La vergogna dei rifiuti

È sempre più spaccata tra ricchi e poveri la Sicilia che tra qualche mese tornerà a votare per le Politiche regionali. Lasciandosi alle spalle una “legislatura grigia, anzi quasi nera”, emblematicamente rappresentata dalla Finanziaria cosiddetta light che Palazzo dei Normanni ha varato qualche giorno fa. Anche quest’anno dopo quattro mesi di esercizio provvisorio. “Né più né meno che un’aspirina – dice Mimmo Milazzo, segretario in carica della Cisl Sicilia – somministrata da una politica allo sbando al malato grave che resta la Sicilia”. “All’Isola servirebbero 400 mila nuovi posti di lavoro nel giro di qualche anno”, afferma. “E servirebbero più investimenti e meno burocrazia. Ma la politica ha ben altre priorità. Tanto più ora, sotto elezioni”. Milazzo apre così, a Palermo, il XII congresso regionale della confederazione sindacale che vedrà, domani, l’intervento della leader nazionale Furlan. E precisa: “In Sicilia il reddito medio più elevato percepito dal 20% più ricco dei siciliani è 8,3 volte maggiore del reddito medio più basso su cui può contare il 20% più povero. E il rischio povertà ed esclusione sociale incombe sul 55% della popolazione”. Negli ultimi due anni il Pil regionale è cresciuto, complessivamente, del 3,6%. L’anno scorso di un 1%, un po’ più del dato nazionale (+0,9%). E anche per quest’anno si stima un +1. “Ma il segno positivo non recupera gli oltre 13 punti percentuali persi negli anni della depressione più nera, dal 2008 al 2015”. Così il reddito medio familiare, in Sicilia, “resta al di sotto di 21 mila euro e oltre il 50% delle famiglie non arriva a un reddito di 18 mila euro annui, meno di 1.500 euro al mese”. Inoltre la disoccupazione giovanile viaggia sopra alla soglia esplosiva del 57%. Insomma, l’Isola che in autunno andrà a votare per Palazzo dei Normanni e Palazzo d’Orleans, “è sempre appesa al filo delle sue contraddizioni strutturali”: dalla povertà ai rifiuti alla pubblica amministrazione ai settori produttivi in affanno. Ai temi delle autonomie locali, dei precari, dei fondi Ue, delle Partecipate e della formazione.
Una Sicilia lontana anni-luce, in una parola, dalla realtà economica e sociale del Paese. Ma è “a questa Sicilia che avrebbe bisogno di una svolta che non può essere affidata a un Collegato sotto elezioni”, che guarda la relazione con cui Milazzo poco fa ha dato il via all’assise quadriennale della Cisl. Tema: ‘Il lavoro, le persone, la comunità in cerca di futuro‘. A prendervi parte, 400 persone arrivate nel capoluogo dalle nove province dell’Isola. Sono 280 i delegati in rappresentanza dei 305 mila 958 iscritti; 174 i componenti del consiglio regionale che domani, a conclusione della due giorni di lavori, porranno nell’urna la scheda del voto, previsto a scrutinio segreto, per l’elezione del segretario e della segreteria che guideranno la Cisl siciliana nei prossimi quattro anni.
E che lo stato dell’arte dell’economia e della società in Sicilia non consenta di tirare il fiato, ne sono prova, secondo Milazzo, il dato della domanda interna (tornata a crescere ma di un punto scarso); quello della spesa media mensile familiare (con 1.824 euro, inferiore del 10% alla media del Mezzogiorno). E alcuni parametri dell’andamento sociale e dell’economia. Milazzo li passa in rassegna, soffermandosi sui principali temi sul tappeto. Ma complessivamente i dati esaminati fanno dire al segretario che “la Sicilia è il fanalino di coda del Paese”. Per questo “a Palazzo Chigi chiediamo di non archiviare la pratica Sud”. E a Palazzo d’Orleans, un cambiamento nell’azione di governo già in questi mesi. E dopo l’appuntamento elettorale d’autunno, “un colpo d’ali al governo che verrà”. Perche la Sicilia va portata fuori da questa “lunga notte in cui tutte le vacche sono nere”. Al riguardo è tranchant, in una parola “assolutamente negativo”, il giudizio politico della Cisl sul governatore Crocetta, che dopo la pausa estiva taglierà il traguardo del quinquennio alla guida della Regione. “La Sicilia – si legge nella relazione di Milazzo – ha bisogno di una rivoluzione vera, non parolaia. Di una strategia della corresponsabilità che abbia al centro i temi dello sviluppo e della coesione sociale e che alzi un argine contro l’improvvisazione e l’approssimazione che troppo spesso, in questi anni, hanno caratterizzato l’azione dell’esecutivo regionale. Troppo spesso ispirata alla logica, senza visione, dell’uomo solo al comando”. E puntualizza ancora, la Cisl, che “intendiamo lavorare assieme, con Cgil e Uil, perché il futuro della regione sia migliore del presente e del passato”. “Con Cgil e Uil – dice Milazzo – intendiamo valorizzare il rapporto unitario e l’impegno sindacale congiunto che da sempre caratterizzano le nostre organizzazioni”.
Ma ecco, uno per uno, i passaggi-chiave della relazione.

Il Patto per la Sicilia. Firmato ad Agrigento il 10 settembre di un anno fa da Governo nazionale e Regione, l’intesa è una sorta di hardware che manca però di software aggiornato. Ossia, delle capacità tecnico-progettuali che sono “l’anello debole della filiera istituzionale”. Così, la spesa effettiva ad oggi non va oltre un paio di punti in percentuale. E così, denuncia la Cisl, “rischiano di affondare nella palude delle lentezze e delle strozzature della burocrazia, 5,745 milioni di euro che dovrebbero essere spesi per opere cantierabili entro la fine di quest’anno”. Tra l’altro, 800 milioni destinati ad arginare il dissesto idrogeologico e l’erosione delle coste e ad assicurare il ripristino di agibilità delle scuole. Ma in gioco, rimarca Milazzo, c’è specialmente la rete-colabrodo delle infrastrutture regionali. Per questo la Cisl ha proposto al Governo della Regione di costituire, con la legge di bilancio 2017 o con il disegno di legge collegato che arriverà all’Ars tra qualche giorno, un Fondo per la progettazione di oltre 10 milioni a sostegno, in tutte le fasi, delle attività progettuali di Comuni, Liberi Consorzi e Città metropolitane.

L’intesa con lo Stato e l’autonomia finanziaria. A seguito dell’accordo del 20 giugno 2016, la Sicilia non incasserà più imposte generate nel suo territorio ma otterrà trasferimenti di risorse dallo Stato, sulla base di quote predefinite. È una svolta che nelle casse della Regione porterà, per il 2016, il 56,1% dell’Irpef pagata dai siciliani; per il 2017 il 67,4% mentre per il 2018 la quota prevista è del 71%. Così, denuncia Milazzo, rispetto alle previsioni statutarie, “la Sicilia perde mediamente il 29% delle proprie entrate fiscali”. E questo muterà profondamente la struttura della sua economia, assieme all’impatto che produrrà un’altra importante riforma: quella datata 2015 sulla nuova contabilità pubblica, che impone tra l’altro il bilancio consolidato a tutte le realtà pubbliche territoriali e alla stessa Regione. “L’accordo Stato-Regione e la nuova contabilità pubblica – rileva il segretario – disegnano un contesto che, in assenza di una lungimirante governance politica, rischia di aggravare le tante emergenze aperte”. “È per questo che abbiamo ripetutamente chiesto la corretta elaborazione del documento di programmazione economica finanziaria e la sua trasposizione numerica nel bilancio della Regione. Così non è avvenuto e la finanza pubblica regionale, lungi dall’essere leva di sviluppo attraverso la corretta distribuzione delle risorse, costituisce motivo di impoverimento della Sicilia e dei siciliani”.

La vergogna dei rifiuti. Nel quinquennio dell’attuale legislatura, si legge nella relazione di Milazzo, il sistema dei rifiuti in Sicilia è profondamente degenerato. E “l’Isola è oggi l’unica regione d’Italia senza impianti per la trasformazione degli scarti in energia”. Secondo dati forniti dalla Regione, spiega il segretario, la raccolta differenziata in Sicilia si attesta sul 20%. Ma secondo altri indicatori, la percentuale è assai più bassa. Inoltre il conferimento in discarica, “una forma ormai preistorica di raccolta”, continua a costituire la modalità predominante di smaltimento, pari all’83%: un abisso rispetto al 16% della media Italia. A produrre la palude, osserva Milazzo, anche l’oscillazione permanente di Governo e politica tra le indicazioni di Roma (due impianti di incenerimento per smaltire 700 mila tonnellate di rifiuti urbani) e le opzioni di Palazzo d’Orleans: più impianti, con la motivazione di ridurre l’impatto e i costi di trasporto. La conseguenza è però che la Sicilia manca ancora adesso di un piano aggiornato, nonostante il timido tentativo con cui nel luglio 2016 il Governo della Regione ha presentato all’Ars una proposta di riordino della filiera. “Noi – afferma Milazzo – siamo fortemente convinti della urgenza di un piano regionale che preveda avanzati sistemi di trasformazione e al quale dovranno seguire i piani d’ambito, per la disciplina del ciclo integrato”.

“I costi del non fare”. La Sicilia, informa la Cisl, guida la classifica nazionale per regioni, delle opere incompiute. Sono ben 149 sul totale nazionale di 838. In pratica, il 17,5% del totale Italia. Complessivamente “il valore delle incompiute siciliane è di quasi 500 milioni di euro mentre ne servirebbero altri 213 almeno per avviare il completamento. Ma questa cifra – afferma Milazzo – è destinata a lievitare di anno in anno, se non si riparte”. E non è difficile comprendere che il rilancio dell’economia passa per lo sblocco di queste attività.

La rete delle infrastrutture. Per quelle stradali, sostiene il segretario Cisl, servirebbe “un soggetto unico per la gestione di tutte le tratte siciliane”. La nuova società, che curerebbe 700 chilometri di autostrade, sarebbe “più efficace ed efficiente dell’attuale situazione di competenze diffuse”. Per la precisione, l’Anas, insiste Milazzo, dovrebbe avere la maggioranza delle quote (il 51%) e la guida industriale. Alla Regione dovrebbe restare l’indirizzo strategico degli investimenti. Pertanto, “invitiamo l’Ars a riesaminare in fretta il tema e a dare un risposta alla questione”, aggiunge il segretario. Sul fronte delle infrastrutture ferroviarie, informa la relazione che delle 24 principali opere programmate per la Sicilia, solo quattro risultano ultimate; cinque sono in corso d’opera. Delle rimanenti 15, “molte sono agli studi di fattibilità o alla progettazione preliminare”. Insomma, “siamo a mare” sbotta Milazzo. Perché i tempi previsti per il completamento vanno dal 2020 al 2025. Così, “ci toccherà aspettare anni e anni per avere una rete ferroviaria degna di questo nome”. E non è certo una bella prospettiva se si pensa che la Sicilia ha solo 180 chilometri di linee a doppio binario su un totale di 1.379 e che il 41,9% del binario non è elettrificato. Inoltre, tra le tratte in attesa c’è la Palermo-Messina–Catania, inserita fra le infrastrutture strategiche del Paese e per la quale si prevede l’assegnazione di 8,9 miliardi per qualcosa che dovrebbe avvicinarci all’alta velocità.

L’economia del mare. Il trasporto marittimo, sottolinea Milazzo, è fondamentale anche per l’internazionalizzazione dell’economia siciliana. Tra movimentazione di merci e persone, l’anno scorso i porti siciliani hanno gestito qualcosa come il 13,4% del totale nazionale delle merci e il 20% del trasporto di persone. Il valore di questa fetta di economia è tutt’altro che trascurabile, rimarca il sindacato. Per il traffico merci, è pari a 20 miliardi di euro (di cui il 67% prodotti petroliferi). Il movimento di persone si calcola generi un giro d’affari di 1,3 miliardi di euro. Insomma, “vanno messe a frutto – sottolinea il segretario Cisl – le misure di sostegno che derivano dal riconoscimento della condizione di insularità della Sicilia”.

L’insularità. Per decisione del Parlamento europeo datata 4 febbraio 2016, alla Sicilia e alla Sardegna, ricorda Milazzo, sono riconosciute le particolari condizione di disagio legate alla loro dislocazione geografica. Queste opportunità, per la Cisl vanno colte al volo recuperando anche i ritardi accumulati. Tra l’altro andrebbero, rivendicata una fiscalità compensativa capace di attrarre investimenti; e grazie ai minori vincoli e alle maggiori chance legati al principio della continuità territoriale, promossa “una zona franca fiscale e doganale integrale, nel territorio siciliano”. Quest’area, ripete Milazzo, permetterebbe di “promuovere il ruolo della Sicilia nelle relazioni economiche con i paesi del Maghreb e in generale del Mediterraneo, attribuendo all’Isola la funzione di porta economica d’Europa”. Inoltre, darebbe una spinta al superamento pure del gap occupazionale che separa la Sicilia dalla media delle altre regioni Ue. Secondo dati Eurostat di qualche giorno fa, infatti, l’Isola nel 2016 ha riportato un tasso di disoccupazione di oltre il 22, sopra al doppio della media europea. Così rendendo evidente, da una parte che l’insularità è una concreta penalizzazione; dall’altra che “i governi regionali che fin qui si sono susseguiti non sono stati in grado di valorizzare l’Autonomia statutaria di cui la Regione ha finora goduto”.

Città metropolitane e Liberi Consorzi. Sono nati ma sono figli di un guazzabuglio politico-istituzionale che ha visto succedersi in pochi anni ben quattro interventi legislativi. In pratica, osserva Milazzo, la confusione istituzionale su questo tema ha raggiunto i limiti della “vera e propria calamità”. E oggi la Regione si ritrova con questi enti sull’orlo del default. Per il prelievo forzoso imposto alle ex Province dalla Finanziaria 2015 (190/2014) con l’intento dichiarato di risanare il debito pubblico; e a causa del mancato trasferimento alle Regioni a statuto speciale delle risorse del fondo perequativo nazionale, destinate solo a quelle a ordinarie. Il risultato è un impatto devastante sul piano del funzionamento delle comunità territoriali. Ne sono esempi, punta il dito il segretario Cisl, lo stato della viabilità cosiddetta secondaria (provinciale); la situazione dell’edilizia scolastica. La vicenda del trasporto degli alunni con disabilità. Ancora, la questione dell’assistenza ai non vedenti. E anche il mancato pagamento per diversi mesi delle retribuzioni al personale dipendente. Unico aspetto positivo della vicenda, per la Cisl è che le tre Città metropolitane alla fine siano nate. E che per quella di Messina sia stata prevista anche la possibilità di accordi di prossimità con la Città metropolitana di Reggio Calabria.

La programmazione Ue. Riguardo al nuovo ciclo di programmazione, il 2014-2020, “non è stato ancora speso quasi nulla delle risorse previste se non piccolissime quote a valere sui fondi Pac, Programmazione agricola e coesione”, spiega Milazzo aggiungendo che quanto si facendo è molto poco. E che è necessario accelerare il passo. Non solo sul piano dei bandi. “Proponiamo – dice – di prolungare l’arco di tempo che va dalla pubblicazione del bando alla scadenza per la presentazione dei progetti, che attualmente è di 30 giorni”. Questo lasso di tempo, infatti, appare troppo breve per produrre la documentazione richiesta e “sorge il dubbio che sia stato pensato proprio per consentire l’impresa solo a chi sia dentro ai meccanismi e disponga di coperture e agganci politici”.
Altro tema, il PO Fesr che vale 4.557,9 milioni di euro. Anche qui la Regione registra ritardi rispetto alla pubblicazione dei bandi e alla spesa dei fondi. Ma in base alle regole Ue, che fissano un obiettivo di spesa intermedio per il ciclo di programmazione, entro il 31 dicembre 2018, segnala Milazzo, la Regione dovrà spendere 891 milioni, pari al 18% del PO Fesr. Il rischio, dunque, è la decurtazione per il successivo ciclo (2021-2028), del 30% di quanto assegnato per l’attuale. “Un rischio che la Sicilia non merita di correre”.

Le reti d’impresa. Sono forme di coordinamento tra aziende, per ottenere più forza e competitività sul mercato. Ma in Sicilia, segnala la Cisl, i contratti di rete tra imprese, nonostante le chance che la formula offre, sono pochissimi: appena lo 0,07% delle attività imprenditoriali è organizzata a rete. Inoltre nella classifica delle regioni d’Europa la Sicilia è agli ultimi posti per vivacità tecnologica (241 su 263 regioni), per innovazione (230 su 263) e per livello delle infrastrutture (207 su 263). E quanto alla competitività complessiva, si colloca al 237esimo posto su 263 regioni europee; al 256esimo per istruzione superiore; al 248esimo per efficienza del mercato del lavoro. “Tutti elementi che misurano l’arretratezza della nostra terra”, denuncia Milazzo per il quale “servono robuste misure di sostegno al credito delle imprese e l’ammodernamento e lo snellimento delle procedure della pubblica amministrazione. Se ci si fosse già mossi in questo senso, non staremmo qua a piangerci addosso”.

Migranti non solo in entrata. La Sicilia, si legge nella relazione d’apertura, è la prima regione d’Italia per numero di emigranti e si calcola che fra Agrigento, Palermo e Catania, siano più di 100 mila coloro i quali siano andati a vivere e lavorare altrove. Insomma, l’Isola è terra di sbarchi. È terra di accoglienza. Ma è anche terra di addii, in qualche caso di arrivederci. È negli ultimi anni che s’è registrata l’accelerazione del fenomeno migratorio in uscita, a fianco di quello in entrata, segnala la Cisl. Ma rispetto alla migrazione di alcuni decenni fa, a fare la valigia e andare altrove in cerca di fortuna, oggi sono siciliani dal livello d’istruzione medio-alto, per lo più giovani. Nell’ultimo decennio, spiega Milazzo, sono partiti quasi 70 mila laureati di cui più o meno la metà è rimasta “nelle regioni e nei Paesi in cui ha trovato opportunità d’inserimento lavorativo e sociale”. “È facile comprendere – chiosa il segretario – quanto questo fenomeno sia un fattore d’impoverimento della Sicilia, sia dal punto di vista sociale che economico e culturale”.

Mafie, agromafia. Cultura della legalità. La criminalità mafiosa nelle sue multiformi manifestazioni è stata per decenni, secondo la Cisl, un’ipoteca accesa sulle chance di sviluppo economico e sociale della regione. “A partire dal Primo maggio di settant’anni fa” quando la strage di Portella della Ginestra inaugurò il mix esplosivo di banditismo e interessi criminali e obliqui, che ha segnato la storia siciliana. “Per questo – ricorda il segretario – qualche giorno fa, proprio a Portella, abbiamo celebrato l’anniversario dell’eccidio con i leader nazionali di Cgil Cisl e Uil”. “Per le stesse ragioni ricordiamo commossi, ora, l’attentatuni del 23 maggio del ’92 che a sua volta ha segnato profondamente la nostra storia. E assieme a Falcone e Borsellino, i tanti altri ammazzati in Sicilia dalla criminalità mafiosa”. Ma per Milazzo, la piaga che oggi particolarmente colpisce la Sicilia e il suo tessuto produttivo, si chiama agromafia: “una forma di economia illegale che unisce criminalità mafiosa e produzioni agricole di qualità ma anche falsificazione di marchi e certificazioni di origine di prodotti agroalimentari, per un volume d’affari che si stima oscillante fra i 14 e i 17 miliardi di euro l’anno”. Nell’Isola, sottolinea il segretario, sono diversi i siti nei quali uomini, donne e immigrati di tutte le età vivono segregati di fatto e vittime di abusi e sfruttamento. E nella logica dell’emancipazione dalla schiavitù, e dello sviluppo produttivo, Milazzo rilancia l’idea di una “banca della terra che potrebbe far leva sull’assegnazione di terreni demaniali ai giovani che volessero creare imprese e promuovere lavoro”.

La messa in sicurezza delle scuole. Dei 4.260 istituti scolastici censiti in Sicilia, solo il 40%, si legge nella relazione, non richiede interventi di manutenzione di rilievo. Il restante 60% ~mostra “notevoli criticità strutturali” e necessita di interventi di manutenzione totale o parziale. Inoltre, nel 10% degli edifici vi sono pericolosissime coperture di amianto; il 90% non dispone di certificato di prevenzione incendi. Solo il 30% è in possesso del certificato di collaudo e agibilità. Ancora, il 75% non è stato progettato né adeguato alla normativa antisismica e solo nel 17% delle scuole risultano svolte verifiche antisismiche. Appena il 26% degli istituti siciliani, poi, è stato costruito con criteri antisismici mentre le scuole collocate in aree sismiche sono addirittura il 78,3%. Pertanto, al governo regionale la Cisl indirizza una “calda sollecitazione ad accelerare sul fronte dello stanziamento, al momento solo annunciato”, di 160 milioni per un maxipiano di verifiche dello stato di salute degli edifici scolastici. Senza le verifiche del caso, infatti, non potrà essere cantierata alcuna opera di messa in sicurezza.

Imparare lavorando, lavorare imparando. Dallo scorso anno scolastico, la legge di riforma cosiddetta della Buona scuola, la 107 del 2015, rende obbligatori i percorsi di alternanza scuola-lavoro, sul modello organizzativo già sperimentato in altri Paesi. “Ancorato com’è il nostro sistema alla logica del prima si studia, poi si lavora, la legge ha aperto a una sorta di rivoluzione, in primo luogo culturale”, osserva Milazzo. Concretamente vuol dire che, ad esempio, gli studenti dei licei dovranno svolgere 200 ore di alternanza, 400 ore quelli degli istituti tecnici e professionali. Ma c’è un ma. “Il nostro tessuto economico – si legge nella relazione – è prevalentemente popolato da microimprese, spesso poco avvezze al cambiamento”. Così, le scuole siciliane hanno incontrato non poche difficoltà a realizzare i percorsi di alternanza. In Sicilia la percentuale di istituti impegnati, al momento, è pari al 77,9%. È del 93,5% in Emilia Romagna, del 93,4% in Piemonte e Friuli.

La formazione come araba fenice. Da anni, dice Milazzo, il settore in Sicilia versa in una crisi profonda, con oltre cinquemila lavoratori licenziati o sospesi. E senza reale sostegno al reddito. Per la Cisl “è la Regione la responsabile numero uno dei gravi ritardi e dell’impasse. Nonostante le mille pressioni che in questi anni abbiamo esercitato. E continuiamo ad esercitare”.

I disabili, un fatto di civiltà. “Il balletto al quale abbiamo assistito in sede di approvazione della Finanziaria, con risorse che comparivano e scomparivano come nel gioco delle tre carte, è assolutamente indecoroso”, le parole di Milazzo. Ed è indice del fatto che la legislatura volge al tramonto senza aver dato una soluzione vera alla questione. “Ai portatori siciliani di disabilità – scandisce il segretario – vorrei dire che non sono affatto cretini. Sono cittadini come tutti gli altri. Anzi, con qualche diritto in più degli altri. Perché nei loro confronti la società ha un dovere di maggior tutela, in termini di servizi di assistenza. Di inclusione sociale. Di miglioramento del loro standard di vita e di certezze sul loro presente e sul loro futuro. Insomma alla Regione, si legge nella relazione, “chiediamo di chiudere davvero, definitivamente non con mezzucci improvvisati, una delle pagine più tristi e penose della storia della Sicilia”.