Ha vinto il primo cittadino, ha vinto il civico consesso, ha vinto la città. Hanno vinto tutti, perché nessuno voleva votare. Cosa abbiamo vinto? Evitare le urne. Non è poco. Non è tutto.
Non ha vinto ne’ la persona ne’ la personalità di De Luca che per un verso ha coltivato la tentazione di nuove elezioni amministrative nel deserto di forze politiche in campo e che per altro verso aveva ricercato un colpo di mano per la costituzione di un intergruppo in barba ai referenti dei consiglieri comunali.
Non hanno vinto i partiti. D’altronde non ve ne sono essendo dissolti in segreterie particolari, incapaci di discussione interna, di proposta esterna.
Non ha vinto l’azione di governo né quella di indirizzo.
Ha vinto il buon senso, l’opportunità, la ragion della poltrona. Ragione – ogni tanto – ragionevole.
Dal tormentone di inizio anno residua la alta probabilità di reiterati annunci di nuove dimissioni, di ributtanti fazioni social, di autoincensanti post sul c.d. “lavoro” effettuato ed effettuando con labile rappresentatività.
Sino a quando non si coglieranno, con consapevolezza e responsabilità, i drammi della mancanza di opportunità – in un contesto votato alla pigrizia culturale e alla incapacità di scommettere sulla intrapresa, sulla crescita, sullo sviluppo – si friggerà solo aria.
Il da farsi – dicono – è stato tracciato.
Finalmente, il Sindaco ha fatto emergere un passo in più rispetto allo sceriffo dei blitz e al ragioniere dei conti. Il tempo ci dirà se chiacchiere e distintivo.
Tuttavia, una nota di merito – tra gli appunti del navigatore del 2020 – va ascritta.
De Luca ha compreso che una buona politica è fatta non solo di buona amministrazione ma di sagace visione.
Si ridiscute – forse – di piano strategico.
Prima di approdare in aula dovrà aprirsi un tavolo di concertazione con le espressioni e le sensibilità del mondo dei saperi, delle professioni, delle realtà sociali.
Giusto. Il piano strategico o è partecipato o non è.
A tal fine, per i corti di memoria, non essendo corto di cerimonia, rammento che quando in precedenza (ad aprile 2013) nel silenzio generale, alla chetichella, ne venne deliberata a maggioranza l’adozione, erano presenti in aula diciotto … ripeto appena diciotto consiglieri comunali. Allora il Civico Consesso era composto da 45 membri ed in base al regolamento era consentita la votazione a 18 se in prima convocazione, la seduta cadeva per due volte consecutivamente per mancanza del numero legale (che era di 23 consiglieri) e quindi veniva aggiornata di 24 ore.
Il piano d’allora era accompagnato dalla sottoscrizione di centinaia di rappresentanti di enti, associazioni, ordini e categorie. Sottoscritto ma rimasto sostanzialmente non condiviso perché non si aprì alcun dibattito, alcun confronto, alcun dialogo orizzontale e verticale rispetto al territorio. Si schiudeva l’orizzonte del 2020. Il 2020 è arrivato. Messina è rimasta ancora priva di vocazione, appartenenza, identità.
Emilio Fragale