di Roberto Malini
Da Roma a Selargius (Cagliari), da Baggiovara (Modena) ad Albairate (Milano), da Rimini a Genova Rivarolo si susseguono drammatici sgomberi di comunità indigenti. Sono eventi ancora più gravi in questo periodo caratterizzato dalla pandemia, che rende impossibile per chi non ha alcun mezzo di sostentamento né riparo sulla testa svolgere lavori saltuari o procurarsi da vivere con l’elemosina. In questo orrido carosello di sgomberi, fogli di via e bonifiche, le persone più vulnerabili muoiono.
Quando parlo con i rappresentanti delle comunità perseguitate su tutto il territorio italiano, mi vengono comunicati sempre più spesso decessi causati dalla precarietà, dal Covid o da patologie preesistenti che le persone malate non possono curare, costrette a fuggire da una città all’altra, braccate dalle forze dell’ordine. Ogni sgombero viene giustificato dalle politiche europee e dalle conseguenti strategie nazionali di “superamento dei campi etnici”.
Un “fuoco amico” che ha condotto le comunità indigenti in una condizione di emarginazione senza precedenti, connotata in particolare dalla negazione di qualsiasi diritto fondamentale. Vi sono centinaia di organizzazioni umanitarie in Europa, che però hanno voltato – per la massima parte – le spalle ai poveri, agli esclusi, ai senzaterra, sacrificati a politiche che sono avulse da qulsiasi valore civile, sociale o umanitario.