Le proteste sono in aumento ma sono capaci di guidare il cambiamento? Quale forma di protesta è più efficace? Si raggiungono gli obiettivi prefissati o si innesca un processo inverso?
Da qualche anno non trascorre giorno che in qualche parte del mondo non si alzi una protesta: contro i regimi politici, l’ingiustizia, la disuguaglianza e il cambiamento climatico. Particolarmente intense sono state quelle per il conflitto tra Israele e Hamas e degli agricoltori in Europa e India.
Se estendiamo l’attenzione agli ultimi 20 anni ritroviamo le manifestazioni della “primavera araba”, quelle per i gilet gialli e del movimento “Occupy”, le rivolte in America latina, le proteste di Black Lives Matter, le contestazioni per il lavoro, i servizi pubblici, la protezione sociale, i diritti civili, et cetera.
Alcune delle più grandi proteste della Storia hanno avuto luogo durante questo periodo.
Insomma, un ventennio in ebollizione.
La manifestazione più grande è stata lo sciopero contro le riforme agricole governative che ha coinvolto circa 250 milioni di persone in India; alcuni provvedimenti sono stati ritirati o modificati ma non hanno soddisfatto i dimostranti e le agitazioni hanno avuto un seguito anche quest’anno. Conseguenza? Il partito di governo ha perso la maggioranza assoluta in parlamento.
Nel corso della cosiddetta “primavera araba” la ribellione ha innescato un’ondata di disordini che ha attraversato il nord Africa e la penisola araba. Manifestazioni e rivolte contro i regimi di lunga data hanno rovesciato i governanti in Tunisia, Libia, Egitto e Yemen. In Tunisia ed Egitto la situazione si è stabilizzata, con il ritorno alle situazioni precedenti; in Libia e Yemen vige tuttora uno stato di caos e di contrapposizione armata tra fazioni avverse. In Siria la rivolta si è trasformata in una guerra civile con poche speranze di risoluzione.
Le proteste per la guerra a Gaza hanno scosso e diviso i campus universitari americani ed europei. Le manifestazioni degli studenti sono però scivolate in un’antinomia non risolvibile: si chiede la libertà del popolo palestinese e lo sterminio di quello israeliano (“Dal fiume al mare”).
Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “Nature” analizza i fattori che impattano sulle manifestazioni. Ovviamente, le grandi manifestazioni sono più efficaci di quelle piccole e, a sorpresa, le proteste non violente sembrano essere più incisive di quelle violente. Si rileva, inoltre, che la repressione può creare solidarietà con i dimostranti.
“La protesta e l’azione su larga scala sono un modo per generare un cambiamento sociale, ma questo non significa che lo sarà sempre”, afferma Eric Shuman, psicologo sociale della New York University che lavora in questo campo. “Stiamo ancora cercando di capire quando lo farà e quando non lo farà”.
Rimane, quindi, l’interrogativo se le proteste siano efficaci nel guidare il cambiamento.
“I politici raramente lo ammettono, ma la risposta onesta è: “a volte”, afferma Lisa Mueller che studia i movimenti sociali al Macalester College di Saint Paul, Minnesota (Usa). La ricerca mostra che i dissensi possono influenzare la copertura mediatica, l’opinione pubblica e la politica – almeno nel breve termine – ma sul lungo periodo tali influenze sono più difficili da rintracciare.
(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 2 Luglio 2024)
Primo Mastrantoni, presidente Comitato tecnico-scientifico di Aduc