo di guerra circa il 15% dei cittadini mobilitati e il 6% di coloro che risposero alla chiamata prestando effettivo servizio militare furono oggetto di denunzia ai tribunali militari”. Sono cifre che non hanno bisogno di tanti commenti.
Le descrizioni che emergono dalle sentenze sono significative, per esempio,“c’è gente che non solo sfida il plotone d’esecuzione, ma accetta deliberatamente il rischio di rimanere cieca per tutta la vita”, come i 19 contadini zolfatari siciliani che “si presentano all’ospedale con gli occhi pieni di pus blenorragico dopo essersi in precedenza procurati un tracoma strofinandosi gli stessi occhi con indefinibili ‘sostanze caustiche ed irritanti’”. Fenomeno che con il passare degli anni acquista dimensioni di massa, tanto che bisogna istituire in ciascun corpo d’armata degli speciali “Ospedali per autolesionisti”.
Altro capitolo squallido è la censura postale, “uno dei principali collaboratori invisibili della giustizia militare, cioè il canale attraverso il quale tanti combattenti finiscono sotto processo”. Senza trascurare poi la censura preventiva sulla stampa. Infine un altro“collaboratore invisibile” dei tribunali militari di cui fanno spesso riferimento le varie sentenze prese in considerazione dal libro, è l’arma dei RR. Carabinieri, a cui erano affidati i compiti di polizia militare. Praticamente i carabinieri svolgono un ruolo ingrato, a volte si travestono da soldati per carpirne confidenze. In pratica agiscono come una vera e propria polizia segreta. Per questo sono odiati dai soldati.
Sempre nella prefazione, Forcella si interroga sul perche questi soldati si ribellano. Quali sono i sentimenti e le ragioni che inducono migliaia di persone a compiere le azioni che le condurranno davanti ai tribunali di guerra.“In nome di quali valori, nel quadro di quali ideologie affrontano il rischio delle fucilazioni, delle lunghe pene detentive, delle compagnie di disciplina, della vergogna civile?”.
Forcella raggruppa il dissenso in due gruppi: le ribellioni di motivazioni ideologiche-politiche, esplicite o abbozzate come quelle riguardanti il “processo di Pradamano”. E quelle dei comportamenti “che pur non avendo nulla a che fare con la “delinquenza comune”, rispecchiano una opposizione di tipo preideologico e apolitico”.
Nell’ambito della querelle degli interventisti e neutralisti, Forcella fa riferimento ai principali protagonisti delle ribellioni politiche come i socialisti e gli anarchici, ma mancano del tutto i riferimenti all’opposizione cattolica. Anche se secondo gli autori del libro, non c’è stata una vera e manifesta opposizione di cattolici. Per quanto riguarda la gerarchia ecclesiastica, Forcella rileva un atteggiamento favorevole all’inizio della guerra e poi una rassegnata obbedienza. Infine per Forcella, anche la frase che definisce la guerra“inutile strage”, fatta da Benedetto XV, “aveva una portata, per così dire, esclusivamente diplomatica e non intendeva assolutamente costituire un incitamento alla disobbedienza civile e militare”. Anche se per la verità i contadini soldati nelle trincee ne facevano ogni giorno diretta esperienza dell’inutilità della strage e la interpretavano proprio in questo senso.
La giustizia in questa guerra di “massa, con forte caratterizzazione ideologica e con una mobilitazione totale che investe oltre ai membri della popolazione validi per il servizio armato tutta la società civile – per Forcella – è qualcosa di molto relativo”. Il giudice non deve stabilire la verità tra le parti, ma deve dare degli esempi e riaffermare la volontà del governo che ha deciso la guerra. Le norme sono nello stesso tempo rigide ed estremamente elastiche. Si colpisce da una parte con estrema durezza, fino alla pena capitale; dall’altra,“si considera delittuoso qualsiasi comportamento lasciando così ai giudici un amplissimo margine di discrezionalità”. Il famoso bando del generale Cadorna, è un esempio tipico di generalizzazione: sono punibili tutte le espressioni anche generiche: denigrare le operazioni di guerra, disprezzare l’esercito, oltraggiare persone, diffondere certe notizie, etc.
Praticamente è abbastanza eclatante l’agghiacciante episodio dell’aspirante ufficiale che finisce davanti al plotone di esecuzione per aver detto nel corso di una cena con alcuni colleghi in una casa privata che non gli importava niente se i nemici fossero arrivati a Milano. Forse non gli sarebbe toccata questa sorte se non fosse stato di origine tedesca e non avesse lavorato in Germania.
“Al fronte costituisce reato far sapere alla propria famiglia che la guerra sta provocando una quantità di morti”. Addirittura il governo decide e fissa quanti millimetri un giornale deve dedicare agli annunci mortuari. Ecco perchè i giornali devono fare propaganda sminuendo la crudeltà della guerra. “Denunciate alla stampa gli stranieri e gli italiani sospetti”, raccomanda “La Voce”, la rivista fiorentina, diretta da Prezzolini. Praticamente in quarantadue mesi di guerra,“la paura del disfattismo rimbalza continuamente da un capo all’altro del paese, dà il tono alla propaganda, influenza profondamente l’attività della censura e della giustizia militare, diventa una ossessione”.
Nella 1 guerra mondiale emerge una caratteristica che poi sarà presente in tutte le guerre rivoluzionarie ideologiche:“la nuova guerra ideologica, dai suoi combattenti non pretende soltanto obbedienza ma anche entusiasmo, che non si contenta di condannare ma pretende il ringraziamento dei condannati ai quali è stata rivelata la verità e la luce, che trasforma i giudici in una compagnia di predicatori e di pedagoghi”.
Un giovane esponente dell’interventismo ricordava: “la storia ci ha riservato il compito tragico di far trionfare, come i sanculotti francesi, le idee di libertà sulla punta delle baionette”. Il giornalista conclude sottolineando la nefandezza di questi ideali collettivi, che si presentano nel cinquantennio successivo, e che cercano di avanzare sulla punta delle baionette imponendosi con la “solidarietà coatta”. “le pretese di questo tipo avanzate dai ‘sanculotti’ di qualsiasi colore sono davvero tragiche[…]”.
In una nota gli autori specificano che in questa antologia delle sentenze, sono stati omessi i nomi dei condannati, dei quali si danno solo le iniziali, in modo che non possano essere individuati. Questo criterio è stato adottato per un senso di rispetto verso i condannati. Si è fatta eccezione alla regola di tacere i nomi degli imputati solo in due sentenze di natura politica, nelle quali la colpa è rappresentata da una affermazione di ideali. Una di queste è il processo di Pradamano, il più importante processo politico di tutto il conflitto. La sentenza del Tribunale militare prende in esame alcuni centri sovversivi dell’esercito combattente in collegamento con altri centri rivoluzionari dell’interno che avevano lo scopo di diffondere le idee affermate nei convegni socialisti di Kienthal e Zimmerwald, dove si sosteneva l’azione per una pace immediata e senza annessioni. I centri giovanili socialisti dei quali provenivano o a cui avrebbero fatto capo gli imputati erano quelli di Vicenza, Cremona, Schio e Messina.
Con mia sorpresa constato che tra i 19 imputati ci sono un sottufficiale domiciliato a S. Teresa di Riva e un ragioniere domiciliato a Mandanici. Peraltro il militare santateresino risulta abbastanza attivo nel tessere i rapporti con gli altri cosiddetti sovversivi, per questo viene condannato a sette anni di reclusione militare ed alla dimissione del grado.

Domenico Bonvegna
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