di ANDREA FILLORAMO
Non si quieta la guerra contro Papa Bergoglio, anzi si acuisce particolarmente dopo le sue dichiarazioni fatte in Slovacchia, in cui ha detto: “Sono ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il Conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”.
Parole queste pesanti, che non sono però parole di accusa e non poteva essere diversamente: il Papa è consapevole di quel che succede alle sue spalle e vuole che anche gli altri lo sappiano.
Egli sa di condurre una guerra non contro nemici esterni sconosciuti, di cui si ignorano le strategie e le armi in loro possesso, ma cardinali e vescovi che forse siedono con lui attorno alla mensa di Santa Marta e con lui parlano, discutono, suggeriscono, invitano e pregano. Fra questi probabilmente non mancano quelli che lui stesso ha elevato e messo in posti di responsabilità ecclesiale.
Viene spontaneo, magari esagerando, pensare a Gesù, che nell’ultima cena, rivolgendosi agli apostoli, disse: “in verità vi dico, uno di voi mi tradirà”.
In quel “Pazienza!”, pronunciato da Papa Francesco, c’è tutta la sua capacità di sopportare persone che non si possono evitare, facendo in modo di non far trasparire la propria insofferenza. Non è azzardato pensare a Giobbe, il personaggio biblico, che è diventato simbolo ed esempio di giustizia e di pazienza.
Nella Curia Romana tutti conoscono i nomi dei prelati, alcuni dei quali non agiscono nell’ombra, che mentre il Papa era al Gemelli organizzavano il nuovo conclave, non vedendo l’ora di ricominciare da prima del marzo del 2013, dal momento dell’arrivo al soglio di Pietro dell’outsider Bergoglio.
Non è azzardato pensare che, come nel lontano passato ancor oggi le stanze papali, come forse lo sono state sempre, sono ancora luoghi di intrighi e manovre, per niente sante. Non è un caso, perché il sacro, quando si unisce al potere, nell’immaginario collettivo (e spesso anche nella realtà) tocca gli abissi del diabolico, più che le altezze del divino. Tanti sono gli esempi storici che, nella storia lo confermano.
Certamente siamo molto lontani dal 799, ma il clima non è molto diverso anche se non si arriva a tali estremi, da quando Leone III era stato assalito, durante una cerimonia, dai parenti del suo predecessore, che per odio avevano tentato di accecarlo e di strappargli la lingua.
Fino a quel momento era la comunità cristiana di Roma a eleggere il pontefice, poi la nobiltà locale pretese di prendere parte alla scelta. Per molti decenni un paio di famiglie avevano conteso a re, imperatori, popolo e clero il diritto di nominare il papa, spesso riuscendoci. I coniugi Teofilatto e Teodora scelsero più di un pontefice, e la loro figlia Marozia dette a Sergio III un erede che nel 931 sarebbe diventato anche lui papa, come Giovanni XI, che salì al soglio di Pietro quando aveva tra i 21 e i 24 anni.
Giovane e inesperto, per i primi due anni di pontificato, cioè finché Marozia ebbe il potere assoluto su Roma, Giovanni rimase totalmente succube della volontà della madre e del fratello Alberico. Non a caso il X secolo è stato definito quello della «pornocrazia» papale.
Facciamo un salto di tanti secoli, per capire quello che sta succedendo oggi nella Chiesa Romana.
Pochi forse ricordano, anche per questioni di età, l’eco di un celebre discorso di Paolo VI del 29 giugno1972 con il quale ha denunciato lo smarrimento provocato in ambito ecclesiale da alcune interpretazioni del Concilio Vaticano II, quando per primo Papa Montini parlò di “fumo di Satana” all’interno della Chiesa. Il Pontefice ha avuto allora il presentimento che c’era qualcosa di profondo e negativo che iniziava ad affliggere la Chiesa. Era forse il primo momento in cui il Papa avvertiva seriamente che la via del secolarismo e la mancanza di unità interna stavano diventando due grossi problemi per la Chiesa. Nelle parole del Papa c’era sì denuncia, ma anche incertezza, problematicità, inquietudine, insoddisfazione, confronto.
Il fumo di Satana si è ripresentato, con la sua tetraggine, ancora oggi, ma non è causato da cattive interpretazioni dei Decreti Conciliari ma dal loro abbandono, che è diventato adesso capace di offuscare le menti dei cattolici che papa Bergoglio cerca in tutte le maniere di risvegliare, proponendo cambiamenti, anche radicali, che il Concilio stesso, negli anni 60 del secolo scorso proponeva.
Il passaggio alla ripresa del concilio e del processo di riforma di Francesco è molto facile. Le accuse di provocare confusione nel popolo cristiano e di modificare il deposito della tradizione sono diventate uno stanco ritornello delle voci anti-papali. Volutamente ignare della radice evangelica, della pazienza storica («avviare processi»), dell’estraneità a ogni modello di razionalismo sistemico e della dimensione testimoniale gioiosa del suo magistero.
Papa Francesco, da bravo gesuita, è pienamente convinto che bisogna usare sempre fermezza e non essere ambigui e che nella vita di relazione è meglio sbagliare da sinceri che pensare di rimanere nel giusto e farlo pensare, sapendo però di mentire e, quindi, va avanti per la sua strada: non demorde mai sugli abusi sessuali commessi dai preti, in cui mette al centro le vittime e le loro sofferenze; sancisce inoltre, a tal proposito, che anche chi insabbia può essere giudicato da un tribunale vaticano. La stessa cosa, per il Papa, vale per i vescovi e cardinali che si macchiano di altri crimini, che spesso Bergoglio rimuove o fa dimettere. Ciò, per esempio, è avvenuto con i vescovi cileni.
A proposito di quel caso il Papa argentino ha sottolineato che il problema non si risolve solo con la rimozione di persone e aggiunse: “questo – e lo dico chiaramente -, dobbiamo farlo, ma non è abbastanza, dobbiamo andare oltre, è un intero sistema della Chiesa cilena ad essere profondamente sbagliato, elitario e che è stato centrato sulla ‘copertura’ degli abusi, fino a giungere alla ‘distruzione delle prove’. Quel che vale per la Chiesa cilena, vale per le Chiese di tutto il mondo”.
Anche il numero tre del Vaticano, il cardinale sardo Angelo Becciu, accusato di reati amministrativi e fors’anche penali, è stato chiamato a dimostrare la sua innocenza davanti a un tribunale e non in altro modo.
Bergoglio, inoltre, ha messo le mani anche sullo Ior, istituzione ammantata di mistero e affari oscuri e ne ha sviscerato i conti, indagando a fondo. Rammentiamo che lo Ior ha avuto come presidente Paul Casimir Marcinkus, detto “Chink”, l’arcivescovo che la magistratura italiana tentò invano di rinchiudere dietro le sbarre per il crac del Banco Ambrosiano. Egli fu protagonista di uno degli scandali vaticani più clamorosi.
Nel 2016, Papa Bergoglio non ha risposto alla provocazione di quattro cardinali: Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner che gli sottoposero i ‘dubia’, cioè un documento in cui dopo la pubblicazione di Amoris Laetitia gli chiedevano chiarimenti circa le sue aperture sul tema della comunione ai divorziati risposati. Per i quattro l’apertura tradisce la dottrina; in realtà, come ha detto il cardinale di Vienna Cristoph Schönborn, il documento “è un atto di magistero che aggiorna al tempo presente l’insegnamento della Chiesa”.
Papa Francesco, inoltre, non ritiene degne neppure di considerazioni ma solo di compassione le “insulse” affermazioni, probabilmente dovute a deliri mentali legate a spiegabili insoddisfazioni e frustrazioni carrieristiche, di Mons. Carlo Maria Viganò, diventato suo acerrimo nemico, che chiede persino la sua sostituzione, ben sapendo che esse non godono né possono godere di alcuna credibilità anzi sono molto risibili.
Fra le tante “perle” di insipienza riferiamo quanto egli afferma quando scrive: “Ci rendiamo conto che Jorge Mario Bergoglio sta svolgendo l’incarico affidatogli dall’élite globalista che lo vede liquidatore della Chiesa Cattolica e fondatore di una setta filantropica ed ecumenica di ispirazione massonica che dovrebbe costruire la religione universale a sostegno del Nuovo Ordine Mondiale. Che questa azione sia compiuta con piena consapevolezza, per pavidità o sotto ricatto, nulla toglie alla gravità di quanto avviene; vi è la responsabilità morale di chi se ne fa promotore”.
Ad una domanda di un giornalista di rispondere alle accuse avanzate da Viganò, Papa Francesco, senza molto scomporsi, ha replicato: “Ho letto la dichiarazione questa mattina, e vi devo dire sinceramente che, lo devo dire, a lei [il reporter] ed a tutti gli interessati, leggete attentamente la dichiarazione e traetene un vostro giudizio. Non dirò una sola parola su questo. Credo che la dichiarazione parli da sé. E voi avete la capacità giornalistica di trarre le vostre conclusioni. È un atto di fiducia. Quando sarà passato del tempo e avrete tratto le vostre conclusioni, parlerò. Ma voglio che la vostra maturità professionale vi faccia fare questo lavoro. Sarà un bene per voi”.
Non resta, per concludere, altro che ringraziare la Provvidenza di averci dato un Papa, che viene da un Paese molto lontano ma che è molto vicino a quanti vogliono una Chiesa più rispondente al compito affidatole da Cristo, una Chiesa, che non rinunci alla modernità ma che si ispiri, per quanto possibile, alla chiesa-comunità, alla “prima chiesa”, così come descritta nel Nuovo Testamento.