La tecnica è plurisecolare e ottiene buoni risultati: quando un Governo ha un problema interno, cerca un nemico esterno. Anche il nostro Paese non sfugge alla regola: cresciamo poco, abbiamo un debito enorme, una burocrazia elefantiaca, evasione fiscale elevata, mercato del lavoro nero diffuso, malavita dilagante, sprechi, inefficienze e corruzione.
Come si risponde a tutto questo? Creando, appunto, un nemico esterno sul quale scaricare le responsabilità della nostra situazione.
Si inizia dall’euro con i cambi delle lire e dei marchi in euro. Secondo le dicerie, il cambio marco euro sarebbe stato di 1 a 1, mentre il cambio lira euro sarebbe 0,51 a 1 euro. Basterebbe prendere visione della tabella dei tassi di conversione in euro, pubblicata dalla Banca d’Italia, per apprendere che 1 euro valeva 1,955 marchi (circa 2 marchi).
Da ricordare che la maggior parte del debito pubblico lo abbiamo prodotto prima dell’entrata in vigore dell’euro.
Si passa all’Europa che ci impone regole che l’Italia ha sottoscritto non sotto la minaccia di una pistola. In particolare, molti hanno in antipatia la Germania che, però, è il nostro primo partner commerciale.
Da ricordare che l’Europa rappresenta il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% della ricchezza mondiale e spende il 50% in welfare (sanità, assistenza, pensioni).
Da ultimo abbiamo i mercati, meglio se multinazionali, che ci impongono vincoli, pena il ritiro dei capitali. Gli investitori esteri possiedono 700 miliardi di euro del nostro debito. E’ un investimento e vorrebbero riaverlo. E’ anomalo? Se il Governo attuale propone spese tra 100 e 130 miliardi senza coperture, aumentando il debito e creando instabilità, gli investitori esteri si devono preoccupare o no? Allora il nemico della nostra economia sono gli investitori o qualche irresponsabile, di area governativa, che propone l’uscita dall’euro, i mini Bot (seconda moneta) o che fa dichiarazioni sulle banche a mercato aperto, determinando il crollo dei titoli azionari?
Ricordiamo che abbiamo un debito pubblico di circa 2300 miliardi di euro e che, nella classificazione, i nostri titoli sono a soli due gradini dall’essere considerati spazzatura.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc