Innanzitutto è necessario fare chiarezza: il vero pericolo della diffusione del virus, secondo quanto affermano gli esperti, non è tanto l’alto tasso di mortalità quanto l’alta percentuale, che si attesta intorno al 10%, di casi in cui si presentano complicazioni per le quali si rende necessario il ricovero in terapia intensiva.
di Luca Basilio Bucca
Il modo più adeguato per affrontare l’emergenza COVID-19 è approcciarsi al tema con equilibrio, cercando di districarsi all’interno della sovrabbondanza di notizie, non sempre precise, che ormai quotidianamente vengono diffuse.
Innanzitutto è necessario fare chiarezza: il vero pericolo della diffusione del virus, secondo quanto affermano gli esperti, non è tanto l’alto tasso di mortalità quanto l’alta percentuale, che si attesta intorno al 10%, di casi in cui si presentano complicazioni per le quali si rende necessario il ricovero in terapia intensiva.
Ciò comporterebbe, nel caso di fallimento delle misure di contenimento, la necessità di ricoverare in un breve periodo di tempo un numero di pazienti superiore a quello che il nostro sistema ospedaliero sarebbe in grado di gestire adeguatamente, anche in considerazione della presenza, ovviamente, di altri pazienti affetti da altre patologie.
Il virus attualmente risulta invece letale nel 3% dei casi, soprattutto in pazienti anziani o già con altre patologie e con un quadro clinico compromesso; questi sono dunque i soggetti principalmente a rischio.
Restano certamente delle questioni aperte e ci sarà tempo e modo per rispondere con cognizione di causa ad alcune domande. Si è fatto tutto il necessario per prevenire il rischio di contagio? Le misure attuate sono state e sono adeguate? L’alto numero di casi rilevato in Italia rispetto ad altri Stati europei è dovuto al fallimento della prevenzione o, al contrario, al maggior numero di controlli effettuati rispetto ad altri Paesi, dove magari il ricorso ai test è stato inferiore e si è preferito catalogare malati gravi e morti come complicazioni di influenze, polmoniti o altre patologie?
Per altro verso non si può fare a meno di notare come in molte occasioni la gestione della comunicazione da parte di istituzioni, mondo politico e mass media è stata inadeguata: nelle ultime settimane abbiamo assistito alla diffusione di informazioni ufficiali contraddittorie, polemiche fuori luogo, politici immortalati mentre indossano mascherine protettive senza un’effettiva necessità e titoli sensazionalistici che certo non hanno favorito il mantenimento della calma e un approccio sereno e ragionevole al problema.
Nonostante tutto l’emergenza certamente, presto o tardi, cesserà. Dopo sarà però necessario ricostruire. I danni economici e sociali in Italia sono già numerosi e la loro gravità potrebbe ancora aumentare. Non è la prima volta che gli italiani si ritrovano costretti a doversi rimboccare le maniche per ripartire dopo gravi catastrofi. Si può presumibilmente immaginare – e sperare – che anche questa volta sarà così. Certo, sarà necessario tempo, ma con forza, coraggio e spirito di sacrificio se ne potrà uscire e addirittura farne occasione per un nuovo slancio e per cogliere nuove opportunità.
Infine, un’ultima considerazione, una volta seguite le indicazioni che vengono fornite, compiuto il necessario, fatto tutto quanto è umanamente possibile, riprendendo consapevolezza della precarietà dell’esistenza, non è affatto inutile levare gli occhi al cielo e affidarsi, com’era normale in situazioni del genere in altre epoche, al Sommo Guaritore e Signore della Vita.
L’Italia – e non solo l’Italia – è ricca di luoghi di devozione legati a miracolosi interventi durante epidemie. Da Santa Rosalia a Palermo alla Madonna di Monte Berico a Vicenza, passando per il Crocifisso di Casalmaggiore, la devozione a San Sebastiano diffusa in molti luoghi, il miracolo eucaristico di Cava de’ Tirreni e l’elenco potrebbe ancora continuare a lungo.
Che anche questo ci possa dare forza in questo tempo di prova.