In queste settimane dopo la catastrofe della pandemia si sente dire spesso che bisogna ripartire. Certamente deve ripartire l’economia del nostro Paese, ma deve ripartire tanto altro a cominciare dalla politica. In questi giorni ho letto un libro che non va solo letto ma anche studiato, si tratta de “Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa”, scritto dall’arcivescovo monsignor Giampaolo Crepaldi, pubblicato dalla casa editrice Cantagalli (2012).
Il testo è un manuale di Dottrina Sociale della Chiesa, “dedicato in modo mirato ai politici”, scrive il cardinale Angelo Bagnasco nella prefazione. Anche se può essere letto da chi non intende fare politica diretta. Certamente deve essere letto soprattutto da chi ha partecipato ai corsi di Dottrina Sociale della Chiesa organizzati da Alleanza Cattolica, ma anche dall’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuan”. Affrontando l’argomento ho presente che la politica non attraversa un buon momento, e a maggior ragione i cattolici in politica. Infatti, presento il libro avendo presente quello che ha scritto Ignazio Cantoni nell’ultimo numero della rivista Cristianità (“Fra un mondo che muore e un mondo che nasce”, n.408, marzo-aprile 2021).
Consapevole che esiste un ritmo delle civiltà, dei corsi e ricorsi storici come ha bene insegnato Giambattista Vico, è evidente che un mondo sta morendo, si tratta del mondo dell’uomo occidentale e cristiano. Tuttavia, se un mondo muore, di sicuro ne sta nascendo un altro, e come sarà questo mondo, soprattutto dopo la pandemia? Dipende da noi, come lo vogliamo fare, dipende anche e soprattutto dai credenti, dai cattolici, che anche ora devono dare il loro contributo. Certamente il libro di monsignor Crepaldi può dare un grosso contributo per la buona politica.
Il testo si compone di due parti, nella prima (i criteri), nella seconda (i contenuti). Il testo dell’arcivescovo di Trieste approfondisce i temi più cari della Dottrina Sociale, tenendo in considerazione i cosiddetti principi non negoziabili (Vita, famiglia, libertà educativa).
Il primo argomento considerato da Crepaldi è La dimensione pubblica del Cristianesimo, è la prima cosa che deve avere presente il cattolico impegnato in politica. Se non comprende questo, “non potrebbe collegare tra loro la sua fede religiosa e il suo impegno politico e quest’ultimo assumerebbe dei criteri privi di connessione con la sua religione”.
Il ruolo pubblico del cristianesimo è fatto di segni efficaci, di opere, di appartenenza a una comunità. Anche perché il cristianesimo non è una teoria, una filosofia, è un incontro, una relazione con la Persona di Gesù Cristo, con Dio che è entrato nella Storia. Gli uomini lo hanno incontrato nella loro vita, a cominciare dagli apostoli. E anche oggi continuano ad incontrarlo.
Il cristianesimo ha un ruolo pubblico perché difende il creato, ma soprattutto la dignità umana e la stessa legge morale naturale. Il testo di monsignor Crepaldi fa riferimento al magistero dei Papi, in particolare a quello di Benedetto XVI, che nella Caritatis in Veritate, ritiene che il riferimento a Dio, non solo è utile, ma anche indispensabile per una convivenza umana, conforme alla dignità della persona umana. È importante il ruolo pubblico del cristianesimo, perché tiene conto del peccato originale, della natura umana ferita e indebolita. “Quando l’uomo dimentica questa sua intrinseca debolezza sogna paradisi artificiali e assegna alla politica un ruolo salvifico molto pericoloso”. Il cristianesimo ha fiducia nell’uomo, nella sua capacità di volere il bene comune, nello stesso tempo, realisticamente vede le debolezze. Pertanto, il cristiano è convinto che la società ha bisogno di essere purificata, riformata, quando è decaduta.
Il secondo capitolo (La Dottrina sociale della Chiesa tra fede e ragione) qui Crepaldi mette a confronto gli strumenti naturali dell’uomo, le sue risorse, con la fede che ci è donata da Dio. La Dottrina sociale sta qui in queste due dimensioni. Il vescovo ci tiene a precisare che la Dottrina sociale non è una ideologia politica, né un semplice manuale di buon comportamento sociale. “Essa è annuncio di Cristo nelle realtà temporali […]”. Non serve se dimentica il suo fondamento religioso, infatti, “la sua funzione pubblica non deriva dal fatto di togliere gli elementi di fede e tenere solo quelli di ragione, ma nel la sua funzione pubblica non deriva dal fatto di togliere gli elementi di fede e tenere solo quelli di ragione, ma nel proporre l’orizzonte del dialogo ragione/fede già come interno al cristianesimo stesso”.
Un valido strumento per studiare e conoscere la Dottrina sociale, è il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, che fa riferimento a tutte le encicliche dei Papi.
Monsignor Crepaldi mette in guardia su come talvolta viene utilizzata la DSC, anche dagli stessi cattolici. Bisogna ricordare che “la Dottrina sociale è un unico corpus, che contiene elementi permanenti ed altri che cambiano, che non va vivisezionata e adoperata a brandelli […]”. Certo produce cultura politica, anche se non scende direttamente nel dibattito politico delle cose da fare, certamente non è un ricettario.
Per comprendere che cosa significa Dottrina sociale della Chiesa, occorre mettere a fuoco il punto di incontro tra fede e ragione. Da qui il cattolico può evitare di cadere nell’errore dell’integralismo o dell’indifferentismo di fronte ai principi della fede. Anche se il cattolico nel suo agire in politica non ha paura di utilizzare argomenti di fede e di religione, sapendo che sono fondamentali perché anche gli argomenti di ragione trovino la loro giusta valorizzazione.
Comunque sia, “la luce del cristianesimo non annulla il fatto che la politica sia politica e che la religione sia religione […] non toglierà niente a quanto è di Cesare, non pretenderà che tutti i cittadini del suo Stato siano cattolici come lui, non sovrapporrà le ragioni della fede a quelle della politica o dell’economia ma rispetterà la legittima autonomia di queste ultime”.
Il terzo capitolo il vescovo affronta (I principi della Dottrina sociale della Chiesa), che si possono sintetizzare nei seguenti punti: la trascendente dignità della persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà e la solidarietà, il primato del lavoro sul capitale, la scelta preferenziale per i poveri. Sono i più importanti, ma non gli unici.
Crepaldi ha adoperato un linguaggio conciso, preciso, efficace, a tratti coraggioso nell’affermare alcune verità della vita del politico. Affermare la dignità della persona significa combattere senza se e senza ma l’aborto e l’eutanasia. Esaminando il tema della difesa del creato, è un dovere importante, che va assunto con responsabilità, senza riduzionismi. Infatti, del creato fa parte anche la persona umana, anzi ne è il vertice. Pertanto, occorre che non ci sia solo una ecologia naturale, ma c’è anche quella umana da salvaguardare. Rispetto per il koala, ma soprattutto per il bambino concepito nel grembo della madre. Il politico cattolico deve proporre ai cosiddetti ambientalisti di essere coerenti: non si può rispettare la natura e poi dimenticarsi di rispettare l’umano.
L’ecologismo, nuova ideologia che riduce tutto, assegna alla persona umana un ruolo addirittura inferiore agli animali. La lotta alla povertà non va intesa in modo solo assistenzialistico.
Tuttavia, la questione della corretta laicità in politica è importante. Il tema viene affrontato nel quarto capitolo. Laicità però non significa neutralità rispetto alla religione. Neutralità non significa che lo Stato non dovrebbe esporre simboli religiosi nei luoghi pubblici, o obbligare i funzionari pubblici di ogni livello di non manifestare la loro religione nell’esercizio della loro funzione. La laicità così intesa, “si configura così come indifferenza al fatto religioso e come confinamento della religione dell’ambito privato. Il diritto alla libertà religiosa consisterebbe solo nella possibilità di culto dentro precisi spazi ben individuati”. Pertanto, chiarisce il vescovo, “se il cattolico in politica la pensa così, non ci sono più i presupposti per un suo impegno di cattolico in politica”.
Per la verità lo Stato neutrale in campo religioso non esiste. Affermare un mondo senza Dio, espellere Dio dalla società, significa fare una scelta, cioè un mondo senza Dio. Si impone una nuova religione, la religione della non-religione.
Ma se si espelle Dio dall’ambito pubblico, si espelle qualsiasi riferimento all’assoluto, anche di tipo morale. E qui Crepaldi denuncia il relativismo religioso, morale, etico. Infatti, “l’esito della laicità come neutralità è la riduzione della ragione politica a tecnica, a cose da fare, a PIL da far crescere […]”.
Il politico cattolico deve tenere gli occhi aperti di fronte a certe religioni che predicano l’odio, che non ammettono la dignità dell’uomo o della donna, che prevedono forme di violenza fisica o psichica, che non ammettono la libertà personale. Pertanto “il cattolico impegnato in politica impedirà la poligamia, in quanto lesiva della dignità della donna, non solo perché cattolico, ma anche perché deve rispondere alle esigenze del bene comune”.
E’ chiaro che il cattolico che assume cariche pubbliche, non rappresenta solo i cattolici e nemmeno i suoi elettori, men che meno rappresenta la Chiesa, è a disposizione della casa comune di tutti i cittadini per operare per il bene di tutti.
Tuttavia, il politico cattolico spesso si trova a fare delle scelte che implicano azioni moralmente inammissibili, come il caso del riconoscimento per legge del diritto di abortire, o delle leggi che permettono il sacrificio di embrioni umani, oppure quelle che legalizzano il suicidio assistito e l’eutanasia.
Il sesto capitolo (Il significato politico dei principi non negoziabili) l’arcivescovo fa riferimento alla Nota dottrinale del 2002 della Congregazione per la Dottrina della fede. Documento proposto dalla Chiesa proprio ai cattolici impegnati in politica. La loro bussola saranno i principi non negoziabili, che non sono solo cattolici.
(Unità dei cattolici in politica?), è la domanda posta da Crepaldi nel 7° capitolo. Qui affronta la questione storica della cristianità, quando c’era una forte compattezza prepolitica del mondo cattolico, naturalmente oggi non è più così.
Ma anche la questione dell’appartenenza dei cattolici ad un solo partito come se si trattasse di un dogma di fede. Collegato a questo c’è la questione della diaspora, cioè il rifiuto di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Qui Crepaldi elenca i rischi che si corrono in queste due forme di appartenenza dei cattolici. Comunque sia l’unità dei cattolici è auspicabile sicuramente intorno alle questioni fondamentali, ai principi non negoziabili. Si tratta, precisa il vescovo, “i cattolici in politica dovrebbero essere uniti e collaborare insieme non tanto per difendere una opinione cattolica o interessi confessionali quanto per difendere una verità e un bene dell’uomo”.
Comunque sia l’unità dei cattolici in politica comincia molto prima della politica. E poi stiamo attenti alla diaspora dei cattolici, significa che la DSC non è convenientemente promossa e recepita. Qui il vescovo punta il dito sulle mancanze del mondo cattolico, i teologi, le università, le librerie cattoliche, i centri culturali che non operano con coerenza con il Magistero. La confusione dottrinale è troppo evidente, è l’esito di quando la fede non diventa cultura, come diceva san Giovanni Paolo II.
L’ottavo capitolo affronta la questione delle ideologie, la principale di oggi è il riduzionismo, tutto viene ridotto, la persona, la famiglia a un accordo, i diritti a desideri, la religione a un mito, i valori morali ridotti a scelte, la verità a sensazione.
Le ideologie di oggi per Crepaldi sono l’ecologismo, il vitalismo, lo scientismo, il materialismo, lo psicologismo, lo sviluppismo, il terzomondismo, il pauperismo, l’ideologia del gender, l’ideologia della diversità, quella della tolleranza, l’economicismo, l’ideologia dell’homo oeconomicus, l’inclusivismo, il narcisismo.
Il 9° capitolo dedicato completamente ai contenuti fondamentali e irrinunciabili presenti nella Nota dottrinale del 2002.
Nella seconda parte del libro si inizia subito con la difesa della vita, senza questo cade tutto. Subito dopo si affronta, la protezione e valorizzazione della famiglia, Crepaldi segnala che serve certamente una politica per la famiglia, ma la sua crisi non è prodotta solo da contingenze economiche o sociali. La denatalità e la crisi familiare hanno prima di tutto cause culturali e di mentalità.
Si prosegue con il tema della libertà delle famiglie di educare i propri figli. Qui si sviluppa il rapporto delle famiglie con la scuola, come affrontare l’emergenza educativa. Si continua con il tema della promozione del diritto alla libertà religiosa, qui ritorna il tema del relativismo religioso. Non si possono mettere tutte le religioni sullo stesso piano. La politica deve governare i flussi migratori in base alla religione. Crepaldi si occupa dello spinoso problema dell’immigrazione e delle conseguenze future sulla società europee e in particolare italiana. Naturalmente si affrontano i temi della società multireligiosa e multiculturale. Non basta rispettare le regole, occorre rispettare anche i valori. E qui Crepaldi apre e pone domande su delle questioni fondamentali: siamo pronti ad accogliere gli immigrati? Chi siamo Noi? Ancora prima di sapere chi sono gli stranieri. Qual è la nostra identità, la nostra cultura, la nostra Storia. Siamo consapevoli di che cosa siamo? Se non lo sappiamo come facciamo a chiedere agli altri i doveri da rispettare.
Il tema del lavoro e la lotta sussidiaria alla povertà, viene affrontato tenendo conto del lavoro manuale e intellettuale.
Gli ultimi temi affrontati son quelli della gestione responsabile dell’ambiente, Crepaldi invita a liberare l’ecologia dalle maglie dell’ideologia. Altro tema, L’Europa e la sua identità. Anche qui c’è molto da chiarire, se l’Europa odia se stessa e non ha più nulla da dire al mondo, come fa ad affrontare le grandi sfide del mondo di oggi? Abbiamo visto con la pandemia del coronavirus.
DOMENICO BONVEGNA
domenico_bonvegna@libero.it