Sì, proprio porcata di Stato, visto che il coordinamento per il boicottaggio sembra che faccia parte del suo Dna. Tutte le volte che si devono tenere referendum, lo Stato alza i suoi scudi per “difendersi” dalle possibili innovazioni che i quesiti potrebbero apportare.
I livelli di boicottaggio sono raffinati e plurimi. Ovviamente quando gli argomenti trattati mettono in discussione equilibri e poteri consolidati… cosa che accade quasi sempre in occasione di referendum.
A monte ci sono i meccanismi per la raccolta di firme. Solo dallo scorso anno, per la caparbietà del comitato promotore cannabis, le firme si possono raccogliere anche online. Al momento lo Stato non ha ancora capito come boicottare questa novità… troppo nuova.
Poi c’è la tagliola della Corte Costituzionale che, solo a firme già raccolte (prima sarebbe troppo intelligente….), si esprime sulla legittimità dei quesiti proposti. In questo caso ha bocciato i quesiti per la legalizzazione di cannabis ed eutanasia e un referendum del pacchetto Giustizia (responsabilità civile magistrati), i tre quesiti più popolari per stimolare la partecipazione al voto.
Rimasti cinque quesiti della Giustizia, la macchina statale per il boicottaggio si perfeziona alla bisogna.
Lo Stato per conservarsi si comporta al contrario di come dovrebbe quando ci si proclama democratici, meccanismo rispetto al quale le maggioranze vincono, le minoranze perdono dopo aperta discussione e decisione nelle sedi preposte: i luoghi di informazione pubblica e istituzionale e i seggi elettorali.
Il luogo di informazione pubblica e istituzionale viola o ottempera minimamente al proprio dovere. La Rai è governata dai partiti parlamentari che, in base alle loro scelte di parte, condizionano un ente che dovrebbe essere a disposizione dello Stato, cioè di tutti. L’interesse di parte prevale su quello pubblico e la Rai esegue la volontà di questi partiti, che non vogliono che i referendum vadano in porto. E visto che oltre che votare NO per respingere la riforma dei quesiti, i referendum per essere validi hanno bisogno della partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto, è facile avendo due NO a disposizione contro un SI’, usarli al meglio, soprattutto per non raggiungere il quorum.
I seggi elettorali sono una macchietta. Si vota il 12 giugno in contemporanea con alcune elezioni amministrative. Ma: per queste ultime si può votare il 12 e 13 giugno (domenica e lunedì), per i referendum solo il 12 (domenica). Le menti maligne che hanno deciso questo meccanismo sembra che non conoscano il senso del ridicolo.
I promotori dei cinque quesiti Giustizia si danno da fare come possono, ognuno con le proprie contraddizioni dove, per esempio, spicca un partito promotore (Lega) che è anche in maggioranza di governo e padrone di parte della Rai, ed ha fatto passare tutte le porcate che abbiamo descritto sopra.
Noi di Aduc, associazione per l’affermazione dei diritti di utenti e consumatori, andremmo contro noi stessi se fossimo contrari alla pur minima riforma della giustizia che questi referendum ci propongono. Il cattivo funzionamento della Giustizia è il principale ostacolo che abbiamo. A suo tempo abbiamo invitato i cittadini a sottoscrivere i quesiti ed oggi invitiamo a partecipare al voto.
Siamo consapevoli che è in atto un gioco al massacro, dove le vittime sacrificali sono i cittadini, promotori ed elettori.
I primi – promotori – che si sobbarcano spese pazzesche per la raccolta delle firme necessarie che non si sa neanche se poi saranno politicamente validate (la Corte Costituzionale che decide solo a firme raccolte e non prima).
I secondi – elettori – beffati perché i loro soldi di contribuenti vengono usati per far finta di rispettare le regole democratiche, sì che (Rai e giornata elettorale) contribuiscano a non cambiare nulla.
Una democrazia, anche con impronta conservatrice, sarebbe più serie se dicesse: “i referendum è bene che non esistano” e non consentisse questa pagliacciata.
Vincenzo Donvito Maxia