Salvatore Curtò il tuo libro mette in parallelo due mondi: uno dominato dalla paura, l’altro dalla speranza. E così mi chiedo: ma lo Stato, il nostro Parlamento, ha fatto abbastanza per contrastare la criminalità organizzata?
La mafia è un potente virus che si adatta al corpo e muta nel tempo. La mafia non è stata battuta, ma certamente è stata fermata. Negli anni Ottanta con l’esercito nelle strade i siciliani hanno tenuto il peggio. Lo Stato ha fatto tanto, perché ha speso tanti uomini e celebrato i funerali di tante divise, ma certamente si poteva fare di più. La mancata perquisizione del covo di Riina, la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, la trattativa Stato/Mafia, certi grossi personaggi della politica, fatti salvi ai processi, hanno gettato nell’opinione pubblica sconforto e confusione. Forse lo Stato non è mai stato unito veramente nella lotta alla mafia e gente come il generale Dalla Chiesa sono stati inspiegabilmente lasciati soli dal sistema. In questo frangente, e lo dico nella mia dedica a inizio del romanzo, lo Stato invece di dare coraggio ai cittadini, spesso ha finito per mettere loro paura.
Chi sono i figli di nessuno per te?
I figli di nessuno sono come scrivo nel testo: ” il gruppo aveva una caratteristica comune a tutti i componenti, era infatti costituito da gente povera e figlia di nessuno, nessun blasone, nessun privilegio, nessun titolo dietro la porta o sul documento di identità. I ragazzi erano noti come “I figghi i nuddu”, i figli di nessuno, che di fatto più che essere un epiteto ingiurioso era un certificato di condizione sociale, per non dire un attestato di povertà.
Perché leggere il tuo libro?
Il libro è un romanzo storico con personaggi di fantasia. Racconta una Sicilia onesta che si porta avanti in contrappasso alla Sicilia dei Corleonesi. il libro è carico di emozioni altalenanti: si piange e si ride, c’è dentro l’ottimismo della vita e la voglia di riscatto dei tanti siciliani onesti. Questo modesto romanzo, forse insegna più di quanto non si possa pensare e poi si legge tutto d’un fiato. E’ intrigante, piacevole, si privilegiano i dialoghi anche in dialetto siciliano. Insomma è “cosa nostra“, ma nel senso buono del termine.
Ci sono persone che dicono che le denunzie “non bastano”, perché per sconfiggere la mafia c’è bisogno di un preciso intervento educativo: “E’ su questo terreno che si gioca il ruolo decisivo della Scuola?
Tutte le istituzioni sono da sempre chiamate a dare il massimo nella lotta al male. Oltre allo Stato, la Chiesa, la scuola e la famiglia sono chiamate a recitare un ruolo incisivo nella lotta alla mafia,ma occorre considerare che nel frattempo sono trascorsi oltre cinquant’anni e che anche la soci italiana è cambiata parecchio. Ora la Chiesa non ha più il potere politico e sociale che ha avuto nel dopoguerra, la famiglia moderna smembrata, allargata, confusa non è più scrigno dei valori di un tempo e anche la scuola è diversa, ma a differenza delle prime due ha mantenuto centralità sociale e potere educativo. Forse é dalla scuola che bisogna ripartire per formare individui sani, liberi e forti da immettere nella società del domani. Io nel mio testo scrivo, ma siamo in dietro di cinquant’anni, che….
” Qui tutti hanno fallito” fece Antonio ” ha fallito la politica, perché le campagne elettorali sono servite sempre e solo a cambiare le vite di poche famiglie e non di una intera generazione.
Hanno fallito la scuola e l’università perché hanno spesso premiato i raccomandati e non la meritocrazia, costringendo le menti migliori ad emigrare.
Ha fallito la Chiesa, troppo impegnata a fare politica con le persone sbagliate, è diventata il baluardo di pochi e non di tutti,come avrebbe dovuto.
Ha fallito persino lo Stato che si è palesato debole, insicuro e spesso anche corrotto, togliendo ai cittadini fiducia nelle istituzioni, invece di darla.
Solo la famigghia siciliana ha tenuto. L’istituzione più antica, rigida, vicina alla gente. In famiglia le sconfitte si dividono tra tutti e fanno meno male e le vittorie del singolo si moltiplicano tra tutti, infondendo coraggio ed entusiasmo.
La famiglia c’è sempre, come noi che alla fine più di un gruppo siamo diventati un grande famigghia ”
Qual è secondo te la priorità nella lotta alla mafia?
La priorità nella lotta alla mafia è quella di creare nella società modelli alternativi. Nel mio romanzo i figli di Nessuno lo sono. Il generale Dalla Chiesa diceva: “Bisogna fare in modo he lo Stato dia di diritto ciò che la mafia dà per favore”. Se continuiamo a costruire modelli sbagliati avremo generazioni che agiscono in modo sbagliato. Gli eroi silenziosi del mio libro sono un modello vincente e la storia, il mio romanzo alla fine lo certifica ampiamente.
La solidarietà è un valore non negoziabile, come lo è la sorte di tutti i deboli e gli esclusi. Che idea ti sei fatto?
La solidarietà è qualcosa di concreto, è vita. Troppo spesso la solidarietà è stata ridotta a fiaccolate, comizi, manifesti… la solidarietà sfama bocche e nutre le menti. La solidarietà oltre che un sentimento, deve essere un impegno concreto, altrimenti non serve a nessuno.
Se c’è una cosa che accresce il potere di Cosa Nostra, delle cento ‘ndrine che straziano il tessuto sociale della Calabria, della Campania dei clan infestata da traffici e rifiuti tossici, delle mafie dei colletti bianchi del Sud e del Nord, è la divisione che significa smarrimento, frantumazione, debolezza, del loro principale avversario: lo Stato. Tu che vivi il territorio hai intravisto dei segnali positivi?
Il mio libro non è un libro sulla mafia, ma il libro di un gruppo di siciliani che vivono in antitesi alla mafia. Io non sono un esperto di fatti di mafia e non conosco le dinamiche recenti della mafia italiana su tutto lo Stivale. Certe risposte nel mio romanzo vengono fuori in maniera fisiologica, sarà poi il lettore attento a coglierle e farle sue. Come ho già detto, lo Stato ha perso tutte le volte che ha lasciato soli i suoi uomini migliori e per vincere dovrà trovare unità e soprattutto la capacità di fare “pulizie” al suo interno. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.