
di Marina Pagliaro
Messina, un territorio dissestato, martoriato, imbottito di calcestruzzo. Un territorio bruciato, oltraggiato da politiche territoriali, nei fatti inesistenti, dai falsi progetti nati solo per fomentare la stampa e indispettire gli oltranzisti del “no” contro tutte le idee di riqualificazione territoriale. L’affetto per una terra non attenua la condanna a mafia, corruzione, clientelismo e dilagante sperpero di denaro pubblico. Anzi, l’amore accresce la rabbia contro una classe politica regionale spesso inadatta, che non ha saputo valorizzare le tante ricchezze di cui è dotata la Sicilia. Dalla bellezza del territorio all’immenso patrimonio di cultura, arte e archeologia. Se la corruzione nel resto d’Italia è devastante, in Sicilia è peggio. Peggio del male c’è l’indifferenza e la frustrazione di un popolo che alle ultime Elezioni regionali in maggioranza ha disertato le Urne e se fosse un partito avrebbe già vinto. Stiamo parlando dell’astensionismo, che nel voto per le regionali in Sicilia ha raggiunto l’incredibile e storico risultato del 52 per cento, ovvero la maggioranza assoluta. Significa che la Sicilia è un’isola sospesa tra astensionismo e ingovernabilità. E la mediocrità della Politica è certificata dalle pagine vuote nei risultati ottenuti. Messina vanta nel suo curriculum una lunghissima serie di infrastrutture progettate e mai realizzate. Dal Ponte sullo Stretto, alla progettazione della nuova via Don Blasco ancora incompleta, fino ad arrivare a grattacieli stampo giapponese e alla nuova piazza Cairoli. Per tutti gli interessati, addetti ai lavori e non, tuttavia non cambia niente: si tratta sempre di false speranze. Senza dimenticare che si costruisce dove non si dovrebbe. Poi, se la natura si ribella, sappiamo solo lamentarci perché nessuno ci aiuta. In più, si scopre che i signori del mattone spesso non pagano gli oneri di urbanizzazione. Così le casse dei Comuni sono sempre vuote. Per la nostra città invece cambia soltanto l’indice di vivibilità sempre più basso e numeri sempre più alte di persone che decidono di abbandonare Messina. Perché? Non solo perché i mezzi non funzionano o perché non c’è lavoro. Ma perché a risollevar davvero la nostra città dalla decadenza ci vorrebbe davvero un piano generale di proporzioni gigantesche. Problematiche che affliggono il nostro territorio sono quelle inerenti i torrenti e la loro messa in sicurezza. E, come se non bastasse, quest’autunno e l’inverno ci metteranno alla prova con il rischio di dissesto idrogeologico acuito dagli incendi che hanno devastato e devastato le nostre colline. E poi.. poi resta da riasfaltare l’80% delle nostre strade, da eliminare tutte le baracche della periferie della città, da completare lo svincolo di Giostra, da mettere in sicurezza tutta la tangenziale e da riqualificare anche la zona falcata. Restano ancora tutti i forti più importanti di Messina da aprire al pubblico e al turismo. Resta ancora da risistemare il porto di Tremestieri, il vestimento bufala più grande dal 1908. Insomma a ben vedere Messina la lista di investimenti infrastrutturali per il bene del territorio e della comunità potrebbe essere potenzialmente infinita. A questo punto sorge spontanea una domanda: siamo davvero sicuri che allo stato attuale la nostra città si sia davvero cambiata dal post-terremoto? Sulle rovine della vecchia Zancle, fiorente centro commerciale e punto focale di scambio economico, restano soltanto abitazioni sul letto dei torrenti. Aspettiamo, ancora, il miracolo.