Ora anche l’Istat lo dice: rendendo pubbliche le cifre degli stipendi in Italia, risulta che i dipendenti della pubblica amministrazione rappresentano la “Cenerentola”tra i lavoratori italiani. Nell’ultimo anno, infatti, tra novembre 2015 e novembre 2016, se le retribuzioni contrattuali orarie hanno fatto registrare uno striminzito incremento tendenziale dello 0,5% per i dipendenti del settore privato (0,3% nell’industria e 0,8% nei servizi privati), la variazione è stata addirittura nulla per i dipendenti pubblici. Tanto è vero che è stato registrato l’incremento più basso dall’inizio delle serie storiche, il 1982, quindi degli ultimi 34 anni. Ma non è tutto: sempre l’Istituto Nazionale di Statistica spiega, infatti, che se in media un lavoratore della nostra Penisola con il contratto scaduto aspetta 3 anni e mezzo per il rinnovo (42,1 mesi a novembre), l’attesa raddoppia per i dipendenti pubblici, ossia ben 83 mesi.
“A rendere ancora più intollerabile la situazione – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – è il fatto che negli 83 mesi di vacanza contrattuale non sia stata corrisposta ai lavoratori statali nemmeno quell’indennità prevista per legge, al fine di non far scendere sotto l’inflazione le buste paga dei lavoratori: dall’inizio del 2009 doveva, infatti, essere pagata almeno al 50 per cento rispetto al costo della vita. Così non è andata e oggi ci ritroviamo con gli stipendi pubblici sovrastati anche dall’inflazione di quasi il 20 per cento. Con l’intesa politica per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, sottoscritta a fine novembre, che se verrà tradotta nel contratto, non solo porterà cifre ridicole nelle tasche dei dipendenti pubblici, ma nemmeno sanerà la mancata assegnazione dell’indennità prevista in mancanza di contratto”.
Il sindacato fa notare, inoltre, che la stessa indennità potrebbe essere negata per altri cinque anni, fino al 2021. Nell’ultimo Documento di Economia e Finanza si prevede, infatti, non solo una moderata crescita delle retribuzioni per l’anno 2016 (1,4 per cento) e una riduzione delle medesime per gli anni 2017 e 2018 (rispettivamente -0,8 e -0,2 per cento), per poi stabilizzarsi nel 2019, con l’indennità di vacanza contrattuale tutta da valutare. Venir meno al suo pagamento, come è stato fatto negli ultimi sei anni, significa quindi non applicare la normativa vigente in materia di tutela retributiva del pubblico impiego, a partire dall’articolo 2, comma 35, della Legge n. 203/2008, dalla legge finanziaria 2009 e anche dalle disposizioni previste dal Decreto Legislativo 150/2009.
“Per tutti questi motivi – continua Marcello Pacifico – Anief ha deciso che ricorrerà in tribunale: l’obiettivo dichiarato è quello di fare assegnare, a partire dal mese di settembre 2015, come indicato dalla sentenza della Consulta dell’estate dello scorso anno, almeno la quota d’indennità di vacanza contrattuale allineata mensilmente al 50 per cento dell’aumento dell’inflazione: in media, si tratta di incrementi che superano i 2.500 euro netti a dipendente pubblico.
Pertanto, Anief, come Cisal e Radamante, intende permettere a tutti i dipendenti pubblici di chiedere l’adeguamento di indennità di vacanza contrattuale al vero costo della vita, quello certificato dal ministero: ciò comporterà aumenti degli stipendi, per almeno il 10% nelle buste paga. Per richiedere, pertanto, l’adeguamento dei valori dell’indennità di vacanza contrattuale alla metà dell’inflazione, come registrata a partire dal settembre 2015 rispetto al blocco vigente dal 2008, basta cliccare s