Le borse dopo Trump: 3 step per decidere nell’incertezza

Il peggiore storico ha una visione più chiara del periodo che studia rispetto a quella che il migliore di noi spera di formarsi su quello in cui viviamo. L’epoca più oscura è oggi.

—Robert Louis Stevenson, “The Day After Tomorrow” pubblicato su The Contemporary Review, aprile 1887

L’annuncio di Trump del 2 aprile ha generato uno shock sui mercati paragonabile a quello della pandemia del marzo 2020, con la sostanziale differenza che finora si tratta solo di dichiarazioni, non di eventi concreti.

I mercati finanziari hanno iniziato, in appena quarantotto ore, a incorporare nei prezzi lo scenario di una recessione negli Stati Uniti (e di conseguenza nel resto del mondo). L’indice azionario mondiale, espresso in euro, si trova a un passo dalla soglia psicologica del -20% dai massimi precedenti – tecnicamente l’ingresso in un “mercato orso”. Considerando le oscillazioni intraday, questa soglia è già stata superata. Il Nasdaq, mentre scrivo, ha perso il 21,5% dai massimi, mentre lo S&P 500 registra un calo del 17,5% e rischia di infrangere al ribasso i 5000 punti.

Di fronte a violenti ribassi come questi, le reazioni degli investitori si dividono in tre categorie principali:

Chi cede al panico e vende, cristallizzando forti perdite Chi considera questi cali come opportunità d’acquisto (alcuni addirittura con leva finanziaria) Chi predica calma sostenendo che “non è successo nulla di straordinario” e che “i mercati fluttuano normalmente”

Un sondaggio che ho condotto sul mio profilo LinkedIn, pur non statisticamente rappresentativo, ha indicato che su alcune centinaia di partecipanti, il 50% si colloca nella categoria “non faccio nulla”, il 46% dichiara di acquistare altre azioni, mentre solo il 4% vende.

Questo sondaggio mi offre lo spunto per sostenere una tesi che raramente ho sentito esprimere.  Tutte e tre queste posizioni possono essere valide o errate a seconda delle circostanze specifiche. Il vero problema risiede nella narrativa con cui viene solitamente presentata la posizione maggioritaria del “non fare nulla”.

La narrativa sbagliata

In queste ore, molti divulgatori finanziari predicano la calma e ripetono i soliti mantra che si ascoltano all’inizio di un bear market. Uno su tutti: “le azioni ora sono a sconto”. Si fa spesso ricorso alla metafora del negozio: perché siamo contenti quando compriamo un bene con lo sconto del 30%, ma ci disperiamo quando un’azione perde il 30%?

Questa metafora è una sciocchezza. Il bene acquistato a sconto è sempre lo stesso e la sua utilità è certa. Un’azione invece rappresenta un flusso di utilità futuro incerto. Il fatto che il prezzo sia sceso non implica automaticamente che mi sarà più utile.

Un’altra narrativa classica è quella della statistica: “le azioni scendono, ma poi risalgono sempre”. Siamo sommersi da statistiche inconsistenti che vogliono convincerci che, siccome in passato è andata così, allora andrà così anche in futuro.

Il problema è che questa narrativa non funziona. Gli investitori inesperti non ci credono. E fanno bene. Non c’è alcuna certezza che le azioni debbano risalire per forza.

Il messaggio implicito è spesso: “tu non capisci nulla, fidati di me e vedrai che andrà tutto bene”. Ma se la situazione peggiora, la fiducia crolla e il timore originario ritorna amplificato, insieme al rimpianto di non avergli dato ascolto subito.

La narrativa corretta

Investire durante una crisi di mercato è come navigare in mare aperto durante una tempesta. Non ha senso negare l’esistenza della tempesta (l’approccio della “narrativa sbagliata”) né abbandonare la nave nel panico. Ciò che serve è una bussola affidabile per orientarsi nell’incertezza e adattare la rotta in base alle condizioni reali.

Venendo all’attualità, non c’è nessuno che veramente conosce le conseguenze dell’annuncio di Trump (personalmente penso che Trump stesso sia forse una delle persone che meno le conosce), né nel breve termine, né nel medio/lungo termine.

Semplicemente dobbiamo abbracciare l’incertezza e ammettere che siamo davanti a qualcosa che non conosciamo. Invece di fornire traballanti rassicurazioni, è molto più utile guardare in faccia alla realtà e dire le cose come stanno: per quanto adesso possa apparire improbabile è del tutto possibile che il mercato azionario, nel suo complesso, arrivi a perdere oltre il 50% dai suoi massimi e che passi più di un decennio prima di rivedere i propri soldi in termini di potere di acquisto (se non si fa nulla).

La narrativa più utile e aderente alla realtà è che le azioni hanno il potenziale (sottolineo: potenziale) di rendere più delle obbligazioni proprio perché il loro rendimento è incerto. Il premio di rendimento dell’azionario rappresenta il prezzo che paghiamo per questa incertezza.

È ragionevole pensare che tra dieci o vent’anni il valore delle azioni sarà molto superiore a quello di oggi? Certamente sì! È garantito che sarà così? Assolutamente no! Potrebbe anche essere più basso? Improbabile, ma possibile.

I 3 passaggi per decidere nell’incerto

Ho pubblicato online una serie di cinque articoli dal titolo “Decidere sull’Incerto”, sintesi e traduzione di uno dei libri che ritengo fondamentali per gli investitori: “Radical Uncertainty” di Mervyn King e John Kay. King è stato Governatore della Banca d’Inghilterra per un decennio fino al 2013, mentre Kay è uno degli economisti britannici più autorevoli, con cattedre alla London School of Economics e a Oxford. Purtroppo il libro non è stato tradotto in italiano, ma spero che la mia sintesi possa in parte colmare questa lacuna.

Per prendere decisioni efficaci in condizioni di informazioni insufficienti dobbiamo seguire tre passaggi. La cattiva notizia, che vi anticipo subito, è che non è affatto facile, ma non abbiamo alternative efficaci.

Primo passaggio: Cosa sta accadendo?

Il primo step consiste nel rispondere con la massima accuratezza possibile alla domanda: “Cosa sta accadendo qui ed ora?”. Dobbiamo riconoscere la particolarità della situazione contingente e, contemporaneamente, collocarla nella giusta prospettiva.

Non possiamo liquidare il problema né sostenendo che “non c’è niente di sostanzialmente diverso” dagli altri crolli (per poi concludere che i mercati recupereranno comunque), né sovrastimare le informazioni più recenti come se fossero le uniche rilevanti. Tutti tendiamo a cadere vittime del bias della disponibilità (availability heuristic), ovvero la tendenza a sovrastimare la probabilità di eventi facilmente richiamabili alla memoria, specialmente se emotivamente significativi o recenti.

L’obiettivo di questa fase non è formulare previsioni o cercare certezze, ma dissipare – per quanto possibile – la nebbia emotiva su ciò che sta accadendo e delineare scenari plausibili. Tipicamente si sviluppano tre o cinque scenari: lo scenario base, quello pessimista e quello ottimista; aggiungendo eventualmente uno scenario catastrofico e uno ideale.

Secondo passaggio: Posso “sopravvivere” allo scenario peggiore?

Il secondo step consiste nell’esplorare gli scenari peggiori possibili e verificare se possiamo ragionevolmente “sopravvivere” a tali eventualità. L’obiettivo non è prevedere con esattezza cosa accadrà, ma valutare se la nostra situazione patrimoniale e psicologica può resistere agli scenari più avversi.

Quando la tempesta si abbatte sulla nostra nave, la prima domanda non è “Quanto velocemente arriveremo a destinazione?”, ma “La nave può resistere a queste condizioni?”. Dobbiamo quindi verificare:

La solidità finanziaria: abbiamo riserve liquide sufficienti per eventuali necessità impreviste?

La tolleranza emotiva: possiamo sopportare psicologicamente ulteriori perdite?

L’orizzonte temporale: abbiamo il tempo necessario per attendere un eventuale recupero?

Una strategia efficace prevede di determinare in anticipo quali azioni intraprendere se gli scenari peggiori dovessero avverarsi. Questo non è pessimismo, ma prudenza strategica. Avere un “piano B” riduce l’ansia e permette decisioni più razionali anche durante le fasi di stress.

Terzo passaggio: Sono ancora ben posizionato per gli scenari di base?

Il terzo e ultimo step consiste nel verificare se siamo ancora ben posizionati per lo scenario di base e quelli più probabili. Se il nostro piano d’investimento è stato costruito con criteri solidi, l’esito di questa fase sarà generalmente positivo e la conclusione operativa potrebbe essere: “non fare nulla”.

Questa apparente somiglianza con la conclusione che deriva dalla “narrativa sbagliata” (quella del “non fare nulla” per dogma) nasconde una differenza fondamentale: adesso la decisione deriva da un processo di analisi della situazione attuale, che ha risposto anche agli aspetti emotivi, non da un atto di fede nel mercato.

È importante sottolineare che il “non fare nulla” in questo contesto non significa ignorare passivamente gli eventi, ma piuttosto confermare attivamente che la strategia originale rimane valida nonostante i cambiamenti di mercato.

In alcune circostanze, questa analisi potrebbe invece rivelare che le premesse sulle quali avevamo fondato il progetto iniziale sono cambiate significativamente. In tal caso, è legittimo e prudente modificare l’allocazione del portafoglio, non per rincorrere il mercato, ma per adattarsi a una nuova realtà.

Conclusione

Ripetere la solita lezioncina che “i mercati si riprendono sempre” è non solo impreciso, ma potenzialmente pericoloso. È vero che vendere in preda al panico può essere dannoso, ma per accertarlo occorre un processo come quello qui descritto, che parte dai fatti e non da rassicurazioni infondate.

Il mercato non è un treno con una destinazione certa: è più simile a una barca in mezzo all’oceano. Alcuni giorni il vento è a favore, altri è contro. Non possiamo sapere dove saremo domani, ma possiamo imparare a regolare le vele e a mantenere la rotta anche nella burrasca. E in tempi come questi, il vero capitale da proteggere non è solo quello finanziario, ma anche quello mentale.

 

 

Alessandro Pedone, responsabile Aduc Tutela del Risparmio