E ORA CHE ABBIAMO VINTO CI VUOLE GRAMSCI

Il Domenicale n.15 del 15 aprile 2006 nelle due paginate di “Finestre Aperte”, il settimanale diretto da Angelo Crespi aveva scritto: “E ora che abbiamo perso, ci vuole Gramsci”. I politici del Centrodestra non hanno capito l’importanza della cultura e l’utilità di un progetto gramsciano, perché per governare ci vuole il consenso e solo la cultura permette di ottenere quel consenso necessario per immaginare la rivoluzione liberale, io oggi scriverei, la rivoluzione conservatrice.

Purtroppo spesso abbiamo chiamato nelle istituzioni che contano uomini di sinistra, continuando a elargire prebende alla solita vecchia classe intellettuale. Una sorta di autolesionismo che ha impedito di scalfire la cappa di conformismo e politicamente corretto. Tutte queste cose venivano scritte diciotto anni fa da un giornale di area Destra conservatrice, che dopo qualche anno è stato costretto a chiudere. Il tema del progetto culturale a Destra è troppo vecchio e purtroppo viene quasi sempre emarginato, non c’è tempo per la cultura, una volta perché devi preparare delle elezioni, l’altra perché devi governare e quindi bisogna pensare a dare risposte concrete. Così il progetto viene sempre rinviato. A proposito di Centro, ci sarebbe da riflettere. Esiste ancora? Mi sembra abbastanza sbiadito, nonostante il buon Tajani si sforzi di rilanciarlo con forza.

“Dire che ci vuole Gramsci, cioè che è necessario un progetto gramsciano anche nel Centrodestra, cioè che solo attraverso la cultura può realizzarsi una vera rivoluzione, non è azzardato”, scrive il liberale Crespi. “Non significa rinnegare la nostra idea liberale, imponendoci metodi illiberali”. “Proprio la nostra ingenuità liberale ci ha condotto al disastro, lasciando che vincesse ancora la menzogna, dell’egemonia post-comunsta”. Essendo liberali, non abbiamo imposto i nostri uomini. E così abbiamo finito per omaggiare i soliti: o vecchi arnesi scialbi, incapaci di pensieri nuovi, sempre a succhiare la mammella del potere. Non abbiamo mai badato ai risultati nell’informazione, nel cinema, nell’arte, nella scuola, nelle università, nelle fondazioni, negli enti musicali, nelle case editrici. Tuttavia non si trattava di imporre una nuova egemonia, per sostituire quella vecchia. Dovevamo proporre nuovi pensieri. Sostanzialmente per Crespi, dovevamo “creare reti, luoghi di incontro, giornali, riviste, dare ai giovani spazi di crescita, prevedere percorsi di studio, finanziare ricerche e, perché no, carriere”. Questo era un compito della politica. Infatti, “spetta alla politica creare una nuova classe dirigente, spetta alla politica creare le condizioni (visibilità, opportunità, e diciamolo senza pruderie, soldi) perché una nuova classe intellettuale possa finalmente liberare l’Italia dalle pastoie di un’egemonia culturale stucchevole”. Invece quelli del Centrodestra hanno fatto il contrario: non hanno puntato sui giovani, ma i soliti noti, lesti a cambiare cavallo e spesso si sono affidati agli adulatori.

Per quanto riguarda l’informazione sempre Angelo Crespi scrive che è stato un errore non copiare Repubblica, si poteva immaginare un grande quotidiano di Centrodestra. Con i dati di allora sono 4 milioni di copie vendute di giornali si Sinistra, mentre soltanto 1 milione quelli di Destra. Crespi insiste occorreva produrre un giornale che potesse tenere insieme quel “blocco sociale conservatore, cattolico,popolare, liberale che ha governato insieme a componenti più laiche e riformiste il nostro paese per cinquant’anni ma che non ha un grande quotidiano in cui riflettersi”. E poi dotare questo quotidiano di tutti gli strumenti adeguati alla concorrenza con gli altri prodotti. Per esempio un allegato newsmagazine, allegato femminile, di economia e di lavoro, un allegato di cultura, un vero sito internet. Crespi era convinto che la carta stampata, il quotidiano cartaceo, rispetto alla Tv, forniva la vera informazione.

Mentre sulla Formazione, interviene Marco Respinti. Secondo il giornalista mancano le reti e un ceto politico che le usi e soprattutto regna la divisione su ciò che le reti debbono veicolare. Che il Centrodestra abbia bisogno di un lungo lavoro di formazione lo si capisce da tutti gli interventi che hanno riempito il fascicolo in questione. (Due pagine, con nove interventi e i relatori si sono limitati). Insomma per Respinti il Centrodestra non ha saputo costruire se stesso. E forse non è neanche questione del “partito unico”. “Ciò che il centrodestra non ha fatto perché evidentemente non ha saputo fare è la formazione: la formazione di se stesso, la formazione permanente. In pratica non c’è un settore dove il Centrodestra mostri compattezza, soprattutto nei principi. Appunto i principi che non sono negoziabili. Il primo punto a cui guardare per Respinti è che c’è una incapacità nel centrodestra nel fare rete dei propri strumenti. E’ un “arcipelago di isole sparse”. A cominciare dalla carta stampata, e qui si fa il nome di qualche giornale, a cominciare da Il Domenicale, Il Foglio, Ideazione. Praticamente Respinti nota “un individualismo meschino che vede nell”altro’ un concorrente lanciato a sottrarre qualche briciolo di pubblicità e una manciata di lettori, ognuno tira avanti con i paraocchi”. Invece sarebbe auspicabile maggiore omogeneità. Il secondo punto, “è l’insipienza del ceto politico di area a fare tesoro di chi oggi è isola puntando domani all’arcipelago. Cioè, già difficile fare rete, ma se poi nessuno le utilizza in sede politica allora tanto vale. Perché resta sempre vero che chi sbaglia cultura sbaglia politica.

Il terzo punto dibattuto da Respinti è la coerenza nel dirsi di Destra, Liberale, bisogna essere prima di dirsi. In conclusione Respinti con rammarico denuncia che la sinistra o vince o perde le elezioni riesce sempre a mantenere l’egemonia culturale su tutto: nella scuola, nelle università, nelle case editrici, nello sport e tempo libero, insomma in tutti i gangli della vita vera del Paese. “Riescono – scrive Respinti – perchè hanno investito tutto sulle ‘università parallele’, quelle della strada, delle sezioni, della vita”. Le Sinistre stanno assieme solo perché hanno un nemico comune, la loro meccanica regge perché in altre stagioni hanno saputo rodare e oliare. Occorre riflettere su quello che fatto in passato Antonio Gramsci.

Un’altra battaglia che va combattuta con intelligenza da parte del Centrodestra è quella sull’ambiente. In questo dibattito aperto su Il Domenicale era intervenuto ancora Marco Respinti. Allora ancora si era all’inizio di quella “offensiva dei Verdi (oggi hanno occupato le prime pagine dei giornali e delle tv,in particolare mediaset) rimasuglio del vecchio estremismo indiano metropolitano e avanguardia della nuova era”. Il Centrodestra non deve sentirsi in perenne difetto e quindi di chiedere scusa per il suo non o poco ambientalismo. Ai Verdi ideologizzati, afferma Respinti bisogna rispondere con il patrimonio di cultura e di pensiero del Centrodestra che va studiato e rivendicato con orgoglio. Una cultura della politica che mette al centro l’uomo, i suoi diritti di persona, le sue sacrosante libertà e una organizzazione sociale e ne esalta le sue potenzialità. La Destra non ha nulla da temere sul fronte ambientale. Gli altri interventi voglio solo segnalarli, per quanto riguarda la televisione se ne è occupato Giuseppe Romano, Per il cinema, è intervenuto Pino Farinotti. Per l’arte ha scritto Beatrice Buscaroli. Per la Letteratura, Davide Brullo, la Musica, ne parla Giuseppe Pennisi, Per le Fondazioni, Matteo G. Brega.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com