di Roberto Malini
Tutti insieme appassionatamente, istituzioni e associazionismo, decidono il destino delle comunità di famiglie indigenti e perseguitate. Decidono che non possono vivere insieme, non possono autodeterminare il loro futuro, non possono sottrarsi alla persecuzione sistematica che le colpisce quotidianamente. Decidono che non hanno alcun diritto umano, neanche quello di tenere con sé i propri bambini. Decidono che il problema non sono più la discriminazione e l’iniquità che le circondano, ma è la loro vita, sono le loro tradizioni, è la loro ricerca di un modello sociale diverso da quello imperante.
Devono lasciare i luoghi in cui vivono, “superarli” e accettare passivamente gli “interventi” messi in atto dai loro stessi persecutori. Una situazione orridamente surreale in cui si usano le parole più civili per negare libertà, speranza e civiltà. Così assistiamo a operazioni di sgombero da nord a sud, isole comprese; operazioni che mettono tante famiglie in mezzo alla strada, completamente abbandonate, esposte alla precarietà e all’odio. La speranza di vita di un individuo soggetto a sgomberi con la sua famiglia è di 40/45 anni, ma di questo dato, il dato di un genocidio, non importa ormai a nessuno. Importava a uno dei pochi veri difensori dei diritti umani che abbiano agito in Italia, Marcello Zuinisi, il quale, sottoposto alla stessa persecuzione riservata alle famiglie indigenti, isolato, calunniato, denigrato, ha posto fine alla propria esistenza. Importava a Toma, un uomo capace di proteggere e guidare una grande comunità proveniente dalla Romania. Ma Toma è morto, nello stesso isolamento e nello stesso clima di repressione e abbandono che il nostro paese ha riservato a Marcello.
Importava a Viktória Mohácsi, che si è impegnata con tutte le sue energie, quando era parlamentare europea, per evitare l’annientamento delle famiglie discriminate. Ma Viktória è stata costretta da razzisti, neonazisti (e indifferenti) ad abbandonare l’Unione europea per chiedere e ottenere asilo in Canada. Importava ad attivisti coraggiosi, che – per un motivo o per l’altro, sempre motivi ingiusti e drammatici – non sono più nel nostro paese. Importa a noi di EveryOne Group, a nostra volta isolati e censurati, costretti ad agire “clandestinamente” nelle azioni che ancora riusciamo a condure a difesa delle comunità perseguitate. Chi ci conosce, sa cosa abbiamo passato, a causa del nostro impegno. Ci importa, ma siamo meno d un mignolo di Davide contro i giganti della discriminazione, dell’inganno e dell’indifferenza.
Quale futuro possono aspettarsi, le ultime famiglie indigenti – non le si possono neanche definire “proletarie”, perché non è concesso loro neanche di tenere con sé i propri figli – di fronte al fuoco istituzionale cui si è unito, con accanimento e ipocrisia, un “fuoco amico” che non dà loro scampo? Nessun futuro, perché ogni via di speranza è ormai preclusa, per loro. Si frantumano, si ammalano, si disperdono fra carceri e comunità di accoglienza oppure tornano a vivere nella miseria più totale nei paesi da cui erano fuggite. Il loro destino è quello di vivere e morire nella più completa disumanizzazione, mentre la loro storia e cultura sono negate. Il loro destino, se non vi sarà un cambiamento radicale della società civile, è l’annientamento, perché sono segnate quali capri espiatori della nostra incapacità (e mancanza di volontà) di capire e accogliere.