di Francesca Ghezzani
Pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%), con un gap di genere di quasi 18 punti percentuali. È quanto emerge dal Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno fotografa le differenze di genere nel mondo del lavoro. Insomma: l’occupazione cresce, ma non intacca il divario di genere.
È questa la notizia pubblicata qualche giorno fa su IMG PRESS che mi è stato chiesto di commentare.
Accolgo di buon grado l’invito non per polemizzare e con un intento fin da subito chiaro: lo farò sì da giornalista, ma ancor prima da donna, lavoratrice e con una famiglia al mio fianco, cercando di essere costruttiva e aperta al confronto; solo così, del resto, credo si possano trovare le migliori soluzioni e gli equilibri più sani.
Siamo nel 2023, eppure ancora ci stupiamo se vediamo una donna svolgere una professione che, nell’immaginario collettivo, siamo abituati ad associare all’universo maschile, esattamente nel modo in cui succede il contrario. Questo accade frequentemente anche nella sfera familiare, dove un padre premuroso, presente, che divide in egual misura diritti e doveri viene additato come il mammo e non come il papà della sua creatura.
Viviamo in un’epoca di passaggio, in cui il cambiamento è in atto, ma richiede tempo per modificare il paradigma culturale e gli stereotipi a cui siamo assuefatti. Il solo notare uno scambio tra ruoli professionali che definiamo per abitudine appannaggio dell’uno o dell’altro sesso e che si elogino gli uomini perché aiutano in casa come se fosse un comportamento eclatante più unico che raro (lo faccio io per prima) ci dice a chiare note che la strada da fare è ancora tanta.
Avvengono degli eventi storici che fanno da acceleratori, ma a volte mettono in atto anche degli stop & go: la pandemia, per esempio, ha allargato il problema della disparità di genere registrando un 98% tutto “rosa” tra chi ha perso il lavoro e contando, secondo i dati Istat, 99 mila donne su 101 mila nuovi disoccupati.
E poi, diciamo la verità senza tirare in causa l’odiosa ipocrisia: la parità è anche una questione etica, ma conviene davvero a tutti andare verso questa direzione quando chi ricopre ruoli apicali ha poca intenzione di cederli e in una società in cui, come scrive la giornalista americana Amy Westervelt nel suo libro Dimentica di avere tutto “Ci aspettiamo che le donne madri lavorino come se non avessero figli e crescano i loro bambini come se non lavorassero”?
A questo aggiungiamo quell’ideale di perfezione, quell’incapacità di delegare, quell’ossessione all’ipercontrollo e la cultura del senso di colpa che attanaglia molte donne. Quante volte mi sono domandata se questi sentimenti affliggano o meno anche gli uomini nella loro routine quotidiana…
Insomma, un bel pot-pourri frutto di retaggi duri da sconfiggere.
Rileggendomi, mi accorgo che la disamina che ho fatto sembra prendere in considerazione solo le donne con figli perché, è risaputo, la gravidanza, l’allattamento se fatto al seno, il puerperio – che dovrebbero essere solo un dono per chi lo desidera – penalizzano o almeno rallentano spesso il percorso lavorativo di una donna e le sue aspettative di carriera, ma in realtà i tassi di occupazione e di stipendio tra uomini e donne continuano a restare distanti per chiunque e sono certa che a questo mio mini-puzzle ognuna di noi potrebbe aggiungere un tassello con la propria storia.
Insomma, mia cara società, apprendo dai dati del congresso della Società Europea di Oncologia Medica che il gap per colmare il divario nello specifico della disciplina in ambito sanitario è risultato pari a circa 300 anni. È vero che il tempo vola, ma non ti sembrano un po’ troppi tre secoli?
Le difficoltà nella conciliazione del tempo di vita con quello di lavoro ci sono, inutile negarlo, perché la giornata è rimasta di 24 ore anche se gli impegni oggi sono divisi su più fronti, l’accesso ai ruoli apicali è più difficile per tanti motivi che non avrò sicuramente elencato in modo esaustivo, tuttavia se noi donne sapessimo essere più solidali, sì determinate ma meno competitive, capaci di condividere talenti e fare rete, credo fiduciosa che una parte dei problemi troverebbe una soluzione più snella e veloce.
Siamo noi la generazione di lavoratrici adulte che funge da anello di congiunzione tra la precedente, ancora in parte legata alla figura dell’angelo del focolare, e la prossima, verso la quale dobbiamo essere un esempio costruttivo e bilanciato tra diritti, doveri e indipendenza, come per tutti gli essere umani senza distinzione di genere.
Una grande responsabilità, ma anche una bella sfida, in cui vedo uomini e donne stare gli uni a fianco alle altre, non un passo avanti né uno indietro.