Lo hanno scritto in tanti dopo il virus, l’Italia ma anche il mondo non sarà più lo stesso. E allora le importanti analisi del professore Luca Ricolfi, sulla società italiana, saranno ancora valide? Mi riferisco al suo ultimo libro, uscito alla fine dell’anno scorso: “La società signorile di massa” , La nave di Teseo editore (Milano 2019).
Un ipotetico marziano che sbarcasse in Italia secondo il professore dopo aver ascoltato notiziari, guardando inchieste televisive, sfogliando i quotidiani, o leggendo libri di economia e sociologia, trarrebbe un quadro della nostra società più o meno di testo tipo: negli ultimi vent’anni, nel mondo, in Italia, le disuguaglianze fra gli esseri umani sono cresciute. L’Italia è un paese povero, in cui una massa di disoccupati cerca invano un lavoro per vivere dignitosamente. Milioni di persone sono privi dei più elementari diritti, come quello della casa, della salute, del cibo. 13 milioni di pensionati vivono con un assegno inferiore ai mille euro al mese. I giovani sono esclusi dal mercato del lavoro regolare.
Gli immigrati vengono impiegati nei campi in lavori massacranti, per pochi euro al giorno. A questo punto Ricolfi suppone che lo stesso marziano di prima, anziché guardare la Tv e leggere libri, decidesse di fare un giretto per la penisola.
«Con suo grande stupore la vedrebbe piena di gente che non lavora, oppure lavora e trascorre degli splendidi fine settimana in luoghi di villeggiatura. Grandi città con le piazze piene di giovani che ‘apericenano’, spiagge invase dai bagnanti, luoghi d’arte presi d’assalto dai visitatori, eventi culturali e musicali che registrano tutto esaurito. Famiglie che hanno due case di proprietà, o un televisore per stanza, o una barca ormeggiata in qualche porto turistico».
Il professore continua nella descrizione più o meno reale di quello che l’ipotetico marziano potrebbe vedere girando l’Italia. Allora, Ricolfi, pone la domanda: a chi bisogna credere? Al racconto martellante e sostanzialmente uniforme di studiosi e mass media o a quello che ha visto con i miei occhi? In fondo, siamo marziani un po’ tutti “quando giriamo per le nostre città e piccoli borghi anche noi ‘vediamo’ qualcosa che sembrerebbe contraddire la narrazione ufficiale, quella degli studiosi e dei mass media” .
Anni fa fece scalpore la frase di Berlusconi, e forse oggi suona come una beffa, “ci sarà la crisi, ma io vedo i ristoranti pieni”. Ancora ieri sera in Tv, seppure con qualche limitazione, si vedevano certe spiagge piene e che dire delle varie movide dove i giovani tutte le sere sostano o si ciondolano davanti ai locali notturni.
Tuttavia Luca Ricolfi, recentemente intervistato da Gianni Del Vecchio su Huffingtonpost.it., sembrerebbe sconfessare le tesi sostenute nel libro, ma non è così:“La nostra società, se non si cambia rotta, molto molto alla svelta (ma forse è già tardi), è destinata a trasformarsi in una ‘società parassita di massa’, che non è il contrario della società signorile di massa, ma ne è uno sviluppo possibile, una sorta di mutazione ‘involutoria’, come forse la chiamerebbe un matematico”. Si spiega meglio il professore: «nella società signorile il parassitismo di chi non lavora convive con un notevole benessere, che accomuna la minoranza dei produttori e la maggioranza dei non produttori. Nella società parassita di massa la maggioranza dei non lavoratori diventa schiacciante, la produzione (e l’export) sono affidati a un manipolo di imprese sopravvissute al lockdown e alle follie di stato, e il benessere diffuso scompare di colpo, come inghiottito dalla recessione e dai debiti. I nuovi parassiti non vivranno in una condizione signorile, ma in una condizione di dipendenza dalla mano pubblica, con un tenore di vita modesto, e un’attitudine a pretendere tutto dalla mano pubblica, con conseguente dilatazione della “mente servile”, per riprendere l’efficace definizione di Kenneth Minogue».
Ritornando alla società prefigurata da Ricolfi, la tesi che difende nel libro è quella di una società del benessere, che è il prodotto di un innesto tra capitalismo ed elementi tipici delle società signorili del passato, feudale e precapitalistico. Sostanzialmente è «società opulenta in cui l’economia non cresce più e i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono più numerosi dei cittadini che lavorano».
Tuttavia per Ricolfi occorrono tre condizioni per avere una società signorile di massa: 1 il numero di cittadini che non lavorano ha superato il numero dei cittadini che lavorano; 2 la condizione signorile, ovvero l’accesso a consumi opulenti da parte dei cittadini che non lavorano, è diventato di massa; 3 il sovraprodotto ha cessato di crescere, ovvero l’economia è entrata in un regime di stagnazione o di decrescita.
Nel primo capitolo il professore fornisce la definizione analitica precisa di società signorile di massa. Nel secondo descrive i pilastri economici e sociali della società signorile di massa, con una attenzione particolare alla sua infrastruttura paraschiavistica. Nel terzo, illustra i fenomeni del consumo signorile e i processi che li hanno resi di massa. Nel quarto si sofferma sulla forma mentis della società signorile di massa. Nell’ultimo il professore torinese si interroga sull’unicità del caso italiano e soprattutto quale futuro aspetta a queste società signorili.
A questo punto vediamo qualche passaggio significativo del libro. Intanto occorre distinguere chi ha il diritto alla cittadinanza, la popolazione residente e una parte, quella costituita da stranieri immigrati (nativi o acquisiti), tra questi in minima parte costituita da persone che vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Pertanto 5 milioni di non-cittadini (gli immigrati) e circa 3 milioni di poveri di nazionalità italiana, «i cittadini non-poveri sono più o meno 52 milioni di individui (su 55), ovviamente si distribuiscono – scrive Ricolfi – su un amplissimo spettro di condizioni economiche e sociali, dall’operaio che guadagna poco più dello stretto necessario per vivere, al manager che guadagna parecchi milioni di euro l’anno».
La società signorile di massa sono quei 52 milioni di italiani, che vivono al di sopra della soglia della povertà (l’87% dei residenti, ma ben il 94% di quanti hanno la cittadinanza italiana). Il suo nucleo economico è semplicemente il binomio opulenza+stagnazione, mentre il nucleo sociale è tutta interna ai cittadini italiani non poveri, «fra una minoranza di produttori, che lavora e genera surplus, e una maggioranza di inoccupati, che al surplus può accedere senza contribuire a produrlo». Tra le società avanzate, la nostra per tasso di occupazione totale è al penultimo posto, peggio di noi solo la Grecia. L’altro indizio della società signorile, è la presenza di un’ampia infrastruttura paraschivistica, di cui la popolazione straniera è quasi sempre una componente essenziale.
Naturalmente per spiegare meglio queste tesi Ricolfi propone delle interessanti figure statistiche che illustrano visivamente quello che lui sostiene. Inoltre il libro è pieno di cifre, di numeri, di comparazioni.
Per avere l’idea del cambiamento della nostra società rispetto al passato, cioè a 60 anni fa, Ricolfi fa l’esempio di una quindicina di esigenze che allora potevano permettersi solo i “signori”, come le cure mediche, la luce elettrica, l’acqua potabile, i servizi igienici in casa, il telefono, l’abitazione di proprietà, l’automobile, gli elettrodomestici. «Si tratta di conquiste che ora ci appaiono naturali o scontate ma che in Italia, anche solo un cinquantina di anni fa, all’apice del miracolo economico (1963),non lo erano affatto, perchè coinvolgevano solo una minoranza della popolazione, l’élite dei borghesi e – appunto – dei ‘signori’».
E oggi quali sono i consumi che possono essere definiti opulenti? Certamente non la Tv, gli elettrodomestici, il bagno in casa. Ricolfi, fa l’elenco: la seconda casa, la seconda auto, la palestra, le lezioni private per i figli, baby sitter, colf. Per non parlare del variegato cibo alternativo. Oggi la casa di proprietà e l’automobile è diventata un bene di massa nei primi anni settanta, circa l’80%, mentre per le vacanze lunghe circa il 65%. Certo sono delle generalizzazioni poi occorre vedere tante altre cose. Una cosa certa è che la maggioranza che non lavora quasi sempre è legata alle relazioni familiari (coniuge, figlio, genitore).
Un altro dato che viene evidenziato dal sociologo è che il sistema economico ha cessato di crescere, questo fattore è iniziato negli anni novanta. Ricolfi fa notare che nel nostro tempo, cambia tutto rapidamente: «il fatto che internet mette tutti davanti agli occhi di tutti [la competizione] è diventata più feroce che mai».
E’ un esperimento senza precedenti nella storia: “cambiare tutto incessantemente, ma senza crescere”.
I tre pilastri della società signorile di massa secondo Ricolfi sono l’enorme ricchezza, reale e finanziaria, accumulata in mezzo secolo da due precise generazioni: quelli che hanno fatto la guerra e quelli che hanno fatto il Sessantotto. Il secondo è la distruzione della scuola, o meglio l’abbassamento degli standard dell’istruzione, che hanno prodotto l’inflazione dei titoli di studio, riduzione della mobilità sociale, frustrazione collettiva.
Il terzo pilastro, il più recente, è la formazione in Italia di una infrastruttura paraschivistica.
Per avere più chiara la situazione, il professore offre qualche rozza cifra, nel 1951, il potere di acquisto delle famiglie italiane era, ai prezzi attuali, di 12.800 euro l’anno, una cifra che con le dovute cautele, corrisponde alla attuale soglia di povertà assoluta per la famiglia tipo. Oggi rispetto ai primi anni cinquanta, il potere d’acquisto medio è quasi quadruplicato: la famiglia media ha un reddito annuo di 46.000 euro, e per di più è molto meno numerosa.
Dunque la generazione che ha visto la guerra e in parte quella dei suoi figli «nel giro di trentacinque anni (dal 1946 al 1992), con il lavoro e con il risparmio, ha consentito a un paese povero e ancora largamente agricolo di diventare una delle prime potenze industriali del pianeta». Ma a far aumentare questo benessere, altro fondamentale ingrediente che rileva Ricolfi, è il risparmio delle famiglie italiane, che ha permesso ai nostri padri di accumulare un patrimonio ingente, fatto di case, depositi, azioni, obbligazioni.
Luca Ricolfi, essendo insegnante Analisi dei Dati all’Università di Torino, nonché responsabile scientifico della Fondazione Hume, non può non sottolineare l’aspetto fondamentale della progressiva distruzione della scuola con la conseguente disoccupazione volontaria. Tutto ha inizio negli anni sessanta. «Quello dell’istruzione è l’unico settore della società italiana in cui la produttività è in costante diminuzione da oltre mezzo secolo». Sarebbe interessante toccare alcuni aspetti del declino della scuola italiana, del resto abbiamo visto come è stata trattata dai nostri governanti dilettanti allo sbaraglio a causa del covid 19.
Comunque sia l’abbassamento degli standard scolastici ha danneggiato i ceti popolari, ha messo in difficoltà i datori di lavoro, ma ha creato anche un fenomeno nuovo: la disoccupazione volontaria, specie giovanile. Per disoccupazione volontaria, Ricolfi intende, la condizione di chi non lavora non già perchè non trova alcun lavoro, bensì perchè non è disposto ad accettare i lavori che trova, o che potrebbe trovare.
Nei decenni la scuola ha continuato a rilasciare certificati che nulla garantiscono. Abbiamo formato un esercito di disoccupati volontari, ma questo, secondo Ricolfi, grazie anche all’aumento del benessere e della ricchezza. E così in Italia abbiamo un insolito record europeo, il numero dei NEET, ossia giovani che non lavorano e non studiano, non sono impegnati in nessun percorso di formazione.
A tutto questo occorre aggiungere il terzo pilastro, quello dell’infrastruttura paraschiavistica. Qui Ricolfi fa riferimento al vasto panorama di uomini e donne che svolgono lavori di tipo schiavistico, i vari segmenti che ormai conosciamo bene.
La condizione signorile, ha la necessità di riempire il tempo libero, anche qui Ricolfi, fa una interessante ricognizione della nostra società. In questo caso nota una difficoltà nell’uso positivo del tempo libero. Nota che questo uso spesso si riempie con i consumi, c’è un bisogno di animare il tempo libero con una miriade di consumi che costano. Allora si possono fare diversi elenchi, dall’iPod per la musica ai massaggi, ai centri yoga, alle vacanze, al cibo, all’ordinazione di articoli vari su Amazon.
Inoltre Ricolfi fa notare tutto il settore legato a internet, usato spesso per lo svago e il divertimento, molto meno per lo studio e la ricerca. Altro strumento di evasione usato dagli italiani sono le droghe legali e non. 6 milioni per quelle cosiddette leggere e 2 per quelle pesanti. Andiamo avanti, gli italiani, sono un popolo di giocatori, c’è tutto un “mondo gaming”, da considerare. Il professore rileva una crescita impetuosa di giochi elettronici sul web e poi soprattutto il gioco d’azzardo che non è diminuito, anzi, negli ultimi quindici anni è letteralmente esploso.
Secondo i dati ufficiali che si riferiscono al gioco legale, per una spesa complessiva di 107,3 miliardi di euro, una spesa che vale quanto meno la spesa pubblica per la sanità. Gli italiani se smettessero di giocare potrebbero finanziare interamente la sanità pubblica (la voce più importante dello stato sociale, dopo la spesa pensionistica). Spendiamo per il gioco quasi quanto spendiamo per mangiare.
Ricapitolando, il 60% delle famiglie italiane che risiedono in Italia, per la ricchezza accumulata, secondo Ricolfi, stanno bene.
Come funziona la mente signorile? A questa domanda risponde nel 4° capitolo. Sul piano psicologico si instaura un doppio legame che si estende tra i produttori e i non-produttori. Ricolfi per spiegare meglio questo rapporto utilizza un esempio che trova in natura, la relazione tra un uccello (il bufago) e l’ippopotamo. E’ una relazione di sostentamento, il bufago è un parassita che vive con il cibo che trova sull’ippopotamo, non ha bisogno di cercarlo, non fa nessuna fatica.
La relazione tra il Bufago e l’ippopotamo è di doppio legame, entrambi sono intrappolati, in una relazione positiva e negativa. Naturalmente l’esempio serve al professore per spiegare il rapporto tra il padre e il figlio, definito “bamboccione”, un parassita che rimasto in casa, disoccupato ed escluso dal mercato del lavoro, emblema di un’intera generazione. Ricolfi peraltro fa notare che di solito i figli “parassiti” sono i maschi, da molto le donne studiano di più e si danno da fare. Da sociologo il prof torinese cerca di descrivere la mentalità signorile, principalmente individualista, con riferimento al politicamente corretto, a un certo volontarismo, tanto in voga oggi, in una certa cultura borghese.
Nell’ultimo capitolo si analizza il futuro delle società signorile di massa, in pratica dove molti consumano e pochi producono. Esiste un paese straordinario dove non sono presenti i cromosomi del non-lavoro, ma sono assenti tutti gli altri tratti che caratterizzano la società signorile di massa. Questo paese è Israele, con un livello di benessere considerevole, dove ha tutti i tratti anti-signorile: pochi anziani, un tasso di fertilità eccezionale (il più alto del mondo sviluppato), con piena adesione al lavoro. Israele è l’esatto contrario dell’Italia, che secondo Ricolfi, è in uno stato di continuo declino, si profila una sorta di “argentinizzazione” del paese.
«L’Italia del XXI secolo è una società signorile di massa che rifiuta di prendere coscienza di sé, forse anche perchè, se lo facesse, i suoi cittadini nativi non potrebbero più raccontarsi come vittime, e dovrebbero semmai riconoscere le ombre del benessere, compresa l’infrastruttura paraschiavista su cui esso in parte riposa».
DOMENICO BONVEGNA
domenico_bonvegna@libero.it