Con decisione C(2000) 2346 dell’8 agosto 2000, adottata ai sensi del Regolamento (CE) n. 1260/1999[1], la Commissione ha approvato il Programma Operativo per la Regione Sicilia 2000-2006 (in prosieguo: il «POR Sicilia»), che si integra nel quadro di sostegno per gli interventi strutturali comunitari nelle regioni interessate dall’obiettivo n. 1 in Italia (CCI 1999IT 16 lPOO 11). Tale decisione, come modificata nel 2004, prevedeva una partecipazione dei fondi strutturali di oltre un miliardo e duecento milioni di euro (precisamente di EUR 1 209 241 572), con un cofinanziamento del Fondo sociale europeo (in prosieguo: il «FSE») di importo massimo pari a EUR 846 469 000.
A partire dal 2005, la Commissione ha effettuato vari audit dei sistemi di gestione e controllo predisposti dalle autorità responsabili del POR Sicilia. Nel 2008, dette autorità segnalavano che il tasso di errore per il periodo anteriore al 31 dicembre 2006 ammontava al 54,03% e che detto tasso si basava sull’intero campione relativo alle spese dichiarate dalle autorità italiane fino a tale data.
All’esito degli audit, la Commissione ha riscontrato gravi carenze nella gestione e nei controlli dell’intervento finanziario nonché varie irregolarità (alcune accertate dall’OLAF – organismo europeo anti frode) quali, a titolo esemplificativo:
- operazioni relative a progetti presentati dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione;
- spese di personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti;
- consulenti esterni privi delle qualifiche richieste;
- giustificativi di spesa insufficienti;
- spese non attinenti ai progetti;
- esecuzione delle attività non conforme alla descrizione dei progetti;
- violazione delle procedure di appalto e di selezione di docenti, esperti e fornitori.
Con decisione C(2015) 9413, del 17 dicembre 2015, la Commissione ha ritenuto che, a causa delle irregolarità singole e sistemiche constatate, il contributo finanziario all’intervento in questione dovesse essere ridotto di un importo totale pari a EUR 379 730 431,94, (di cui EUR 265 811 302,29 a carico del FSE), calcolato sulla base di un tasso di errore del 32,65%.
L’Italia ha presentato un ricorso al Tribunale dell’Unione europea.
Con sentenza del 25 gennaio 2018[2], il Tribunale UE ha rigettato integralmente il ricorso dell’Italia, evidenziando come quest’ultima non abbia dimostrato l’erroneità della decisione della Commissione o del procedimento da essa adottato (metodo dell’esame a campione o per estrapolazione, scelta del campione, rispetto del principio di proporzionalità, ecc…). Per contro, il Tribunale ha ritenuto come fosse innegabile l’esistenza di errori sistemici, imputabili a insufficienze nei sistemi di gestione e di controllo del POR Sicilia, che si erano manifestati nel corso di diversi esercizi finanziari e ai quali non era stato posto del tutto rimedio fino alla fine della programmazione.
L’Italia ha impugnato davanti alla Corte di giustizia la citata sentenza del Tribunale.
Con l’odierna sentenza, la Corte respinge integralmente il ricorso dell’Italia, confermando le valutazioni del Tribunale.
La Corte osserva che, ai sensi del Regolamento 1260/1999, la Commissione era tenuta ad approfondire le verifiche, sussistendo gravi insufficienze nei controlli delle spese, tali da condurre ad irregolarità a carattere sistemico. Giustamente il Tribunale ha ritenuto che la comunicazione alla Commissione di un tasso di errore del 54,03%, relativo all’intero campione delle spese dichiarate fino al 31 dicembre 2006, integrasse un dubbio serio e ragionevole sull’efficacia dei sistemi di gestione e di controllo degli interventi finanziati dal FSE. A tal proposito, incombeva all’Italia provare l’inesattezza delle conclusioni della Commissione: cosa che, invece, non è avvenuta.
Quanto alla correttezza del procedimento seguito dalla Commissione, la Corte osserva che la sospensione e la ripresa dei pagamenti intermedi, da parte della Commissione, non impediva a quest’ultima, dopo che aveva svolto le necessarie verifiche, e tenuto conto di un fatto, fino ad allora ad essa sconosciuto, quale la comunicazione di un tasso di errore complessivo del 54,03%, di affermare che esistevano insufficienze gravi nei sistemi di gestione e di controllo che potevano condurre ad irregolarità a carattere sistemico.
Inoltre, anche se il procedimento della Commissione avesse avuto una durata eccessiva, ciò, di per sé, non comporterebbe l’invalidità della decisione, posto che non risulta che la durata del procedimento abbia pregiudicato i diritti della difesa o abbia determinato una diversa soluzione della vicenda.
Infine, quanto al metodo di estrapolazione applicato dalla Commissione per calcolare le rettifiche finanziarie relative all’intero periodo verificato, la Corte constata che spetta soltanto al Tribunale esaminare i fatti di causa, mentre il controllo della Corte è limitato ai profili di diritto. Tuttavia, la Corte può rilevare l’eventuale esistenza di errori manifesti nell’accertamento dei fatti o nella loro valutazione (cosiddetto snaturamento dei fatti). Nel caso specifico, la Corte ritiene che il Tribunale non abbia commesso errori di diritto nel dichiarare che la Commissione aveva potuto giustamente applicare un tasso di errore del 32,65% per calcolare le rettifiche finanziarie in esame. La Corte rileva che neppure ha errato il Tribunale nel non menzionare il metodo alternativo di calcolo delle rettifiche presentato dall’Italia, visto che tale metodo alternativo, comunque, non era scevro da lacune logiche.
[1] Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.
[2] Sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 25 gennaio 2018 nella causa T-91/16, Italia c. Commissione.