Le intense precipitazioni di questi giorni hanno di nuovo messo in ginocchio gran parte del Paese. Sono esondati fiumi, torrenti e canali, una persona ha perso la vita a Bologna dove sono caduti oltre 175 mm d’acqua in poche ore. Un disastro più che annunciato, che si ripete con sempre maggior frequenza e, soprattutto, che si accanisce con particolare violenza su alcune zone, come l’Emilia-Romagna gravemente colpita anche lo scorso anno.
È indispensabile ridare spazio ai fiumi recuperando aree di esondazione naturale o, laddove questo non basti o non sia possibile, realizzare adeguate casse di espansione. Tutto questo nell’ambito di piani di bacino idrografico che consentano di impostare una corretta pianificazione del territorio soprattutto in funzione della necessità di adattamento ai cambiamenti climatici.
È indispensabile superare la logica emergenziale per cui ci sono Commissari al dissesto idrogeologico (i governatori regionali), Commissari alla siccità, Commissari alla depurazione delle acque. Non è possibile pensare di ottenere risultati con una simile frammentazione di poteri.
Bisogna riportare pianificazione e soprattutto programmazione in capo alle Autorità di bacino, come previsto dalle Direttive Europee, le Regioni hanno in gran parte fallito e non hanno una visione di bacino, l’unica adeguata a una corretta prevenzione e pianificazione della risorsa idrica.
Inoltre, è indispensabile che il Ministero dell’Ambiente renda operativo il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) promuovendo piani strategici locali nelle aree più vulnerabili come, ad esempio, la Romagna favorendo interventi di ripristino ambientale e misure basate sulla natura (Nature Based Solutions) e non contro la natura per ridurre la vulnerabilità del territorio, aumentarne la resilienza e ripristinare i servizi ecosistemici. Il PNACC invece da circa un anno, da quando è stato approvato, è stato totalmente abbandonato.
Ci sono famiglie che hanno perso tutto, altre che hanno la casa allagata per la seconda o terza volta in tre anni. Il reticolo idrografico non tiene, non ha la capacità di smaltire tutta quest’acqua che si riversa con violenza a valle. Gli argini cedono e allora l’acqua non ha più ostacoli e inonda ogni cosa. Qualcuno invoca la mancanza di manutenzione dei fiumi. Ma si deve fare “buona” manutenzione, perché di “cattiva” manutenzione, costata milioni di euro, se ne è fatta anche troppa rendendo ancor più vulnerabili i nostri territori.
Il problema è che avendo ristretto l’alveo dei fiumi, costruito ovunque (l’Emilia-Romagna ha il più alto tasso di consumo di suolo nelle aree a rischio idrogeologico), operato una manutenzione che in molti casi ha peggiorato la situazione e a fronte di piogge intense eccezionali le conseguenze devastanti sono inevitabili. Alcuni incolpano le nutrie che sono, peraltro, oggetto da anni di inutili e costosi piani di abbattimento. Altri chiedono di dragare gli alvei (un conto è rimuovere in modo mirato pericolosi accumuli in punti a rischio altro è l’escavazione selvaggia a cui spesso si assiste) quando gran parte dei letti dei fiumi soffrono una carenza di sedimenti e si stanno abbassando a causa soprattutto dei numerosi sbarramenti (dighe, briglie, traverse) lungo il loro corso che trattengono il materiale determinando anche un deficit di materiale sulla costa (il delta del Po sta risentendo parecchio della mancanza di limi e sabbie dal fiume).
Le nostre istituzioni, un po’ a tutti i livelli, a parte qualche promessa di circostanza e gli inviti/ordini a stipulare assicurazioni, non sono impegnate seriamente a favorire un adeguato adattamento del nostro territorio al clima che è cambiato. Il tempo a nostra disposizione è sempre meno e senza interventi decisi e concreti siamo destinati, purtroppo, a rivivere queste tragedie periodicamente, come un incubo, soprattutto per chi viene colpito direttamente dalle conseguenze di questi eventi.
Senza mai dimenticarci che ogni nostro intervento di ripristino e buona gestione del territorio rischierebbe di essere vanificato se non ci affretteremo a rimuovere rapidamente la causa della crisi climatica provocata dalle attività umane, in primis l’uso dei combustibili fossili (carbone, gas, petrolio). Transizione verso un mondo senza emissioni climalteranti (CO2, metano, ecc.) e adattamento al danno già fatto devono andare di pari passo.