Per una nuova Ri-costruzione. “Programmare non è proiettare il presente nel futuro, ma l’opposto, avere una idea di futuro da innestare nel presente”…
Il Rapporto Italia, giunto quest’anno alla 33a edizione, ruota attorno a 6 capitoli, ciascuno dei quali offre una lettura dicotomica della realtà esaminata. Ogni capitolo è illustrato attraverso i saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.
Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2021 sono:
Continuità/Frattura • Oikos/Kosmos • Sostenibilità/Insostenibilità
Scienza/Coscienza• Salute/Malattia • Meridione/Settentrione
Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes e altri di recente interesse: la fiducia nelle Istituzioni, l’opinione su alcune delle misure proposte o introdotte dal Governo, la situazione economica delle famiglie e i consumi, l’idea di futuro tra i giovani, gli stereotipi e il politicamente corretto, i temi etici, gli stereotipi su Nord e Sud del Paese, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, lo stalking, la salute mentale e l’uso dei farmaci, l’informazione attraverso i media, il mondo dello scoutismo attraverso l’indagine condotta in collaborazione con l’Agesci, lo smart working, il cambiamento delle abitudini a causa della pandemia.
Nel Rapporto vengono, inoltre, affrontati attraverso le schede fenomenologiche diversi altri temi di stretta attualità come, ad esempio, i fenomeni migratori, la capacità di innovazione del Made in Italy, la moda sostenibile, la comunicazione veicolata attraverso i Social Network, gli E-Sport, la questione meridionale, le professioni del futuro, la valorizzazione del capitale umano, il fisco e le possibili riforme, la robotica e l’industria 4.0, la moda etica, la Scuola in digitale, gli alunni con bisogni educativi speciali, le smart cities e le nuove esigenze abitative, le infrastrutture.
Al Rapporto di quest’anno affidiamo il concetto di FUTURO, scelto come “parola chiave”, per sottolineare che la costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa.
Nelle considerazioni generali che aprono il Rapporto il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha voluto sottolineare: «La pandemia ha messo in discussione valori, interessi, scelte, etiche, priorità, prospettive. Ha ridisegnato alleanze, confini politici, rapporti tra Stati. Ha imposto nuovi percorsi economici e sociali. Ha messo in risalto fragilità e ritardi del sistema, inefficienze e incapacità nella gestione della complessità. Ha mostrato il fallimento delle pretese taumaturgiche delle autonomie regionali. Ma, soprattutto, ha fatto emergere la necessità di ricostruire una identità statuale compressa negli anni da una devoluzione verso il basso, le Regioni, e verso l’alto, l’Europa. Nello stesso tempo, ha archiviato l’idea che i cittadini possano sostituire efficacemente – e ad un livello etico supposto superiore – le Istituzioni politiche.
Il Covid è anche il salutare “scapaccione educativo” dato da un padre burbero e un po’ all’antica per richiamare il figlio scapestrato a più miti consigli e al senso di responsabilità. Un microscopico virus ha qualificato il gigantesco tema del futuro come “necessità” e imposto a tutte le generazioni l’urgenza di impegnarsi nella coltivazione di un pensiero a lungo termine.
Il Paese dis-organizzato, così come è oggi, non è in grado di sostenere le sfide che la pandemia ha lanciato. Senza una pacifica “rivoluzione culturale” saremo destinati all’oblio, ad una deriva dell’esserci senza essere, alla perdita di quel tanto di identità rimasta.
Intanto, crescono l’insofferenza, l’insicurezza e la ricerca di un futuro possibile, ma soprattutto la richiesta di una guida sicura che liberi il Paese dall’incertezza e dall’approssimazione con le quali è stato condotto sin dall’inizio della pandemia. L’insediamento del Governo Draghi – frutto dell’incessante lavoro del Presidente della Repubblica – è il segno della raggiunta consapevolezza, tra le diverse forze politiche, della gravità della situazione.
Istituzioni litigiose, in contraddizione o distanti tra loro diffondono un senso di sfaldamento proprio laddove, invece, dovrebbe passare la percezione di un “serrate i ranghi” a ogni livello; di qui il disagio generale, l’incertezza del presente, la paura del futuro. l’arrivo della pandemia si inserisce in un quadro di grande difficoltà di un Paese segnato da una profonda crisi economica e sociale e da una crisi demografica che assottiglia di anno in anno il numero delle nascite. Insomma, un Paese sempre più povero e sempre più vecchio che, nello stesso tempo, registra il progressivo indebolimento dei ceti medi, vera spina dorsale della democrazia.
Se, come diceva Shakespeare nel Giulio Cesare, «gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino», questo è il tempo di dimostrarlo dispiegando tutta la saggezza, l’impegno, il senso civico, lo spirito di collaborazione necessari senza inutili protagonismi e mettendo da parte ogni interesse personale.
Di particolare importanza sono i cambiamenti che stanno intervenendo nelle nozioni di tempo, nel rapporto tra passato, presente e futuro; come nelle nozioni di spazio, nel rapporto tra locale, nazionale, internazionale, tra virtuale e reale. Quale futuro vogliamo costruire?
La costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, in sostanza un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa. In questo senso, valgono ancor oggi gli ammonimenti di uno dei padri della programmazione strategica, Hazan Özbekhan, co-fondatore e primo direttore del Club di Roma, 1968: «Programmare non è proiettare il presente nel futuro, ma l’opposto, avere una idea di futuro da innestare nel presente».
FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI: OTTIMO RISULTATO IN TERMINI DI CONSENSI PER IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, PER LE FORZE ARMATE E LE FORZE DI POLIZIA. CALANO LA MAGISTRATURA, LA CHIESA E I SINDACATI. L’OPERATO DEI PRESIDENTI DI REGIONE DIVIDE A METÀ L’OPINIONE PUBBLICA CON UNA PREVALENZA DI SFIDUCIATI. EPPURE IN MOLTI CHIEDONO MAGGIORE AUTONOMIA PER LE REGIONI (54,7%). L’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ANCORA NON CONVINCE
Aumentano gli sfiduciati nei confronti dell’operato delle Istituzioni (+7,6%)
Nell’ultimo anno, aumenta il numero degli italiani che indicano una diminuzione della propria fiducia nei confronti delle Istituzioni del nostro Paese: dal 24,9% del 2020 al 32,5% del 2021.
Mattarella: il miglior risultato da inizio mandato
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, raccoglie invece il miglior risultato di fiducia da inizio mandato, con una quota di cittadini che esprime il proprio consenso pari al 57,7% e un aumento di 2,8 punti percentuali rispetto allo scorso anno.
Cresce anche il Parlamento, ma sempre con livelli bassi di consenso
Il Parlamento raccoglie, nel 2021, il 34,4% dell’apprezzamento dei cittadini (era il 25,4% nel 2020).
Cala l’apprezzamento nei confronti della Magistratura
Il consenso nei confronti della Magistratura passa dal 49,3% del 2020 al 47,7% raggiunto nel 2021. Un risultato comunque migliore del dato atteso.
Presidenti di Regione: uomini soli al comando. Prevalgono i giudizi negativi
Il 42,6% dei cittadini indicano un giudizio positivo per il proprio Presidente di Regione, mentre gli sfiduciati toccano quota 49%.
Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza: un punto fermo nella fiducia degli italiani
Nell’incertezza e nella variabilità manifestata dal giudizio generale nei confronti delle Istituzioni, le Forze dell’ordine e di polizia restano un faro e continuano a tracciare un segno importante della vicinanza tra i cittadini e il sistema istituzionale. Grande apprezzamento esprimono dunque i cittadini per la Polizia di Stato (69,2%), per l’Arma dei Carabinieri (64,7%) e per la Guardia di Finanza (67,7%).
L’Intelligence
Sei italiani su dieci si dicono fiduciosi nel lavoro della nostra Intelligence.
Le Forze Armate confermano gli altissimi livelli di fiducia degli anni passati
Continua ad essere apprezzato anche il lavoro delle Forze Armate registrando livelli alti di consenso: Esercito Italiano (71,5%) Aeronautica Militare (72,6%), Marina Militare (73,6%).
Gli altri Corpi
Dai dati emerge il larghissimo apprezzamento per i Vigili del Fuoco (87,7%); un diffuso consenso per la Polizia penitenziaria (64,3%) e, infine, un buon risultato anche per la Polizia locale (58,2%).
Le altre Istituzioni
Da un anno all’altro, restano stabili nei consensi in particolare per la Scuola (dal 65% nel 2020 al 66,5% rilevato nel 2021); la Protezione civile (dal 77,8% al 77,2%); l’Università che si mantiene sul 70% circa del grado di fiducia. Ugualmente stabili, ma con un tasso di fiducia molto meno importante, i Partiti si posizionano nell’ultima rilevazione al 27,2% (il dato era pari al 26,6% nel 2020). In discesa i Sindacati: dal 46,4% del 2020 all’attuale 40%, e la Chiesa cattolica (-6,7%) che passa dal 53,4% dei fiduciosi al 46,7%. Cresce in termini di consensi il Sistema sanitario nazionale: dal 65,4% del 2020 al 71,5% del 2021. Il 50,8% dei cittadini è sfiduciato nei confronti dell’Europa.
Come potrebbe cambiare il volto delle Istituzioni italiane?
Tra le possibilità proposte nell’indagine dell’Eurispes, l’abolizione delle Regioni raccoglie solo il 28,3% delle indicazioni favorevoli. Coerentemente, il 54,7% dei cittadini chiede una maggiore autonomia da affidare alle Regioni. Ben il 49,2% degli italiani si dichiara favorevole all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, anche se i contrari sono la maggioranza: il 50,8%.
Come far ripartire l’economia?
Secondo il 51,2%, dei cittadini sarà possibile superare la crisi economica solamente con un ruolo più forte dello Stato. Il 50,4% si dice favorevole nel replicare, per la realizzazione delle opere pubbliche nel nostro Paese, il modello “ponte di Genova”.
Spiega ancora il Presidente dell’Eurispes: «Il Pil non può crescere in un paese che invecchia e nello stesso tempo diminuisce in popolazione. L’economia per crescere ha bisogno di innovazione e della capacità di sapersi rapidamente adattare ai mutamenti imposti, di volta in volta, dal sistema globale.
Un esempio tra i tanti possibili è quello del mancato ricambio generazionale nella Pubblica amministrazione. Personale, ormai per la gran parte in età, fatica quando non arranca, a confrontarsi con le nuove tecnologie e non riesce nemmeno a vedere la nuova sfida che le suddette tecnologie pongono alle Istituzioni e alla Amministrazione pubblica: quella della connessione, del dialogo fra pari, della trasparenza e orizzontalità delle relazioni.
Pensare di poter avviare e gestire i necessari processi di digitalizzazione con personale appartenente culturalmente alla “galassia Gutenberg”, appare come una chimera. Vengono trattenute in servizio persone giunte alla soglia della vecchiaia, motivando tale scelta con il costo eccessivo che il loro pensionamento produrrebbe a carico del sistema previdenziale, ma non si considerano i vantaggi che l’immissione di nuove leve consentirebbe sia in termini occupazionali per le giovani generazioni sia in termini sociali e demografici e anche, forse soprattutto, in termini di efficacia ed efficienza.
Sul piano culturale, un Paese vecchio e tendenzialmente conservatore non innova, si accontenta di gestire al meglio possibile il presente ed esalta il passato. Sul piano economico, consuma la ricchezza prodotta dalle generazioni precedenti e mortifica e impoverisce quelle future».
PESSISMISMO SUL FUTURO DELL’ECONOMIA DEL PAESE, EPPURE PER LA MAGGIOR PARTE DEI CITTADINI LA PROPRIA CONDIZIONE ECONOMICA NELL’ULTIMO ANNO È RIMASTA STABILE. SEGNALI POSITIVI SUL FRONTE DEL RISPARMIO, PESANO DI PIÙ MUTUO E AFFITTO. DIFFUSO IL RICORSO ALLE RATE
La condizione economica del Paese e quella familiare
Secondo le rilevazioni dell’Eurispes (2021), otto italiani su dieci (79,5%) avvertono un peggioramento (netto 54,4% o in parte 25,1%) dell’economia nazionale negli ultimi dodici mesi. L’11,6% ritiene che la situazione sia rimasta stabile, mentre solo il 3,8% indica un leggero (2,9%) o un netto (0,9%) miglioramento. A sottolineare l’eccezionalità della crisi generata dalla pandemia è il confronto con le risposte registrate nei 5 anni precedenti, quando è sempre prevalsa l’idea di una sostanziale stabilità nell’andamento della situazione economica del Paese e le opinioni sul peggioramento coinvolgevano meno della metà degli intervistati.
Rispetto al futuro dell’economia del nostro Paese prevale un sentimento di pessimismo con il 53,4% di chi si dice convinto che nei prossimi dodici mesi la situazione è destinata a peggiorare. Nonostante i giudizi negativi espressi sull’andamento dell’economia del Paese, gli italiani riferiscono, nel 42,4% dei casi, che la propria situazione economica negli ultimi dodici mesi è rimasta invariata.
Le difficoltà incontrate dalle famiglie
Rispetto al passato sono diminuite le famiglie che devono utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese (37,1%, il massimo si è raggiunto proprio lo scorso anno con il 47,7%) e aumentate quelle che dichiarano di arrivare senza grandi difficoltà a fine mese (44,3%, superato solo nel 2017 con il 51,7%) e di riuscire a risparmiare (27,6%): tutti segnali positivi se non ci fosse la tendenza opposta per quanto riguarda l’incremento di quelle che hanno difficoltà a pagare la rata del mutuo (38,2%) e l’affitto (47,7%). Aumentano di poco le percentuali di quanti faticano a pagare le spese mediche (24,1%; +1,8%) e a pagare le utenze domestiche (27%; +1,1%).
Come fronteggiare le difficoltà: molti rateizzano
Il 28,5% dei cittadini afferma di essere dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine, ma solo il 14,8% ha chiesto aiuto ad amici, colleghi o altri parenti. Il 15,1% ha fatto richiesta di un prestito bancario e quasi il doppio ha effettuato acquisti rateizzando il pagamento (28,7%). Circa un decimo del campione ha messo in atto i seguenti comportamenti: chiedere soldi in prestito a privati (non amici/parenti) non potendo accedere a prestiti bancari (9,4%); tornare a vivere nella casa della famiglia d’origine o dai suoceri (10%); vendere/perdere dei beni (11,4%); ritardi nel saldo del conto presso commercianti/artigiani (11,8%). Sono di più invece gli intervistati che hanno pagato le bollette con forte ritardo (22,4%) e che sono stati in arretrato con le rate del condominio (18%). Per quanto riguarda particolari situazioni lavorative, sono molto simili tra loro le percentuali di quanti hanno accettato di lavorare senza contratto (15,4%) e hanno svolto più di un lavoro contemporaneamente (15,1%).
Le rinunce: istruzione privata per i figli e acquisto dell’auto
Sul fronte dei servizi alla persona, fra chi ha figli in età scolare ha rinunciato all’istruzione privata il 41,1%; e nelle situazioni familiari in cui c’era la necessità di una badante ne ha fatto a meno un italiano su tre (33,4%), mentre in poco più di un caso su cinque sono state rimandate le visite mediche specialistiche (22,4%). Per quanto riguarda i consumi, gli italiani hanno rinunciato più spesso all’acquisto di una nuova automobile (37,3%), ma anche alle spese sulla casa (sostituzione di arredi/elettrodomestici 34,5% e riparazioni/ristrutturazioni 34,2%); meno frequente il caso in cui è stata rimandata la riparazione del proprio auto/motoveicolo (23,9%).
Così secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «Le criticità emerse hanno messo ancor più in risalto l’insieme dei segnali di malessere economico e sociale denunciati dal nostro Istituto nel corso degli anni. Le prime analisi segnalano un ulteriore impoverimento dei ceti medi che si inasprirà tra pochi mesi con lo sblocco dei licenziamenti. Ci troveremo allora a doverci confrontare con nuove forme di disagio e di conflitto sociale.
Dovremo misurarci – e lo segnaliamo oggi – con una nuova, amara realtà: quella dei “conflitti di vicinato” se non, addirittura, di “pianerottolo”. Che cosa accadrà quando il licenziato del privato si incontrerà col vicino di casa dipendente pubblico che il proprio posto lo ha conservato? Avremo nuovi figli e figliastri e metteremo in moto ulteriori motivi di delegittimazione dell’Istituzione pubblica.
Se, come tutti affermano, il nodo centrale è quello di far ripartire la crescita e rianimare i consumi interni, dobbiamo avere la consapevolezza che ciò non potrà avvenire se non attraverso una coraggiosa operazione di redistribuzione della ricchezza creata e di stimolo alla generazione di nuove fonti di ricchezza – dalle start up giovanili, agli investimenti diretti al Sud, al reinserimento nella filiera produttiva dei territori dell’Appennino grazie alla diffusione della banda larga e via dicendo.
Un Paese imbrigliato, in ostaggio di una burocrazia asfissiante, di un sistema di regole di impronta feudale. La manutenzione ormai serve a poco perché la nostra dotazione infrastrutturale è talmente obsoleta che non vale più la pena di conservarla. Occorre demolire e ricostruire se veramente si vuole rilanciare l’economia nazionale».
Infine il Presidente Fara rilancia un’idea: «Nel corso degli anni, a più riprese, abbiamo segnalato l’idea di “smontare” tutti gli insediamenti industriali ormai obsoleti e quelli nei quali è cessata la produzione. Tra i tanti, il caso di Taranto è davvero emblematico e sofferto.
Salutato all’inizio come panacea dei problemi occupazionali e, nello stesso tempo, come avanguardia del nuovo sviluppo industriale del Meridione, si è rivelato nel tempo un pozzo senza fondo che ha ingoiato un numero imprecisato di miliardi di euro. Nello stesso tempo, lo stabilimento è diventato una vera e propria centrale di produzione delle patologie più diverse segnalate puntualmente dalle autorità sanitarie regionali.
Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio i propri asset e le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie.
A chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro si può segnalare che esistono soluzioni alternative. Coerentemente con le strategie a lungo termine dell’Unione europea, con i Piani nazionali per l’energia e il clima e con i Piani per la riqualificazione ambientale, le stesse risorse, finanziarie e umane, impegnate per mantenere in vita lo stabilimento, possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni.
Secondo calcoli, sia pure approssimativi, occorrerebbero dieci anni circa per la prima fase, smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli».