Ferro, dal flirt col mafioso alla lotta alla ’ndrangheta

AL VIMINALE – Negli anni 90 ebbe una relazione con Sparacio, il boss che ai pm disse: “Dopo la mia latitanza fui suo ospite”. La replica: “Non sapevo fosse un criminale”

DI MARCO LILLO

Wanda Ferro oggi giurerà come sottosegretario agli interni. Classe 1968. Deputato in Commissione Antimafia dal 2018, stimata da pm importanti per la sua attenzione alla legalità, la carriera di Wanda Ferro dimostra che è permesso a tutti fare un errore in gioventù, ritemprarsi e crescere. Più di 30 anni fa, infatti, ha avuto una relazione con Luigi Sparacio, detto Gino, boss della mafia messinese con alle spalle decine di omicidi. Lei però era inconsapevole del suo passato e presente criminale.

Raccontò il boss Sparacio quando iniziò a collaborare: “Dopo la mia latitanza (…) avevo trovato ospitalità presso una ragazza calabrese di nome Ferro Wanda che avevo conosciuto da poco”. Quando Sparacio venne a sapere che il telefono era sotto controllo escogitò una contromossa: “Per trarre in inganno gli organi preposti all’ascolto organizzai due telefonate fasulle (…) Una la feci io stesso dalla stessa abitazione utilizzando il mio cellulare con il quale composi il numero di Wanda, alla quale dissi che mi ero stancato della nostra amicizia e che intendevo porvi fine. L’altra la feci fare a un’amica di Wanda che abitava nello stesso stabile. Infatti, su mio suggerimento Wanda rintracciò tale amica e le spiegò di recarsi in una cabina telefonica e da questa chiamare il numero di casa sua. Concordammo che (…) l’amica le avrebbe detto che, qualche giorno prima, mentre si trovava a Roma mi aveva visto uscire da un locale insieme a una ragazza bionda in atteggiamento affettuoso. La Wanda a questo punto avrebbe dovuto manifestare indignazione e gelosia dicendole che dopo tutto ciò non avrebbe più voluto saperne di me. E infatti, dopo aver concordato ciò, la ragazza si recò in un telefono pubblico ed effettuò la telefonata a casa di Wanda che si svolse nei termini concordati. (…) Wanda Ferro non sapeva assolutamente che io ero latitante e neppure che ero vicino alla criminalità organizzata (…) Giustificai in maniera banale alla ragazza tale mio comportamento assumendo che avevo avuto un incidente stradale con un poliziotto con il quale avevo avuto un acceso diverbio picchiandolo, per cui lui e i suoi colleghi mi perseguitavano e cercavano di rintracciarmi a ogni costo per vendicarlo. La ragazza in buona fede mi credette, non avendo motivo di dubitare delle mie affermazioni. Fatto ciò abbandonai subito l’appartamento portandomi in un’altra abitazione di Messina. Solo successivamente la ragazza apprese la verità e cioè che io ero ricercato contestandomi il fatto notevolmente risentita. Io le feci capire che non mi potevo comportare diversamente”.

La versione di Wanda Ferro con i pm è un po’ diversa: non seppe allora dal suo Gino, ma solo dopo dai giornali che era ricercato.

In un’aula di Tribunale a Catania il 2 luglio 2004 da testimone raccontò così l’inizio della relazione: “In occasione del mio compleanno si fece una cena tra studenti, (…) siamo andati in una discoteca presso il Tout Va di Taormina e ho conosciuto Sparacio, eravamo al bar lui mi ha detto che come lavoro faceva il pacchista, cioè più o meno un rappresentante, (…) viveva a Milano, veniva qua perché… aveva la mamma”. Sparacio girava in Ferrari modello Modena. “Anche se con me usciva con una Golf”, precisa Ferro. Non le aveva raccontato niente. Nemmeno di essere sposato e lei, ventenne di buona famiglia, lo aveva presentato ai genitori, a Catanzaro. Apprese chi era dai giornali e non lo vide più. Lo ha frequentato dal 23esimo compleanno, il 24 marzo 1991 al 22 novembre del 1992. Il giorno della telefonata concordata. Fu arrestato il 15 gennaio del 1994 e immediatamente cominciò a collaborare. Accusò un commissario di polizia che poi si dimostrò innocente. Omise le responsabilità dei suoi complici in alcuni omicidi. Per i giornali divenne così il ‘falso pentito’. Oggi ha scontato la sua pena ed è un uomo libero. Nel febbraio 1994 chiamò Wanda Ferro per dirle che collaborava e l’avrebbero chiamata i magistrati. Lei aveva già incontrato l’uomo della sua vita, al suo fianco per 26 anni, recentemente scomparso. Di quella disavventura ha parlato ai pm nel 1996, nel 1998 e nel 2004. Vorrebbe che su questo calasse l’oblio.

Però Sparacio resta un personaggio misterioso che interessa le Procure. Il 24 ottobre a Reggio Calabria si è riparlato di lui al processo di appello ’Ndrangheta Stragista. Il vicequestore della Dia Michelangelo Di Stefano, ha illustrato un’informativa del maggio 2022 che dedica una decina di pagine alle sue rivelazioni. Nell’aprile 1994 Sparacio raccontò di avere pedinato in un ristorante romano nel novembre ’93 – su richiesta del boss Leoluca Bagarella e del suo braccio destro Nino Mangano – il capo della Dia Gianni De Gennaro che Cosa Nostra voleva uccidere. Sparacio disse che in quel ristorante lui era già andato in precedenza solo per mangiare con uno studente conosciuto a Messina, Pasquale Leone “che peraltro nulla ha a che fare con questa vicenda”. Poi però Sparacio confusamente tirò in ballo il più noto socio in affari del padre di Leone (Rosario Leone classe 1941, incensurato) cioè l’estremista nero Stefano Delle Chiaie. Per questo Delle Chiaie fu indagato a Firenze per le stragi del 1993 ma il gip, su richiesta dei pm, lo prosciolse nel 2002 perché “le dichiarazioni rese dallo Sparacio sono intrinsecamente inattendibili, oltre che prive di alcun elemento oggettivo di conforto atto a configurarne l’attendibilità estrinseca”.