Giustamente in questi giorni in conseguenza dell’aumento dei contagi da Covid 19 le preoccupazioni sono rivolte alla tenuta del sistema sanitario nazionale, ma nello stesso tempo anche alla tenuta del sistema economico del Paese. Il Governo e le Regioni hanno emanato misure restrittive delle libertà individuali: di movimento, di riunione, di impresa etc. Misure per evitare il lockdown generale.
Tuttavia c’è un’altra pandemia in incubazione di cui si parla poco, per la verità ogni tanto si intervista qualche esperto, ma finisce lì, mi riferisco alla salute mentale. Il tema è stato affrontato da un ben documentato studio di Francesco Cavallo sul sito del “Centro Studi Rosario Livatino”.
«La prospettiva che questo stato di cose duri fino a quando non sarà disponibile un vaccino efficace impone la considerazione di questo aspetto». (Francesco Cavallo, “pandemia di paura” e salute mentale in crisi, 24.10.20, in Centrostudilivatino.it) Pertanto i governi per rendere possibile la convivenza di una comunità con il virus «si tornano a udire appelli a rinunciare a ciò che non sia “indispensabile”, a “restare in casa”, per “salvare vite”. Che cosa è “indispensabile”, chi lo stabilisce?».
Cavallo segnala il disagio di alcune famiglie di ragazzi con disturbi da sindrome di down, ma anche quelle da sindromi dello spettro autistico hanno evidenziato i costi elevati, i danni al percorso di cura di queste persone, che procura il distanziamento sociale. Fanno notare una regressione conseguente alle patologie, dovute proprio alle conseguenti privazioni di relazioni sociali fornite dalla scuola, dai centri diurni di supporto, dallo sport, dalla rete di relazioni familiari e amicali.
Non solo ma anche altre persone subiscono danni alla salute, come quelle della sindrome dell’Alzheimer, spesso confinate in strutture alle quali è precluso l’accesso, derivanti dalla mancanza di stimolazione mentale e sociale.
L’editoriale del Centro Studi Livatino, fa riferimento a uno studio del Center for Disease Control and Prevention (Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie, agenzia federale degli Stati Uniti, facente parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani che opera quale organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti d’America).
Il Centro americano «ha pubblicato un rapporto sugli effetti sulla salute mentale delle misure restrittive su un campione cospicuo di americani al mese di giugno scorso. I risultati sono coerenti con ciò che molti psichiatri affermano da tempo: il 40% degli intervistati ha riferito almeno una condizione di salute mentale o comportamentale negativa. Il 30% ha riferito sintomi di disturbo d’ansia o disturbo depressivo e il 25% ha riferito sintomi di disturbo traumatico da stress a causa della pandemia. Il 13% ha riferito di aver iniziato o aumentato l’uso di sostanze stupefacenti o alcol per far fronte allo stress o alle emozioni negative legate ai lockdown e alle misure restrittive».
Addirittura alcuni degli intervistati hanno seriamente pensato al suicidio. Sempre dalle indagini del Centro americano, rispetto al giugno 2019 «la prevalenza dei disturbi d’ansia risulta triplicata (26% contro 8%) e la prevalenza dei disturbi depressivi risulta quadruplicata (24,3% contro 6,5%): è raro vedere questo tipo di cambiamenti nell’epidemiologia psichiatrica da un anno all’altro. I tassi di tentazioni suicide erano più alti tra coloro che si fanno carico dell’assistenza familiare di anziani e disabili (31%), tra i lavoratori nel settore dei servizi pubblici essenziali (22%), tra le minoranze (19% ispanici, 15,1% neri)».
Inoltre Cavallo fa riferimento a un altro studio a campione sulla popolazione inglese, l’Office of National Statistics britannico (Agenzia governativa britannica che raccoglie, analizza e pubblica le informazioni statistiche sull’economia, la popolazione e la società nel paese. L’equivalente dell’Istat in Italia).
Nello studio si rileva che rispetto a un anno prima, nel Regno Unito, i tassi di depressione sono raddoppiati nel corso delle misure restrittive, con picchi significativi di depressione grave. Questo aumento è stato più sensibile tra i giovani adulti e con disabilità.
Ritornando agli Stati Uniti si far notare che i cosiddetti “morti per disperazione” (suicidio, droga e decessi correlati all’alcol, spesso associate a fattori socioeconomici) erano in aumento già prima della pandemia, e la diffusione dell’utilizzo di oppiacei stava già avendo un impatto enorme. Ebbene, in conseguenza delle misure di distanziamento sociale si è assistito a un ulteriore incredibile aumento del consumo di oppiacei con più di 40 stati che dall’inizio della pandemia hanno registrato un aumento dei decessi conseguenza diretta dell’uso di queste sostanze stupefacenti».
Questi studi considerano anche «l’ipotesi di una crisi economica senza precedenti e una massiccia disoccupazione, associate al già avvenuto isolamento sociale obbligatorio per mesi e a possibili ulteriori misure di isolamento per i prossimi due anni».
Peraltro Aaron Kheriaty, docente di psichiatria ed etica della professione medica alla University of California Irvine, sostiene che «ci sono oggi persone di tutte le estrazioni sociali, religiose e politiche completamente paralizzate dal terrore. E non mi riferisco a individui psicotici o maniacali, ma a persone altrimenti sane. Oltre a una pandemia virale, abbiamo una pandemia di paura: paura del virus e paura alimentata dall’attuale clima sociale, comunicativo, economico, politico nonché dall’isolamento. “Pandemia di paura” non è una metafora; è una realtà: questo livello di paura pervasiva e costante fa un danno reale e misurabile».
Dunque da questi studi proposti dal Centro Studi Livatino si desume che
«l’isolamento sociale può uccidere, o comunque nuoce anch’esso alla salute (anche come conseguenza indiretta della ricadute socio-economiche – “il PIL”)». Pertanto, per Cavallo, «Non è vero che le relazioni umane non sono “indispensabili”. Sarà forse così per qualche esponente di governo, ma di isolamento (affettivo e sociale), depressione, disoccupazione, conseguente abuso di alcol e uso di droghe, suicidio, sedentarietà, si muore, esattamente come di Covid. Tutto ciò non può essere negato o trascurato nel momento in cui si assumono le necessarie decisioni per fronteggiare la pandemia di COVID: considerare solo la curva dei contagi o le proiezioni della pressione ospedaliera e della mortalità (quasi sempre con comorbilità) non è sufficiente».
Cavallo non manca di criticare le misure prese dal Governo, in particolare sul distanziamento sociale che certamente non ferma il virus, forse lo rallenta, come si è visto nella prima ondata della primavera scorsa.
«La pandemia non si ferma davanti ai “coprifuoco” e alle altre restrizioni della vita sociale, economica, pubblica: pensare di farlo mettendo in pausa il mondo equivale ad ammazzare il paziente per arrestare l’emorragia». Per fermarla serve secondo Cavallo un vaccino efficace e una percentuale sufficiente della popolazione che abbia acquisito un’immunità duratura.
Pertanto è ragionevole che fino ad allora, ovvero per un tempo non prevedibile e potenzialmente molto lungo, debbano essere caldeggiate o imposte misure di isolamento sociale, «che finiscono col determinare lo stravolgimento del sistema d’istruzione, la sospensione delle attività di cura e supporto di disabili, l’impedimento di attività sportive con risvolti relazionali imprescindibili per bambini e disabili, il rallentamento ulteriore della giustizia di ogni ordine e grado, la chiusura o la significativa compressione di attività commerciali, financo la impossibilità di celebrare sacramenti o partecipare a indispensabili funzioni religiose (come pure è accaduto)?»
E ancora lo studioso del Centro Livatino si chiede se, «È ragionevole continuare a non considerare che se bambini e ragazzi non vanno a scuola e gli adulti sani non lavorano aumenteranno le “morti per disperazione”?»
È giusto far pagare agli studenti, ai disabili, ai malati oncologici, ai soggetto a rischio di malattie cardiovascolari, ai pazienti psichiatrici e ai malati di depressione grave la incapacità del potere pubblico di migliorare in questi mesi l’organizzazione complessiva del sistema sanitario e di altri asset strategici della quotidianità? Possono forse essi morire di tutto purché non di Covid?
Possono essere sbrigativamente liquidate come “non indispensabile”, anzi colpevoli e pericolose, certe attività commerciali di impresa che tra l’altro, in questi mesi nonostante i danni del lockdown di marzo-maggio hanno investito per tenere in piedi la sua attività e mettersi in regola con la convivenza col virus adeguandosi a ogni genere di protocollo? Lo si faceva rilevare in un editoriale di Atlanticoquotidiano: «La richiesta di rinuncia al “superfluo” sembra ragionevole, perché si innesta su una narrazione moralistica della vita a cui siamo stati da sempre sottoposti. Ma ciò che sfugge è che il nostro “superfluo” è l’”essenziale” di altri: per il ristoratore, i suoi camerieri, gli insegnanti di fitness, gli albergatori o gli attori, quel nostro “superfluo” è la vita». (Marco Faraci, “In difesa del “superfluo”: perché è pericoloso lasciare che il governo decida cosa è “essenziale” e cosa no”, 27.10.20, in Atlanticoquotidiano.it)
Chi governa avrebbe dovuto pensare in questi mesi a come rendere possibile la inevitabile convivenza con il virus, adeguando all’emergenza pandemica il sistema sanitario, quello di trasporto pubblico, quello scolastico (reale, non virtuale). Adesso sono intollerabili le minacce di Conte e compagni che se non sappiamo fare bene il nostro compito ci chiude tutto.
DOMENICO BONVEGNA