In questi giorni, sta entrando in vigore il tanto pubblicizzato REI (Reddito di Inclusione); secondo la propaganda pubblicitaria governativa il provvedimento dovrebbe servire a contrastare la povertà, aiutando le famiglie povere a uscire dall’indigenza.
Lo Stato ha stanziato 2 miliardi di euro per il REI che erogherà: da 149 euro, fino a un massimo di ben 584 euro per famiglie dai 5 componenti in su, al mese; per un massimo di 18 mesi. Non tutte le famiglie povere avranno diritto al REI, ma sarà calcolato con il discutibile sistema dell’ISEE. In sintesi, si può già vedere senza essere degli esperti, che la cifra stanziata dal governo è irrisoria; ancora più se consideriamo che il REI sostituirà i vecchi metodi denominati SIA (Sostegno per l’inclusione attiva) e ASDI (Assegno di disoccupazione).
Il REI, in realtà, è semplicemente un emulazione, in versione brutta copia, per avvicinarsi al famigerato sistema tedesco degli HARTZ,. Chi avrà “diritto” al REI sarà costretto, dalla morale neoliberista, a seguire un piano di “inserimento” nel mondo del lavoro a cura degli uffici del Comune di residenza, alla cui organizzazione andrà parte dei 2 miliardi.
Il REI non è però un intervento “a pioggia”: per poter ottenere il bonus i soggetti interessati dovranno, infatti, sottoscrivere un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa. In pratica, chi otterrà il bonus dovrà impegnarsi in un percorso personale di riqualificazione professionale e reinserimento nel mondo del lavoro. Bisognerà, inoltre, tutelare i minori per il loro diritto allo studio e alla salute.
Il REI sarà soggetto a revisioni periodiche; in modo da verificare se il richiedente abbia ancora diritto al beneficio, oppure non stia rispettando il progetto di attivazione sociale. In quest’ultimo caso, perderà il bonus mensile.
E qui sta il grande inganno! Chi entrerà nel programma del REI non potrà rifiutare, per nessun motivo, ciò che i burocrati comunali indicheranno per loro e la loro famiglia: nessun lavoro e nessuna paga, neanche la più misera potrà essere rifiutata, pena il blocco del “contributo mensile”. Conclusione: all’interno di un sistema del lavoro sempre più deregolato, con stipendi livellati verso il basso (deflazione salariale), il REI è un nuovo strumento di controllo e di schiavitù.
La soluzione della povertà non potrà venire da chi ha prodotto negli ultimi 10 anni un aumento esponenziale della quantità degli indigenti, che sono passati dai 1.600.000 del 2006 ai 4.740.000 del 2016 (dati Istat).
Le politiche di austerity hanno impoverito il Paese, prodotto disoccupazione e bassi redditi; a fronte della diminuzione dei servizi pubblici, dell’accesso alla salute, alla scuola alle pensioni, all’assistenza sociale ed alle continue privatizzazioni dei servizi pubblici.
L’unica soluzione percorribile dovrà essere la redistribuzione del reddito, da realizzare tramite la piena e buona occupazione. Inoltre, nel caso, di un sistema di reddito di base universale non vincolato da nessun impegno, da sottrarre tramite tassazione alla rendita finanziaria speculativa.
Se i 2 miliardi annui, cifra comunque ridicola, venissero stanziati per assunzioni stabili da parte dello Stato nel campo della sanità e dell’istruzione, già aumenteremmo la buona occupazione in un circolo virtuoso di sviluppo economico. Per uscire dalla povertà, lo Stato deve riappropriarsi del ruolo che è stato scippato da politici ruffiani e compiacenti al sistema neoliberista. Lo stato deve riappropriarsi del proprio ruolo di coordinatore delle esigenze del Popolo. In conclusione, per eliminare la povertà, non si può prescindere dall’uscita dell’Italia dalla gabbia dei trattati Europei, che impongono regole rigide le quali sono responsabili dell’aumento della povertà, sia in Italia che nel resto dei Paesi Europei.