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di Roberto Malini
La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sulla Terra dei fuochi ha aperto un precedente giuridico di portata storica, riaffermando il diritto alla vita e alla salute come principi fondamentali, superiori a qualsiasi logica economica o amministrativa. La CEDU ha condannato l’Italia per non aver protetto i cittadini dagli effetti devastanti dell’inquinamento ambientale, sancendo un concetto chiave: quando lo Stato non previene o mitiga rischi sanitari noti e prevedibili, viola il diritto alla vita e all’integrità personale dei suoi cittadini.
Ma cosa accade quando, invece di bonificare un territorio inquinato, si decide di realizzare un impianto industriale classificato come “a rischio incidente rilevante” in un’area vulnerabile? È il caso del progetto di liquefazione del gas naturale a Pesaro, che pone interrogativi analoghi a quelli sollevati nella sentenza CEDU: uno Stato che autorizza un impianto pericoloso in una zona altamente a rischio può dirsi davvero garante del diritto alla vita?
L’impianto GNL di Pesaro: un rischio evitabile?
Il progetto prevede la costruzione di un impianto di liquefazione del metano nel quartiere Tombaccia, all’interno di un’area classificata a rischio alluvionale massimo (R4) e ad alta sismicità. Il ministero dell’ambiente ha concesso una Valutazione di impatto ambientale (Via) positiva, nonostante l’assenza di studi indipendenti sulla compatibilità del sito con le norme di sicurezza e sanitarie.
Ma quali sono i pericoli reali?
- Emissioni tossiche e patogene: il processo di liquefazione del metano rilascia particolato fine (PM2.5 e PM10), biossidi di azoto (NOx) e altre sostanze cancerogene, con impatti accertati sulla salute pubblica, soprattutto su bambini, anziani e persone con patologie respiratorie e cardiovascolari.
- Rischio di incidente rilevante: secondo il d.lgs. 105/2015 (normativa Seveso III), questi impianti devono essere collocati lontano dai centri abitati, per prevenire catastrofi legate a esplosioni o dispersione di gas. L’impianto pesarese sorgerebbe invece a 130 metri da case e scuole, in una zona in cui un evento sismico o un’alluvione potrebbero provocare il rilascio incontrollato di gas infiammabile e altamente pericoloso.
- Condotta del gas e trasporti pericolosi: il progetto prevede la costruzione di una condotta per il metano e un traffico massiccio di autocisterne. Ciò significa ulteriori emissioni di CO₂ e particolato, e un aumento esponenziale del rischio di incidenti stradali e fughe di gas.
Il diritto alla vita e alla salute è realmente tutelato?
Secondo la sentenza della CEDU, il diritto alla vita implica che gli Stati adottino misure efficaci per proteggere la popolazione da minacce ambientali e industriali. Nel caso della Terra dei fuochi, l’Italia è stata condannata per non aver informato adeguatamente i cittadini e per non aver adottato provvedimenti per ridurre l’inquinamento. Ma quanto è diverso il caso di Pesaro?
Il progetto GNL è stato portato avanti senza un’adeguata informazione alla cittadinanza, senza consultazioni trasparenti e senza una reale considerazione dei rischi per la salute pubblica. Ogni principio espresso nella sentenza CEDU sulla “terra dei fuochi” potrebbe essere applicato a questa situazione: si sta permettendo la costruzione di un impianto pericoloso in un’area fragile, senza le dovute garanzie di sicurezza e senza che la popolazione sia stata resa consapevole dell’impatto sanitario ed ecologico.
Verso un nuovo contenzioso europeo?
La sentenza CEDU potrebbe costituire un precedente giuridico importante per contrastare il progetto GNL a Pesaro. Se le istituzioni locali e nazionali non interverranno per bloccare l’impianto, la società civile locale potrebbe ricorrere alle vie legali, fino alla Corte di Strasburgo, denunciando la violazione del diritto alla vita e alla salute sanciti dall’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Conclusione: il futuro della sicurezza ambientale in Italia
Il caso Pesaro non è isolato: in Italia, si continuano a progettare e autorizzare impianti industriali pericolosi in zone a rischio, senza una reale valutazione dei danni sanitari e ambientali. La sentenza CEDU ci ricorda che la tutela della salute pubblica non è una scelta politica, ma un obbligo giuridico.
A Pesaro, come nella Terra dei fuochi, è tempo che il diritto alla vita e alla sicurezza ambientale prevalga sugli interessi economici di pochi.