In questi giorni si è sentito e scritto di tutto sulla cooperante ragazza milanese che è stata liberata dopo diciotto mesi di prigionia in Africa. Spesso i talk show sull’argomento finiscono in gazzarra come ieri sera nello studio di“Non è l’Arena” da Massimo Giletti su La7. Tra i giornali, siti online che ho potuto consultare ho trovato molto interessante due studi seri ben documentati pubblicati sul sito del “Centro Studi Rosario Livatino”.
Il primo (Il problema irrisolto è il terrorismo, 15.5.2020) firmato da Alfredo Mantovano, magistrato ed ex sottosegretario agli Interni; il secondo (Trattativa: Stato-Mafia No, Stato-terrorismo Si? 16.5.2020) da Domenico Airoma, magistrato, procuratore aggiunto presso il Tribunale Napoli Nord.
Nel primo intervento Mantovano analizza la vicenda Romano impostando il suo ragionamento su tre livelli di approfondimento. Nel 1° il magistrato sostiene che si dà per scontato che il Governo abbia corrisposto un riscatto e che sia finito nelle casse di al-Shabab, appartenente al network di al-Queda, e che controlla le aree nelle quali sono avvenuti sia il rapimento che la liberazione. Il ministro degli Esteri nega che sia stato pagato il riscatto. Tuttavia secondo Mantovano come minimo il presidente del Consiglio dovrà dare spiegazioni in Parlamento, o meglio al Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) che fornirebbe le adeguate garanzie di riservatezza, per evitare di compromettere eventuali informatori e collaboratori in territori difficili. Questa sarebbe la formula più corretta per riferire gli snodi salienti del caso e non quella di trasmetterli ai media.
Un secondo livello da chiarire è se, come hanno riferito le fonti mediatiche, il
il prezzo del riscatto è stato ripartito fra bande criminali che hanno gestito taluni momenti della detenzione della giovane e l’organizzazione al-Shabab.
A questo punto sembra lecito domandarsi se l’Italia ritiene che la questione sia del tutto conclusa, oppure «sarebbe interessante sapere se il Governo italiano intende proporre una collaborazione ai Governi somalo e keniota per limitare l’operatività di questo gruppo criminale, che sarà senza dubbio incrementata dalle risorse ricevute».
Poiché è certo che il denaro ricevuto per la liberazione di Silvia Romano servirà ad al-Shabab per acquistare più armi, compiere più attentati, e organizzare nuovi sequestri di persona e di navi, in una zona marina di rilevante interesse economico, è importante puntare l’attenzione sul gruppo terroristico Al-Shabaab, che si finanzia principalmente con sequestri di persona ma anche di imbarcazioni nel mare di Somalia. Tra i tanti assassinii è utile ricordare l’eccidio presso l’Università di Garissa in Kenia, il 2 aprile 2015, dove furono massacrati uno per uno148 giovani universitari, dopo la prova di recitazione del Corano: fu tagliata la testa di chi non lo conosceva a memoria.
Mantovano critica l’atteggiamento mediatico e politico, che fa intendere che il terrorismo islamista si sia concluso: da una parte perchè non ci sono più attentati nelle città europee e occidentali, dall’altra perchè lo Stato Islamico (Isis) ha subito una serie di sconfitte nei territori nei quali si era radicato, fra Siria e Iraq settentrionale.
«Ma questo al più segnala la superficialità delle reazioni mediatiche, non già la scomparsa del fenomeno, che peraltro ha continuato a far registrare attentati e omicidi in zone lontane dagli occhi, e quindi dal portafoglio e dal cuore: a chi interesseranno mai i conventi distrutti e i religiosi annientati in Siria, o le giovani di fede cristiana rapite, stuprate e uccise da Boko Haram in Nigeria, o le chiese fatte esplodere in Sri Lanka o in Egitto?».
E’ bastato il sequestro e la liberazione della giovane cooperante italiana per mostrare che il fenomeno terroristico esiste ancora, «è triste che polemiche e contrasti ruotino attorno a lei, e non affrontino in modo chiaro e diretto la questione vera, che è quella della persistente operatività di organizzazioni terroristiche islamiche, sol perché queste ultime al momento non hanno la forza, o la convenienza, di attaccare in Occidente».
E’ importante per Mantovano che il governo, la politica italiana non si ritenesse appagata dalla liberazione della ragazza.
Infine il 3° livello, Mantovano ricorda che a proposito di sequestri e riscatti, nel nostro ordinamento giudiziario esiste una legge, la n. 82/1991, che stabilì: a) l’obbligo del «sequestro del beni appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge, e ai parenti e affini conviventi»; b) la facoltà del blocco dei beni nei confronti di «altre persone» se vi fosse stato il «fondato motivo di ritenere che tali beni» potessero essere utilizzati «direttamente o indirettamente, per far conseguire agli autori del delitto il prezzo della liberazione della vittima».
Tutto questo per debellare anni di sequestri di persona a scopo di estorsione – oltre 450 fra il 1970 e il 1990 -, consumati fra Calabria, Sardegna e Lombardia. Anni drammatici, soprattutto per i familiari, ma alla fine fu la carta vincente.
Certo Mantovano è consapevole che non sono la stessa cosa l’ordinamento interno di uno Stato come l’Italia, che è in grado di controllare il proprio territorio, un conto è muoversi all’estero, in aree ostili, avendo a che fare con autorità locali non sempre affidabili, comunque deboli. «Nonostante questo, – scrive Mantovano – riesce difficile spiegare perché se una persona è sequestrata in Italia la prima risposta dello Stato è il blocco dei beni dei suoi familiari – una misura dura, che mostra un volto delle istituzioni in apparenza ostile -, e se invece è sequestrata fuori dai confini nazionali il medesimo Stato impiega sue proprie risorse per liberarla: il sistema andrebbe riportato a coerenza».
Il magistrato conclude che non ha senso oggi infierire su una ragazza giovane e provata, le cui scelte nei 18 mesi di prigionia è verosimile che siano state forzate. Ma per la onlus per la quale ella era presente nella zona del rapimento (“Africa Milele onlus”) il discorso è diverso. Su Corriere della sera del 12 scorso Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv, federazione di 87 onlus di cooperazione e volontariato internazionale, ha affermato che “nessuna delle nostre associazioni avrebbe fatto partire una ragazza sola e per giunta diretta in un Paese con tensioni interne come il Kenia”.
DOMENICO BONVEGNA