Roma – “Credo sia noto a tutti che la separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente è una storica rivendicazione dell’avvocatura e anche della nostra associazione”, dal momento che “da sempre gli avvocati italiani ritengono che, per meglio garantire la terzietà e imparzialità del giudice e per garantire appieno la parità delle parti in giudizio, sia necessaria una riorganizzazione dell’ordinamento giudiziario che preveda una separazione di carriere”. Tuttavia, spiega nel suo intervento in Corte d’appello a Roma in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il segretario generale dell’Anf (Associazione nazionale forense) Giampaolo Di Marco, “il disegno di legge costituzionale approvato in prima lettura dalla Camera non ci convince e ci pare che contenga una serie di elementi pericolosi, che possono porsi in contrasto con un principio cardine del nostro ordinamento democratico, quello di piena autonomia e indipendenza della magistratura, sia giudicante sia requirente”.
Commentando il contenuto della riforma, contro la quale oggi l’Anm (Associazione nazionale magistrati) ha indetto una protesta in tutte le Corti d’appello italiane, Di Marco afferma che, secondo l’Anf, “per realizzare la separazione delle carriere sarebbe stato sufficiente un intervento molto più ridotto, che non mettesse mano a struttura, funzioni e composizione del Consiglio superiore della magistratura”.
In particolare, prosegue il segretario generale dell’Anf, “non ci trova concordi la proposta di adottare il metodo del sorteggio per la composizione del Csm, dato che ci sembra che in questo modo non si realizzi una forma di autogoverno elettivo, ma si dia vita ad un qualcosa di diverso”.
Sul punto, Di Marco sottolinea che “la dottrina costituzionalistica ha da tempo bollato il sistema del sorteggio come ‘il più irrazionale di tutti’, segnalando come la selezione di organi amministrativi effettuata attraverso un’estrazione a sorte è già stata sperimentata nella composizione delle commissioni di concorso universitarie, con esiti non positivi”.
D’altra parte, insiste il rappresentante degli avvocati, “l’idea di sottrarre gli eletti ad ogni valutazione di capacità da parte degli elettori difficilmente potrebbe consentire di superare le derive correntizie, ma avrebbe il solo effetto di affidarle al caso, aggiungendo una forte componente personale e una sostanziale irresponsabilità di un organo svincolato dalla legittimazione che nasce dalla elezione”. Ecco perché, conclude Di Marco, “l’Anf esprime, assieme al favore per la separazione delle carriere, anche forte preoccupazione per la destabilizzazione che seguirebbe alla modifica costituzionale che si propone di stravolgere la struttura e i compiti del Csm, sostanzialmente eliminando l’autogoverno della magistratura e adottando un sistema di selezione di cui non si rinviene traccia negli ultimi secoli”. Da qui la convinzione che “sia necessario dare vita a una fase di riflessione che coinvolga tutti gli attori in campo e parta da un confronto equilibrato con magistratura e avvocatura”, in modo da “individuare soluzioni condivise per la migliore attuazione dei principi costituzionali di terzietà del giudice e di giusto processo, rinunciando a forzature e fughe in avanti”.
Procure-tribunali in difficoltà con processo telematico
“Non è chiaro cosa si può fare, questo crea problemi a chi usa app”
“Rispetto al processo penale non vi è chi non percepisca una crescente difficoltà di Procure e Tribunali ad adeguarsi al rispetto da quanto previsto per l’entrata in vigore del processo telematico”. A dirlo, intervenendo in Corte d’appello a Roma per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, è il segretario generale dell’Anf (Associazione nazionale forense) Giampaolo Di Marco, secondo cui “non vi è, in molti casi, chiarezza su cosa si debba e si possa fare, tenuto conto dei numerosi provvedimenti locali che hanno sospeso o comunque rimandato l’applicazione dell’uso del Processo penale telematico, senza che vi sia in realtà un potere in questo senso da parte delle organizzazioni dei Tribunali, che non possono sospendere l’efficacia di una norma o limitarla”.
Questo, evidenzia Di Marco, “crea inevitabilmente un senso di incertezza in chi deve utilizzare i vari applicativi”, oltre ad esporlo “al rischio di responsabilità professionale in caso di errore o utilizzo di un sistema di deposito non conforme”. Oltre a questo, il segretario generale dell’Anf stigmatizza il fatto che “si assiste alla diversificazione, inspiegabile e ingiustificabile, della prassi di numerose cancellerie di decidere autonomamente se applicare o meno le nuove indicazioni relative ai diritti di copia, arrivando al punto che in uno stesso Tribunale, da piano a piano, vigono sistemi differenti di calcolo”. Questo, conclude Di Marco, produce “un quadro che tutto è tranne che unitario e che rompe la caratteristica tipica del diritto di essere uniforme su tutto il territorio nazionale: pare di essere tornati al tempo delle città stato con regimi diversi a distanza di un piano”. E se questo “è poco comprensibile per operatori e operatrici del diritto, è del tutto incomprensibile per i cittadini e le cittadine che si rivolgono alla giustizia per avere risposte”.
A 2 anni da riforma Cartabia bilancio poco incoraggiante
‘Avverate nostre profezie: processi appesantiti e diritti compromessi’
A quasi due anni dalla sua entrata in vigore, e dopo l’entrata in vigore, a fine novembre, del cosiddetto ‘decreto correttivo’, il segretario generale dell’Anf (Associazione nazionale forense) Giampaolo Di Marco prova a “fare il punto”, sull’andamento della riforma Cartabia, che “aveva come obiettivo dichiarato quello della velocità del processo”. E soffermandosi su quello che è “il primo banco di prova del successo o dell’insuccesso di questa riforma”, vale a dire “il rispetto degli obiettivi di smaltimento dell’arretrato e di riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti”, evidenzia che “i dati che emergono dalla Relazione sul monitoraggio statistico degli indicatori Pnrr a fine 2023, pubblicata dal Ministero della Giustizia il 19 aprile 2024, e dagli altri indicatori statistici disponibili non sono incoraggianti”.
In sostanza, spiega Di Marco nel suo intervento in Corte d’appello a Roma per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, “abbiamo assistito, in questi primi anni di attuazione della riforma, all’avveramento delle nostre profezie, ossia un appesantimento del processo invece che una sua velocizzazione e un pregiudizio per il diritto dei cittadini all’accesso alla giustizia e alla difesa dei propri diritti, a causa di una compressione dei tempi e degli strumenti di difesa”. E sul punto, aggiunge, “spiace constatare che anche il correttivo non ha fatto altro che acuire la situazione già esistente, aprendo se possibile ulteriori problemi.
Numeri alla mano, Di Marco spiega che, “sebbene il ministro abbia recentemente annunciato il raggiungimento degli obiettivi, continuiamo a nutrire forti dubbi sulla bontà di tali dati, anche perché altri esponenti del dicastero hanno riferito dati profondamente diversi”. A titolo d’esempio, il rappresentante dell’avvocatura osserva che “il calo di durata (osservato tra il 2019 e il 2023) è stato solo del 17%, e se la riduzione procedesse allo stesso passo a giugno 2026 il calo complessivo sarebbe solo del 24%, ben al di sotto del target di riduzione del 40% dei tempi di trattazione dei procedimenti civili”.
Le cose sembrano andare meglio sul fronte della riduzione dell’arretrato, ma anche qui, rileva Di Marco, “c’è un dato che si legge guardando i numeri in controluce, e cioè che la gran parte del raggiungimento di questi obiettivi è attribuibile al fatto che sono scesi i volumi di contenzioso, ossia i numeri delle iscrizioni di nuovi procedimenti”. Dato, precisa, che “è legato soprattutto al fatto che una buona fetta di contenzioso è stata spostata davanti al Giudice di pace”, ovvero uffici “i cui numeri non fanno statistica ai fini degli obiettivi del Pnrr e spesso non sono neppure censiti in modo completo dagli uffici statistici ministeriali” e che, tra l’altro, “in questo momento versano quasi in tutta Italia in situazioni di scopertura gravissime”. La giustizia di prossimità, insiste il segretario generale dell’Anf, “è, in questo momento, l’anello più debole nella macchina della giustizia, ma la sua non rilevanza statistica a fini Pnrr fa sì che l’interesse politico per questi uffici sia scarsissimo”.
Di Marco, infine, si sofferma sulla “scelta di precarizzare il settore giustizia, rendendolo sempre più dipendente da figure professionali che transitano per i Tribunali e i vari Uffici senza poter restituire le competenze che la formazione seguita consente”. In questo senso, conclude, “si apre un vuoto pericoloso perché, invece di investire sulle professionalità costruite nel tempo, si è preferito un sistema di fatto interinale, che poco permette la crescita di funzionari dedicati di cui invece vi sarebbe un grande bisogno, soprattutto tenendo conto delle accresciute necessarie competenze informatiche oggi fondamentali”.
Il segretario generale dell’Anf dedica, infine, “un cenno particolare al tema dell’intelligenza artificiale e al suo potenziale utilizzo nel sistema giustizia”. Sul punto, Di Marco afferma che “non convince la formulazione dell’articolo 14 del ddl 1146 di iniziativa governativa, che laconicamente indica ciò che non è possibile fare con l’Ai, piuttosto che segnare la strada su come e perché possa essere opportuno utilizzarla”, aggiungendo che “la totale assenza di un sistema pubblico che dimensioni gli spazi di utilizzo dell’Ai nella Pubblica amministrazione, il totale dominio privatistico degli strumenti di Ai e l’inadeguatezza dell’infrastruttura digitale del Paese inducono a una seria riflessione sul ritardo del sistema Paese sul tema”. L’auspicio, quindi, è che “tutti- magistrati, avvocati, politici e Pa- vogliano costituire un tavolo permanente che affronti l’emergenza Ai”.