E’ stata una levata di scudi quella contro le linee guida sulla comunicazione inclusiva della Commissaria europea alla Parità, Helena Dalli, il cui effetto ha prodotto il ritiro del documento.
Di che si tratta?
In una nota interna del documento si suggeriva di non usare più la parola “Natale”, che poteva risultare divisiva sul piano culturale e religioso. Dunque, invece di augurare “Buon Natale” si consigliava il più inclusivo “Buone feste”. Sono piovute critiche da più parti, unite alla rivendicazione prioritaria della identità e delle “radici cristiane” dell’Europa.
Verrebbe da chiedersi se alla Commissione europea alla Parità non abbiano meglio da fare, ma questo ci consente alcune considerazioni sulla identità e le “radici cristiane” dell’Europa.
Partiamo dal Preambolo al Trattato dell’Unione europea, il quale si ispira “alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto.”
Nel Preambolo non c’è alcun riferimento alle “radici cristiane”, ma si mette in risalto il legame tra valori culturali, religiosi e umanistici. Individuare un’unica religione e proclamarla come “radice” esclusiva è una affermazione identitaria che nella storia ha generato conflitti e tragedie. Bene hanno fatto gli Stati dell’Unione europea a sottrarsi nell’indicare come “eredità” una fede specifica.
L’Europa è il prodotto della sua storia, costruita nei secoli e con un immenso patrimonio che non può essere rinnegato o cancellato: di questo patrimonio è parte la religione cristiana, quella islamica e l’ebraica.
Da rilevare la presenza islamica in Europa, in particolare in Spagna dove, per ottocento anni – dal 711 al 1492 – si realizzò, pur con contrasti e scontri, un’interazione culturale con cristiani ed ebrei che contribuì allo sviluppo culturale e artistico iberico. A Cordova, per esempio, nelle scuole si insegnava fisica, matematica, medicina, filosofia, diritto e teologia. Anche la Sicilia vide la presenza degli islamici per trecento anni – a cavallo dell’anno mille – e, a tutt’oggi, ci sono regioni balcaniche a prevalenza musulmana.
Lo stesso Benedetto XVI, in un messaggio ai partecipanti a un Convegno per i cinquant’anni del “Trattato di Roma”, definì quella europea come «un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare”. Contribuire, appunto, non esserne la radice esclusiva dalla quale l’Europa trarrebbe il suo nutrimento e ancoraggio.
Non si tratta, quindi, di rinunciare alla propria identità, poichè l’Europa è un insieme di differenze religiose, culturali ed etniche che non si possono appiattire nè annullare.
Certo è che l’affermazione identitaria non può essere motivo di imposizione dei propri valori che si traducono in conflitti, coercizioni, violenze e tragedie.
Lo storico medievalista Jacques Le Goffe, sosteneva che “L’Europa è una grande speranza che si realizzerà solo se terrà conto della storia” e Giuseppe Galasso, storico e accademico, nel suo libro “Storia d’Europa”, scrive che “Sul deserto del passato non si costruisce nessuna storia futura. La sabbia dell’oblio o dell’accantonamento non è un buon materiale di fondazione per nessun edificio.”
E’ auspicabile che nella costruzione di una Europa federale la memoria, passata e presente, sia sempre vigile.
Primo Mastrantoni, Aduc