Il signor B. è materia sfaccettata, malleabile e duttile al punto da essere diversamente utilizzabile e manipolabile: nel cinema, come nel giornalismo, che nella letteratura.
Paolo #Sorrentino, cineasta di capacità indiscusse, si è cimentato nella versione di “#LORO_1”, con spirito adattivo, per tirare fuori non certo chi ha caratterizzato questi anni dì fiction non solo mediatica, ma anche storico-politica, bensì tentando di rappresentare il classico esempio dell’italiano medio a cui, per dirla con le parole di Ennio #Flaiano, “piace dormire, evitare le noie, lavorare poco, scherzare” e ha “un pessimo carattere … Se non fosse italiano, a questo punto non sapreebbe che fare … non sarebbe niente e questo dimostra, in fondo, che è proprio italiano… per molti, l’italiana, non è una nazionalità ma una professione.”
Così Sorrentino tendere a dare dimostrazione scenica di un Italiano aggrappato ai piaceri della vita a spese di uno Stato-pantalone e che doveva assecondare ogni tipo di arrampicata sociale. È la storia di quell’italiano, ora simboleggiato dalla pecora che muore in quell’inizio, alla ricerca del sorprendente e che invece tratteggia il bieco fenomeno italico per quello che è: una dimensione di piccola cronaca rosa e nera in cui avventurieri senza arte né parte, assimilato il peggiore provincialismo, pensano di conquistare la capitale (Roma) con i piaceri carnali, le trasgressioni primordiali, quelle senza sentimento, ma solo col cinismo abituale dei sorcio (che si vede sfuggire e sopravvivere al rischio di essere schiacciato da un camion della nettezza urbana) della Roma sotterranea, quella che fiuta indifferente dove opportunisticamente raccattare il cibo, l’affare, il godimento, l’occasione utile.
In questa prima puntata della biografia del signor B. viene fuori più la mediocrità italiana, che il bauscia milanese. Rileva più un uomo incompiuto preda dei tanti arruffini e arruffoni, tormetato da una vita vissuta da perseguitato che declina e coniuga con la sua pertinace volontà di ‘corteggiare’ molti e ‘conquistare’ tutti: dalla Veronica, al calciatore.
Un uomo, il signor B., che compare nell’ultima mezz’ora del film dopo che una pletora di questuanti, rappresentativa dell’Italia peggiore, metteva a punto strategie per occupare potere e gustare piaceri. L’ennesima rappresentazione scenica di Sorrentino racconta l’uomo di potere avvinto nei misteriosi arcana imperii, racconta la donna (molte donne) che freddamente vive i suoi piaceri, ciascuna a modo proprio con Veronica che apprezza il calore umano e fisico del cashmere donato dal Signor B. Ovvero da tutte le altre tra adulazioni e nudità che provano ad incantare l’animale di potere, che ha vissuto troppo per meravigliarsi ancora.
Sorrentino racconta un B. che rimane legato al vaneggiamento di un Italia che ritiene abbia ancora bisogno di ‘LUI’, che nella sceneggiatura viene rispettato nella sua umana debolezza di chi non sa andare oltre questo suo disegno rimasto incompiuto, ovvero quello di realizzare un’Italia migliore sempre pronta ad ipnotizzare chiunque con la sua grande bellezza. Se Sorrentino è concentrato sul sesso ed i piaceri certamente ciò che si afferma più di ogni altro aspetto è una figura un po’ macchiettistica che evoca l’italiano peggiore quello truffaldino e millantatore del ministro impersonato da Bentivoglio piegato sui desideri e debole nel perseguirli. Insomma un film non esaltante, un po’ docu-fiction e un po’ biografia di un paese che per#noi_spettatori appare senza più modelli, ne’ valori.
Rino Nania