GIUSEPPE NAVARRA: DA MIO PADRE HO IMPARATO CHE BISOGNA STARE ACCANTO A CHI SOFFRE SENZA NESSUNA DISTINZIONE

Un italiano su due pesa troppo. E un quinto dei pazienti sovrappeso è obeso, cioè pesa oltre una volta e mezzo quanto dovrebbe, e ha dieci volte più possibilità di sviluppare il diabete. Inoltre, rischia di più infarto, artropatie, cadute (specie da anziano): in pratica di ammalarsi o morire prima.

È in sovrappeso un paziente che sulla bilancia supera il 30 per cento del peso ideale calcolato con il sistema del Body mass index (entro il 30 per cento si è comunque “eccedenti” e si devono controllare pressione, colesterolo, trigliceridi). Quando si va oltre il 60 per cento, invece, si parla di obesità.

Che è una vera e propria malattia, ma non è curata da uno specialista ad hoc: per vincerla occorre un’équipe che comprende psicologo, psichiatra, endocrinologo, diabetologo, pneumologo, nutrizionista, il chirurgo nei casi più gravi. Ne parliamo con il presidente della SICOB – Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità, Giuseppe Navarra.

Professore Giuseppe Navarra, un italiano su due pesa troppo. E un quinto dei pazienti sovrappeso è obeso, cioè pesa oltre una volta e mezzo quanto dovrebbe, e ha dieci volte più possibilità di sviluppare il diabete. Inoltre, rischia di più infarto, artropatie, cadute (specie da anziano): in pratica di ammalarsi o morire prima… il 32° Congresso Nazionale SICOB – Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità ha affrontato questa tematica: “Obesità: alla ricerca di una nuova alleanza terapeutica”. Con quali risultati?

Credo la risposta sia anche nei numeri. Per la prima volta abbiamo dovuto sospendere le iscrizioni a 10 gg dal congresso registrando il primo sold out nella storia della nostra Società. A Giardini abbiamo avuto 999 partecipanti. Quindi una grande risposta in termini di partecipazione se consideriamo anche che solo il 15% dei congressisti era siciliano. A parte i numeri ho registrato apprezzamento per i temi scelti e una partecipazione attiva con discussioni intense alla fine dei diversi simposi. Inoltre grande successo hanno avuto tra i tanti giovani presenti i laboratori di simulazione tanto alla consolle del robot, quanto le esercitazioni su organo perfuso.

Ci sono desideri e desideri. Quello della salute, del benessere fisico, quando arriva, è ostinato, irriducibile. L’aspetto fisico, è un tarlo che entra nella testa e nel cuore, eli scava gallerie. Se poi tutto quello che può andare storto va storto, quel desiderio di benessere, salute diventa feroce, cannibale. Chissà quante storie da raccontare…

E’ proprio cosi. Chi si dedica alla cura del paziente obeso, ogni volta ascolta storie incredibili ed emotivamente molto intense. Fortunatamente oggi esistono diversi approcci per contrastare questa patologia cronica progressiva e recidivante che è diventata proprio una pandemia…

Durante il convegno avete trattato Il protocollo per la gestione perioperatoria del paziente obeso…

Esatto. Informando il paziente prima del ricovero di tutti gli step cui andrà incontro durante il ricovero è possibile abbattere l’ansia di ciò che non si conosce e migliorare l’esperienza del paziente. Durante tutto il processo ci si affiderà ad un case manager che guiderà il paziente. Per ciò che riguarda l’intervento non si utilizzano più sondini, cateteri e drenaggi, l’approccio è laparoscopcio o robotico attarverso 4 piccole incisioni della cute. Infine centrale è il ruolo dell’anestesista che utilizzerà dei protocolli che consentono la scomparsa di nausea e vomito postoperatorio e gestirà l’analgesia evitando il dolore. Questo insieme di misure consentirà al paziente di lasciare l’ospedale dopo 48 ore purché vengano rispettati alcuni punti fermi: assenza di febbre, dolore, tachicardia, esami laboratoristici nella norma. Indispensabile infine è che il paziente possa contattare la struttura h 24.

 Secondo gli ultimi dati Sicob, raccolti presso i 135 centri ufficiali (66 al Nord, 28 al Centro, 28 al Sud e 13 nelle Isole), il 73% dei pazienti sono donne e il 27% uomini, mentre, in fatto di età, il 30% ha tra i 41 e i 50 anni, il 26% tra i 51 e i 60, il 22% tra i 31 e i 40, il 13% tra i 21 e i 30, il 7% sono over61 e il 2% ha tra i 17 e 20 anni. Come li giudica?

Nel 2023 sono stati sottoposti a intervento chirurgico oltre 26.500 pazienti e il dato è in continuo incremento. Inoltre nel 98% dei casi l’approccio è stato laparoscopico o robotico. La mortalità è inferiore all’1%. Risultati quindi molto buoni ma non miracolistici. Ecco perché i pazienti devono essere informati e consapevoli dei rischi della procedura e i chirurghi devono rispettare le indicazioni all’intervento contenute nelle linee guida.

C’è sempre un prima e c’è sempre un dopo nell’affrontare la malattia, il disagio. Qual è il suo prima?

C’e disagio a contattare il medico, ma se si è provveduto a prendere appuntamento e presentarsi per la visita vuol dire essere consapevoli di soffrire di una patologia cronica e di dover chiedere aiuto affidandosi a professionisti seri e preparati.

Quando si soffre per una malattia, spesso si diventa egoisti: perché sembra che nessuno abbia mai sofferto come noi… Il suo approccio medico in questi casi?

Lasciare parlare il paziente, acquisirne la fiducia e poi in maniera sincera, ma professionale affrontare il singolo caso e proporre la soluzione migliore per quel paziente in quel preciso momento della sua vita e di evoluzione della malattia.

Spesso le coppie vengono messe a dura prova dall’aspetto fisico: quanto è importante affrontare questo percorso insieme? 

Fondamentale. Bisogna sempre ricordarsi quello che si è convenuto nel momento del matrimonio… insieme nella buona e nella cattiva sorte…

L’educazione ai corretti stili di vita crea la consapevolezza sull’importanza dell’imprinting precoce, cioè la diretta connessione tra un corretto stile di vita adottato da bambini e la salute da adulti?

Prevenire è meglio che curare. Una società sana imposta corretti stili di vita nei bambini sin dall’asilo e via via nel corso della vita scolastica. Purtroppo si predica bene ma si razzola male… Non siamo più come i nostri padri… almeno a tavola. Spesso saltiamo colazione e pranzo. Quando poi ceniamo, spazzoliamo tutto quello che ci capita a tiro. L’attività motoria è per tanti di noi molto limitata. Ed ancora dormiamo poco, male e magari nelle ore sbagliate. Tutto questo porta ad aumentare il peso. Proviamo con delle diete, ma di fronte a fallimenti ripetuti a volte ci lasciamo andare.

Le buone regole per crescere in salute, la corretta alimentazione, l’importanza e il ruolo del movimento fisico, i rischi legati allo screen time e al fumo di sigaretta e lo spreco alimentare. Cosa altro aggiungere?

Nulla.

Comunità e vicinanza sono le parole che spesso accompagnano l’Università e la Medicina in genere, in questi anni davvero complessi. Essere presenti nel territorio a noi prossimo, contribuire a costruire comunità fondate sul sostegno reciproco dovrebbe essere l’impegno più importante verso il territorio?

L’Università forma i nuovi medici e gli specialisti. L’obesità come malattia è entrata nei programmi di insegnamento. Inizialmente in maniera molto timida, ma via via negli ultimi anni sta progressivamente assumendo uno spazio proporzionale alla sua diffusione. L’Università si fa anche promotrice di azioni di informazione indirizzate alla comunità di riferimento e propone progetti di ricerca che tentano di trovare nuove strade per affrontare meglio l’obesità. Insieme ad alcuni colleghi pediatri abbiamo da pochi giorni presentato una proposta di ricerca al governo regionale che va proprio in questa direzione.

La sua è una famiglia da sempre fulcro dell’Ateneo: qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato suo padre e quello che lei vuole trasmettere ai suoi figli?

Mio padre era uomo di poche parole… quindi nulla di detto. Dal suo modo di vivere la vita e la professione ho imparato che bisogna darsi in maniera disinteressata a chi ha bisogno e a trattare tutti allo stesso modo indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dalla religione, dal censo. Mi piacerebbe molto che questo modo di concepire la vita e la professione venisse recepito e replicato dai miei figli.

E Giuseppe Navarra che cosa altro desidera per il suo impegno nella sanità?

Essere messo nelle condizioni migliori per continuare a esercitare il mestiere più bello del mondo e poter spendere più tempo a incoraggiare i pazienti con un sorriso o una carezza piuttosto che spendere ore al telefono per anticipare un esame o una consulenza o chiedere un infermiere o una attrezzatura… ma questo è il mondo dei sogni…