Due elementi mi hanno spinto a comprare l’ultimo libro di Alfio Caruso: il titolo, “Con l’Italia mai!”, e l’argomento. Ancor più affascinante è il sottotitolo:“La storia mai raccontata dei Mille del Papa!”. Il merito di Caruso è di aver raccontato soprattutto i fatti, gli episodi che hanno visto protagonisti i cosiddetti zuavi, i soldati del Papa, chiamati così per via dei pantaloni larghi e poi stretti alle caviglie. Anche se a tratti si lascia andare ai soliti luoghi comuni, soprattutto riguardo il potere temporale della Chiesa, i ritardi culturali del Mezzogiorno borbonico, l’endemica arretratezza economica rispetto al florido Nord, il libro di Caruso resta un’opera importante che cerca almeno di rendere onore all’ultimo esercito del Papa. Peraltro, non sono molti i libri che affrontano questo tema, anzi sono abbastanza rari. Tuttavia, Caruso occupandosi dei temi geopolitici dell’epoca, come la fine del Regno delle Due Sicilie, l’esilio romano di Francesco II, il Concilio Vaticano, il brigantaggio e, in generale, i tanti nodi irrisolti dell’unità, riesce ad offrire ottimi spunti per il sano revisionismo, sempre necessario. A questo proposito il giudizio dell’autore è tagliente: «L’Italia è da subito un grande mercato nel quale ciascuno prova a concludere l’affare migliore. A cominciare dai Savoia nessuno ha l’autorità morale per ergersi a custode della nazione; stanno sul trono per una serie di eventi spesso indipendenti dai loro desideri, dalla loro volontà. A differenza di quanto ancor oggi si ripete, non sono stati loro a fare l’Italia, è l’Italia che se li è trovati sul groppone essendo stata l’unica dinastia a guardare oltre i propri confini». I protagonisti del libro sono gli zuavi, soldati e nuovi crociati, che dal 1860 al 1870 si sono impegnati a difendere il Papato. In questo periodo a Roma transitarono volontari di ben ventisette nazioni. In tutto mai superarono le quindicimila unità, ma le scarse disponibilità economiche della casse pontificie non permettevano di mantenere un esercito più grande. I richiedenti furono numerosissimi e alcune fonti parlano addirittura di centomila giovani pronti a partire dal solo Quebec. Le reclute vennero dunque inquadrate in diversi corpi, il più famoso dei quali fu quello degli Zuavi, nato ufficialmente il 1 gennaio 1861 sui resti dei Tiragliatori franco-belgi.
Se andiamo a guardare meglio la composizione di questo esercito eterogeneo, si può constatare uno straordinaria novità: “per la prima volta nella storia, il fabbro bavarese combatteva fianco a fianco con il conte francese, lo studente italiano con l’agricoltore irlandese, l’ex seminarista fiammingo con il cacciatore di bisonti statunitense. Nobili e popolino avevano trovato nella Fede e nella comune causa della difesa del potere temporale della Chiesa un collante così efficace da travalicare qualsiasi steccato sociale. Inoltre, diversi ufficiali che avevano edificato la propria carriera sui più famosi campi di battaglia europei dettero prova di grande umiltà arruolandosi a Roma come soldati semplici, e furono numerosi quelli che rinunciarono allo stipendio per devolverlo in favore di opere pie”. (Luca Fumagalli, “I Mille del Papa: sottane, pastori e anatre selvatiche in difesa di Pio IX”, 28.12.15, Radiospada.org) Uno straordinario esempio di vera e genuina applicazione dell’uguaglianza, e della vera democrazia dal basso e dall’alto. Una risposta efficace a tutti quelli che hanno sempre accusato la Chiesa di assolutismo e di opporsi al moderno progresso. L’altro protagonista è Pio IX, a lungo pontefice, dal 1847 al 1878. Un lunghissimo e travagliato pontificato, dovette soffrire non poco nell’adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche molto odiato e calunniato. Ci sono comunque rinomati storici come l’oblato benedettino, Fabrizio Cannone, il quale ha ricostruito con un supporto impressionante di prove e documenti, la vera figura di Pio IX, in un testo edito dalle Edizioni Ares (2012), “Il Papa scomodo. Storia & retroscena della beatificazione di Pio IX”. Certamente scrive Cannone,“resta difficile scindere gli aspetti religiosi da quelli politici in un Papa-Re, che giudicava necessario il principato temporale per l’esercizio dell’autorità spirituale”. Fu un papa anche profetico quando condannò i pericoli per la fede, derivanti dal razionalismo e dall’indifferentismo, quando accennò addirittura al comunismo, prima ancora della pubblicazione del Manifesto di Karl Marx. Pio IX,“si sentiva profondamente italiano e lo dimostrerà sempre, ma prima ancora si sentiva cristiano e quindi servitore di Dio e della Chiesa”. Interessanti le considerazioni di Caruso sui vari “ismi” condannati nel Sillabo, che poi affliggeranno tutto il XX secolo. Ovviamente Pio IX, pur apprezzando l’amor di patria, non accettava quel nazionalismo esasperato dei più accesi radicali, cercava sempre una via mediana tra i doveri che gli derivavano dall’essere un Sovrano italiano e dall’essere al contempo Capo della Chiesa universale. E’ importante dirimere la questione del potere temporale, ci aiuta il libro di Cannone:“Pio IX era non meno ‘italiano’ degli altri sovrani italiani del tempo e che egli avvertiva la necessità di una qualche unione fra i vari Stati della penisola: l’opposizione radicale e definitiva del papa al Risorgimento nasce infatti da principi altri rispetto a quelli del legittimismo tradizionale”. Sostanzialmente il Pontefice, “credeva assolutamente necessario conservare uno Stato politicamente indipendente per garantire alla Chiesa quell’indipendenza spirituale che altrimenti sembrava lesa o gravemente minacciata. Dall’altro il Papa non fece mai del potere temporale, neppur nei momenti più duri dello scontro, un articolo di fede, ma si limitò a condannare la pretesa incompatibilità tra potere temporale e spirituale, rifiutando nettamente le tendenze cattoliche-liberali che sostenevano la libertà della Chiesa essere avvantaggiata dalla perdita di detto potere”. In occasione della canonizzazione dei martiri giapponesi, nel 1862, Pio IX si espresse con chiarezza:“La S. Sede non sostiene come dogma di fede il dominio temporale, ma dichiara che il dominio temporale è necessario e indispensabile, finché duri questo ordine di Provvidenza, per sostenere l’indipendenza del potere spirituale”. Altri protagonisti della chiamata alle armi pontificie furono il segretario di Stato della S. Sede Giacomo Antonelli, il conte belga Francois-Xavier de Merode, creatore dell’armata pontificia. Poi ci sono i vari comandanti come Kanzler, De Courten, Allet, Azzanesi e Ungarelli, de Charette, che maturarono una lunga carriera nell’esercito pontificio: giovani tenenti nel 1848 durante la difesa di Vicenza a fianco dei soldati di Carlo Alberto, divennero i generali che nel 1870 tentarono l’ultima e disperata resistenza a Roma. Caruso ha il merito di descrivere correttamente l’appassionante vicenda dei volontari di Pio IX; è un passato contraddittorio e scomodo per l’Italia, soprattutto per come è stato risolto dal potere liberale piemontese e savoiardo. Lo storico catanese,“parte dalla loro esperienza individuale per imbastire una narrazione di taglio giornalistico, frizzante e accattivante, che non risparmia elogi e critiche a entrambe le parti in lotta. L’ago della bilancia in ultima istanza sembra però pendere più dalla parte dei militi del Papa per cui l’autore prova una naturale ammirazione”. (Ibidem) Particolareggiate le descrizioni delle battaglie affrontate dagli zuavi a cominciare da quella di Castelfidardo e di Mentana dove Garibaldi e i suoi hanno subito una cocente sconfitta, peraltro l’unica della sua carriera. Al grido plurisecolare di tutti gli eserciti cristiani, “Dio è con noi”, i vari battaglioni zuavi si gettano nella mischia, come a Castelfidardo,“i volontari di Pio IX hanno mostrato di non essere mercenari ubriachi, prevaricatori, assetati di bottino. Hanno tenuto un comportamento esemplare nei rapporti con la popolazione, si sono battuti fino al limite del sacrificio. Da Pesaro a Spoleto, da Castelfidardo ad Ancona, austriaci, belgi, svizzeri, tedeschi hanno gareggiato in valore e stoicismo”. A combattere per Pio IX c’erano grandi e piccoli, le“anatre pazze”, soprannome affibbiato dai romani ai tumultuosi irlandesi, intrattabili dopo aver alzato il gomito in qualche osteria, ma soldati estremamente affidabili in battaglia. Meritano di essere citati anche i“zampitti”, pastori e contadini ciociari che ebbero un ruolo determinante soprattutto nello sgominare le bande di briganti penetrate nel Lazio meridionale. Sudditi fedeli, arruolati soprattutto per la conoscenza del territorio, si rivelarono presto instancabili cacciatori di fuorilegge. E infine, racconta gli ultimi giorni prima di Porta Pia, ben descritti fin nei particolari, con puntuale critica al governo liberale del re Vittorio Emanuele, che contrabbanda la guerra al papa come missione di pace,“in attesa delle bombe ‘intelligenti’, il regno d’Italia cerca d’inventare l’invasione armata da considerare un’opera di bene”. Ma per Caruso, il mondo ha capito chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, chi viola le regole della convivenza civile e chi no. Principi, banditi e uomini di Fede, la storia dei Mille del Papa si concluse a Roma il 20 settembre 1870.“Lo stato maggiore papalino, su consiglio di Pio IX, puntò a una resistenza poco più che simbolica. Qualche cannonata, alcune decine di morti e la città si arrese: la rivoluzione italiana alla fine aveva trionfato. I reparti pontifici, il cui bivacco si trovava in piazza San Pietro, alla sera cantarono per l’ultima volta “L’inno a Pio IX” composto da Charles Gounod; il giorno dopo avrebbero dovuto abbandonare la Città Eterna, condannati fino alla morte a vivere la misera condizione di stranieri in patria. L’unica consolazione che dava alla piazza ancora la forza di abbozzare un sorriso tra le lacrime era quella che, almeno in cielo, Qualcuno si sarebbe ricordato di loro”. Complessivamente il libro tende all’oggettività, la bibliografia è scarna, ma con mia meraviglia, viene spesso citata l’opera dell’irlandese Patrick Keyes O’Clery, “La rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione”, edizione Ares, (2000). E questo è un bene, perchè O’Clery ha vissuto in prima persona quegli anni, infatti, si era arruolato per l’ultima battaglia in difesa del papa. Il libro di O’Clery, è certamente un’opera tra le più complete che ho letto sul risorgimento italiano. Caruso fa bene a sottolineare che l’opera purtroppo è stata per lungo tempo ignorata dalla nostra storiografia; ed è grazie alla gloriosa casa editrice Ares che abbiamo potuto leggere l’intera opera di quasi 800 pagine.
Domenico Bonvegna
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