In questi giorni oltre ai campionati di calcio per professionisti iniziano quelli per i dilettanti. Dedico queste riflessioni soprattutto ai gruppi dilettanti che ogni anno si preparano per affrontare al meglio ogni competizione sportiva. C’è una preparazione agonistica del corpo, ma anche dello spirito, anche se questa spesso viene trascurata. Molto si è scritto sul significato e l’importanza dello sport, delle attività sportive, spesso si rischia di fare i soliti discorsi retorici su come si dovrebbe affrontare la pratica sportiva. Ma capita anche dimenticare facilmente quali devono essere i comportanti essenziali, elementari di una sana partecipazione ad un gruppo, a una squadra di calcio.
Per chi è cattolico e per giunta insegnante, occuparsi di sport non è un puro esercizio mentale. Da tempo si parla di emergenza educativa, in una società che ha perso ogni riferimento ai veri valori, lo sport può avere un ruolo decisivo soprattutto per gli adolescenti, per ricostruire una società migliore.“Lo sport è importante in questa opera di ricostruzione soprattutto per due motivi:1. Perché si fonda sul concetto di ‘ordine’. 2. Perché si fonda sul concetto di ‘agonismo’” (C. Gnerre, “Cristiano, cioè sportivo. Sportivo, cioè cristiano”, giugno 2014, Il Timone) L’ordine nello sport non è un optional, al contrario è fondamentale. Ogni sport ha le sue regole ben precise, che devono essere oggettivamente rispettate.“Altro che relativismo e soggettivismo! Altro che uomo che si crede fondamento di tutto!”. Praticamente, “l’uomo impara dallo sport che cos’è la vita. Impara un reale che gli si impone e che non può ricostruire a piacimento. Impara ad accettare un giudizio al di sopra di sè”. Per quanto riguarda l’agonismo, esso è qualcosa che rimanda alla “gara” e alla “vittoria”. Certamente nello sport devono partecipare tutti, nessuno si deve sentire escluso, però alla fine uno vince e l’altro perde, come nella vita, c’è chi si realizza e chi fallisce.
Pertanto, l’esperienza della vittoria e della sconfitta, sono il paradigma della nostra vita. Infatti lo sport ci educa alla gioia misurata nella vittoria, sapendo che è solo un momento e, nello stesso tempo, a non deprimerci eccessivamente nella sconfitta proprio perché la vita può riservarci altre possibilità.
Il cristiano sa che deve combattere nella vita,“non si può essere cristiani senza il desiderio di affrontare coraggiosamente l’avventura della vita, che è poi avventura della prova”. Infatti il Cristianesimo è la religione che meglio di altre ha capito il valore dello sport per l’educazione,“perché è la religione che più si fonda sul concetto di ‘agonismo’”. Tuttavia lo sport non ammette deleghe: è l’atleta che deve gareggiare, è lui che deve sentire il peso e l’onore della gara, è lui che deve raggiungere il traguardo. La stessa cosa accade nella vita, è l’uomo con la sua libertà che sceglie il bene o il male. Ma perché la Chiesa si interessa allo sport? L’educazione è il motivo centrale, e lo dimostrano realtà come le parrocchie, gli oratori, la storia delle stesse associazioni promotrici, oltre al Magistero dei Papi e dei Vescovi che nel corso dei decenni hanno variamente parlato dell’importante valenza educativa dello sport per la crescita integrale della persona. «Che cosa è lo“sport” se non una delle forme della educazione del corpo? Si interrogava Pio XII,“Ora questa educazione è in stretto rapporto con la morale. Come potrebbe la Chiesa disinteressarsene?». Pio XII, percepiva lo sport come educazione della persona, un efficace antidoto contro la mollezza e la vita comoda, risveglio “del senso dell’ordine, educazione all’esame e alla padronanza di sé”. Ma il Papa sportivo per eccellenza è stato San Giovanni Paolo II; infatti per lui,“il senso di fratellanza, la magnanimità, l’onestà e il rispetto del corpo – virtù indubbiamente indispensabili a ogni buon atleta – contribuiscono all’edificazione di una società civile dove l’antagonismo si sostituisca all’agonismo, dove allo scontro si preferisca l’incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale”. Mentre per papa Ratzinger, lo sport, in particolare il calcio è una scuola di fraternità e di amore. Il gioco,“soprattutto nei minori, ha un carattere di esercitazione alla vita. Anzi, simboleggia la vita stessa e la anticipa, in una maniera liberamente strutturata”. Inoltre,“costringe l’uomo a imporsi una disciplina da ottenere con l’allenamento e la padronanza di sé”. Sempre per quanto riguarda il calcio, Benedetto XVI, insegna un disciplinato affiatamento. Infatti, in quanto gioco di squadra per eccellenza, costringe all’inserimento del singolo nella squadra e unisce i giocatori con un obiettivo comune: il successo o l’insuccesso di ogni singolo giocatore stanno nel successo o nell’insuccesso dell’intera squadra”. Quindi, questo sport, rappresenta“una scuola importante per educare al senso del rispetto dell’altro”. Infine papa Francesco anche se non ha mai praticato discipline sportive, al contrario del dinamico papa Wojtyla, è abbastanza sensibile all’universo sportivo; infatti é tifoso della squadra argentina, del "San Lorenzo de Almagro". Papa Francesco, in occasione del 70.mo anniversario del Centro Sportivo Italiano, ha apprezzato l’impegno e la dedizione nel promuovere lo sport come esperienza educativa. Egli crede che per avere una società a misura di uomo, occorra intraprendere per le giovani generazioni tre strade: quella dell’educazione, dello sport e del lavoro.“Se ci sono queste tre strade, io vi assicuro che non ci saranno le dipendenze: niente droga, niente alcol. Perché? Perché la scuola ti porta avanti, lo sport ti porta avanti e il lavoro ti porta avanti. Non dimenticate questo. A voi, sportivi, a voi, dirigenti, e anche a voi, uomini e donne della politica: educazione, sport e posti di lavoro!” Un altro fattore importante nello sport, forse decisivo è la presenza di un buon allenatore-educatore, per papa Francesco questo fattore“si rivela provvidenziale soprattutto negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando la personalità è in pieno sviluppo e alla ricerca di modelli di riferimento e di identificazione; quando si avverte vivamente il bisogno di apprezzamento e di stima da parte non solo dei coetanei ma anche degli adulti; quando è più reale il pericolo di smarrirsi dietro cattivi esempi e nella ricerca di false felicità. In questa delicata fase della vita, è grande la responsabilità di un allenatore, che spesso ha il privilegio di passare molte ore alla settimana con i giovani e di avere grande influenza su di loro con il suo comportamento e la sua personalità. L’influenza di un educatore, soprattutto per i giovani, dipende più da ciò che egli è come persona e da come vive che da quello che dice”. (Messaggio del Santo Padre al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici in occasione del Seminario Internazionale di studio “Allenatori: educatori di persone”, Vaticano,14.5.2015) Papa Francesco invita tutti a mettersi in gioco, senza paura, con coraggio ed entusiasmo:“Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareggio” mediocre, dare il meglio di sé stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre. Non accontentarsi di queste vite tiepide, vite “mediocremente pareggiate”: no, no! Andare avanti, cercando la vittoria sempre!” Il papa conclude dicendo di non chiudersi indifesa, ma di andare all’attacco“a giocare insieme la nostra partita, che è quella del Vangelo”. E’ bello continuare a citare papa Francesco, che anche in questa occasione sa essere convincente.
“Invito tutti i dirigenti e gli allenatori ad essere anzitutto persone accoglienti, capaci di tenere aperta la porta per dare a ciascuno, soprattutto ai meno fortunati, un’opportunità per esprimersi. E voi, ragazzi, che provate gioia quando vi viene consegnata la maglietta, segno di appartenenza alla vostra squadra, siete chiamati a comportarvi da veri atleti, degni della maglia che portate. Vi auguro di meritarla ogni giorno, attraverso il vostro impegno e anche la vostra fatica. Vi auguro anche di sentire il gusto, la bellezza del gioco di squadra, che è molto importante per la vita. No all’individualismo! No a fare il gioco per se stessi. Nella mia terra, quando un giocatore fa questo, gli diciamo: “Ma questo vuole mangiarsi il pallone per se stesso!”. No, questo è individualismo: non mangiatevi il pallone, fate gioco di squadra, di équipe”. Spesso per vincere occorre il gioco di squadra, essere alleati anche con chi ha un altro stile, strategia, o gioca un altro ruolo. A questo proposito, Monsignor Camisasca, ex cappellano del Milan, ora vescovo, sostiene che in una squadra di calcio, è necessario “ accogliere l’altro per i suoi doni e saper mettere a frutto i doni in un concerto reciproco in cui ciascuno, come uno strumento diverso, suona per far echeggiare un’unica melodia”. In conclusione possiamo fare nostra la “buona battaglia” di San Paolo; del resto lo sport deve sempre rimandare chiaramente a Dio, nostro Creatore. In tal senso, l’apostolo Paolo ricorre all’immagine della competizione sportiva per ricordare la più alta vocazione dell’uomo:“Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Ogni atleta però è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura sempre” (1Cor 9, 24-25).
Domenico Bonvegna
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