“La perdita di Giulia ha scosso le fondamenta della mia esistenza e mi ha spinto a un impegno incrollabile contro la violenza di genere”. Sono le parole di Gino Cecchettin che ha fondato la “Fondazione Cecchettin”, nata per onorare la memoria di Giulia, figlia e sorella, e trasformare il dolore in un’opportunità per la società. Attraverso campagne di sensibilizzazione e progetti innovativi, che mirano a promuovere un cambiamento sociale e culturale, creando un ambiente in cui ogni individuo possa sentirsi al sicuro e valorizzato.
Sono bastate queste premesse per convincere il ministro Valditara, a collaborare con la Fondazione Cecchettin, lanciando l’“educazione al rispetto” nelle scuole. È prevista la stesura di un vero e proprio protocollo d’intesa tra il Ministero e la fondazione, che sarà ufficializzato a gennaio. Su la Nuovabussola interviene con una nota critica il professore Marco Lepore, (Povera scuola. Educazione al rispetto, l’ultimo fardello imposto dal mainstream, 12.12.24) Pertanto, scrive Lepore:“dopo l’educazione alla salute, l’educazione civica, l’educazione all’affettività, quella finanziaria e alimentare (per elencarne solo alcune fra le tante) è in arrivo un nuovo obiettivo di apprendimento per gli studenti italiani: l’”educazione al rispetto”.
Ci mancava proprio! La luminosa idea, a quanto pare, è nata dall’incontro del ministro Giuseppe Valditara con Gino Cecchettin, considerato «figura simbolica nella lotta contro la violenza di genere». Attenzione precisa il ministro: “Non ci sarà un libro di testo dedicato ma lezioni che coinvolgeranno gli studenti in modo attivo, attraverso il peer tutoring, il dialogo e la condivisione di esperienze”. Secondo il ministro, “L’obiettivo comune è lottare contro la violenza sulle donne, un impegno doveroso verso le tante vittime di abusi e discriminazioni”. Un apprendimento che dev’essere collocato all’interno del corso di educazione civica, al pari di altre competenze scolastiche. Inoltre si prevede che questa nuova disciplina, “dovrà contaminare tutti i curricula, integrandosi in materie come italiano e storia per formare una coscienza civica più consapevole”.
Non solo, “ciliegina sulla torta”, scrive Lepore, per garantire l’efficacia del messaggio, si faranno dei corsi di formazione per gli insegnanti. Praticamente per Lepore, “i docenti sono diventati la discarica sociale di tutte le parole d’ordine inventate dal mainstream”. Forse il ministro non sa o non gliel’hanno riferito, “il grado di esasperazione e malcontento che aleggia nelle scuole, a causa della continua imposizione di nuovi fardelli che nulla hanno a che fare con le materie di insegnamento e che finiscono solo per sottrarre tempo, energia e motivazione al corpo docente, nonché possibilità di apprendimento per gli studenti”. Lasciando da parte le legittime perplessità in merito alla pesante strumentalizzazione ideologica della vicenda Cecchettin, e del cosiddetto “patriarcato”, “risulta sorprendente come una persona di alto spessore culturale, qual è il ministro, non si renda conto che queste fantomatiche “educazioni” non solo non raggiungono l’obiettivo, ma addirittura rischiano di aggravare il male che si intende curare. Una pseudo-educazione fatta tutta di discorsi, pistolotti moraleggianti e richiami, in un contesto come quello scolastico già di suo poco amato dagli studenti, quali possibilità può avere di favorire la crescita integrale della persona? Lepore insiste, “Il rispetto non si può apprendere come una disciplina scolastica”. Tuttavia, “È un atteggiamento da assimilare sin dall’infanzia, che riguarda innanzitutto sé stessi, la coscienza della propria dignità che va oltre ogni apparenza e giudizio esteriore, fondandosi su qualcosa che “va oltre”, che “sta dietro”.
Il rispetto, come ci ha insegnato il cristianesimo, nasce dalla considerazione del valore infinito della persona, della sua trascendenza, e si dovrebbe acquisire in primis in famiglia, e poi in una società che si fonda su profondi valori spirituali. Diversamente, diventa tutta una questione di convenzioni, di regole, di astratti equilibri decisi “a tavolino”: esattamente quello che sta accadendo oggi”. E poi quale rispetto si può insegnare in una società che sta, distruggendo la famiglia e discredita in continuazione la figura paterna? Che rispetto si può insegnare in una società che propone ai giovani la pillola abortiva, l’eutanasia, il sesso libero e incondizionato, il gender, la pedofilia, la pornografia? Come può insegnare il rispetto, in ultimo, una scuola che sempre di più si vuole trasformare in cassa di risonanza di questo tipo di cultura?
DOMENICO BONVEGNA
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