In questi giorni è uscita la notizia che il presidente Biden ha incaricato i servizi di intelligence di riaprire un’indagine sull’origine del coronavirus che ha causato la più grave pandemia degli ultimi cento anni. Ha dato tre mesi di tempo per capire come il virus si sia trasmesso.
L’iniziativa del presidente Usa è stata suggerita, dopo le recenti inchieste di alcuni giornali americani, tra cui il Wall Street Journal, si ricomincia a parlare (molto più dei nostri) a parlare dell’ipotesi che il virus sia uscito dai laboratori del Wuhan Institute of Virology (WIV), l’unico di livello 4 in Cina. Questa tesi era stata “Bollata come “conspiracy theory” solo perché sostenuta da Trump, ora l’ipotesi dell’uscita del virus dai laboratori di Wuhan diventa “plausibile”. (Federico Punzi, L’ipocrisia liberal sull’origine del China virus: ecco come i Democratici e i media hanno politicizzato il Covid, 28.5.21, atlanticoquotidiano.it)
Per un lungo periodo, l’ipotesi dell’origine artificiale del virus causa della pandemia di Covid-19 che ha coinvolto il mondo intero, è stata classificata come fake news. A un certo punto diventò pressoché impossibile parlarne. Si doveva accettare la versione ufficiale di Pechino, secondo la quale il virus ha avuto origine nel mercato degli animali selvatici di Wuhan. Principali indiziati i pipistrelli, ma un ruolo fu attribuito pure ai poveri pangolini.
In realtà, molti servizi di intelligence occidentali sapevano da tempo che l’origine della pandemia andava invece rintracciata nei laboratori di Wuhan, dove venivano condotti esperimenti su vari tipi di coronavirus in assenza di condizioni di sicurezza accettabili.
Quello che ancora non si sa con precisione è se si sia trattato di un incidente fortuito, oppure se tali esperimenti venissero condotti per scopi militari, vale a dire per elaborare nuove strategie di guerra batteriologica. Eppure, c’erano segnali allarmanti. Nel mese di settembre del 2019, nel corso delle olimpiadi militari tenutesi proprio a Wuhan, vennero sperimentati metodi di difesa da un coronavirus.
Tuttavia, le intenzioni di Biden non sembrano credibili. Secondo atlantico, “è lecito dubitare della buona fede e dell’impegno dell’amministrazione Biden: come si può esser certi che sia davvero intenzionata ad arrivare ad una ragionevole verità, e a comunicarla, visto che solo poche settimane fa, appena insediata, si era affrettata a chiudere (senza peraltro darne notizia!) una identica indagine aperta dalla precedente amministrazione?”
Intanto per il momento registriamo un clamoroso “contrordine compagni” dell’amministrazione Biden, ma anche dei media mainstream e dei social network, che, rendono giustizia (in parte) al presidente Trump (e al segretario Pompeo). “Sforzarsi di comprendere come il virus si sia trasmesso all’uomo, se non altro per combattere con maggiore efficacia la malattia e per capire come scongiurare in futuro nuove pandemie, e mettere sotto pressione Pechino per i suoi insabbiamenti e la sua mancanza di trasparenza, era semplice buon senso, eppure non praticato da nessun altro leader occidentale”.
Ricordo che Trump era stato accusato di voler politicizzare il Covid, per scaricare le sue presunte colpe nella gestione dell’emergenza, oggi possiamo affermare a ragion veduta che a politicizzare la questione sono stati in realtà i suoi avversari: i Democratici, i media mainstream, i social, e persino autorevoli scienziati, che assolvevano Pechino da ogni responsabilità proprio mentre emergevano chiari indizi di colpevolezza.
Ancora ricordo ai distratti che, “Fino a qualche mese fa chiunque osasse menzionare la possibile fuga del virus da uno dei laboratori di Wuhan veniva marchiato come complottista. I fact-checker delle due corazzate liberal del giornalismo americano, New York Times e Washington Post (che influenzano tutto il mainstream internazionale), ma anche dei principali social, sottoponevano a debunking e ridicolizzavano i malcapitati – presidente Trump compreso – mentre ai loro utenti più audaci Facebook e Twitter sospendevano addirittura l’account. Con incredibile faccia tosta, oggi pretendono di dare loro stessi l’etichetta di “plausibilità” all’ipotesi prima criminalizzata”.
E peraltro dopo l’annuncio della nuova indagine, Facebook ha comunicato di aver rimosso il divieto di pubblicare post in cui si ipotizza che il coronavirus sia di origine artificiale, cioè prodotto dall’uomo, pertanto non saranno più rimosse le nostre app. “Insomma, siccome ora il presidente Biden ha disposto un’indagine che contempla anche questa ipotesi, allora il social rimuove il ban. Il che è la dimostrazione che Facebook modifica le sue policies su ciò che si può pubblicare o meno sulla sua piattaforma sulla base di ciò che una parte politica, oggi al potere a Washington, ritiene in un dato momento verità “ufficiale””.
Per il giornalista di atlantico occorre chiarire che i cosiddetti “smascheratori di bufale”, ebbero gioco facile perché due pubblicazioni scientifiche, prima “La Scienza”, e poi il 19 febbraio 2020, la rivista Lancet (peraltro nota per la politicizzazione di molte sue pubblicazioni “a effetto”), hanno scartato in modo inappellabile l’origine artificiale del virus. Questi scienziati pretendevano di dimostrare inequivocabilmente origine e diffusione naturale dal virus a partire dal suo genoma, bollando come “teorie della cospirazione” ipotesi alternative.
Inoltre, un altro autorevole scienziato, Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di malattie infettive e consigliere della Casa Bianca sul Covid, aveva scartato categoricamente l’ipotesi della fuga da laboratorio (e proprio all’indomani degli affondi di Trump e Pompeo verso Pechino). Ora Fauci con nonchalance si dice “non convinto” dell’origine naturale del virus.
Il ribaltamento della narrazione sull’origine del virus ci offre però l’occasione per imparare una lezione (anche se dubitiamo che siano disposti a recepirla coloro che ne avrebbero un gran bisogno). La lezione dell’importanza del free speech (libertà di parola) e di un dibattito politico il più possibile aperto, anche quando (anzi soprattutto) si tratta di temi “scientifici”. “Nessuna tesi, nessuna opzione, dovrebbe essere criminalizzata e censurata a priori. Purtroppo, invece, sembra che il fact-checking (verifica dei fatti) venga usato proprio a questo scopo. Come il Consiglio dei Guardiani della rivoluzione a Teheran filtra i candidati ammessi a concorrere per la presidenza iraniana, così in Occidente ci stiamo abituando ad una scrematura preventiva delle posizioni ammesse nel dibattito pubblico”.
E non fa niente se poi si scopre come in questo caso e in altri, che la scrematura non è nemmeno genuina, non è onesta, non è basata sui “fatti”, ma è politicizzata. “L’origine del virus dai laboratori di Wuhan è stata bollata come “conspiracy theory” solo perché sostenuta da Trump. Ora, senza che siano emersi nuovi indizi, solo perché Trump non è più alla Casa Bianca diventa plausibile e si rende necessaria l’indagine che qualche settimana prima era stata chiusa”.
Comunque sia la questione dell’ipotesi che il virus sia uscito da un laboratorio cinese, si erano già espressi diversi esperti e scienziati, tuttavia in questi mesi i vari “guardiani”, i media mainstream hanno continuato a zittire e silenziare le voci dissonanti basandosi unicamente su quell’articolo di Lancet, definendo così i confini della discussione pubblica sul tema. Dietro la frase “la comunità scientifica concorda sull’origine naturale del virus” c’era in realtà un solo studio, c’era al massimo una parte degli scienziati. Un po’ come capita sui “cambiamenti climatici”.
Riusciremo mai a scoprire la verità circa la diffusione del virus?
Punzi teme che l’indagine disposta dal presidente Biden non arriverà a nulla di definitivo (e, d’altra parte, senza la collaborazione cinese è molto difficile), alla fine si dirà “che le agenzie di intelligence non hanno sufficienti certezze per avvalorare o scartare una delle due ipotesi. Servirà però a convincere l’opinione pubblica che si è fatto tutto il possibile per accertare la verità, ma che è il momento di guardare avanti, di impegnarsi a migliorare la cooperazione per la salute globale, con la Cina in primis”.
Del resto, quando di mezzo c’è la Cina non si può mai essere certi di nulla, occorre prestare attenzione doppia considerata l’assoluta mancanza di trasparenza del governo di Pechino. Peraltro, le menzogne sull’origine della pandemia dovrebbero indurre tutti ad essere molto cauti nello stringere accordi con un regime autoritario al massimo grado come quello cinese.
Rammentando, tra l’altro, che anche la pretesa sconfitta definitiva del virus nella Repubblica Popolare è una fake news. Lo dimostra il fatto che la pandemia sta riesplodendo nella metropoli di Guangzhou (la vecchia Canton), inducendo le autorità a proclamare un nuovo e drastico lockdown.
DOMENICO BONVEGNA
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