L’elezione di Cateno De Luca dimostra che le critiche ad Accorinti e alla sua Giunta da parte di tanti che avevano partecipato alla campagna elettorale per la sua elezione non spianavano la strada ai cosiddetti “poteri forti”, che, peraltro, hanno approfittato serenamente del periodo accorintiano dal momento che è apparso presto chiaro che il conflitto preannunciato non sarebbe mai esploso.
Accorinti ha perso, dunque, di certo perché non è riuscito a migliorare le condizioni di vivibilità della città che ha amministrato, ma ha perso anche per un deficit di radicalità. Egli ha perseguito una pacificazione che nessuno gli aveva chiesto e per raggiungere questo scopo si è affidato a uomini senza consenso e radicamento che col territorio intrattengono rapporti legati esclusivamente alle proprie traiettorie professionali. A dimostrarlo bastano i modestissimi risultati in termini di preferenze ottenuti dagli assessori della Giunta uscente.
È in questo scenario che Cateno De Luca può impersonare la figura di colui che raccoglie il testimone della rivoluzione mancata, può giocarsi la carta del combattente solitario contro la casta, di quello capace, stavolta, di liberare davvero Messina.
Il passaggio di testimone era del tutto evidente già nella campagna elettorale appena terminata. Le parole di Accorinti tutte rivolte al passato, a ciò che era stato fatto, quasi che a ripetere mille volte una cosa questa diventasse vera,anche quando non percepita nella vita quotidiana di chi vive la città.
Le parole di De Luca tutte rivolte al futuro, alle possibilità di Messina, ad un piano per rilanciarla. Un’asimmetria di prospettiva che rendeva triste il primo (circondato da un contorno che, nonostante i palloncini colorati e i sorrisi forzati, risultava incapace di comunicare) e pieno di premesse e di promesse il secondo.
Cateno De Luca ha sbaragliato i suoi avversari perché più di tutti è stato capace di interpretare la fine dei partiti. Ha ridotto le facce di quelli che dovrebbero rappresentare i poteri forti in macchiette.
Ha intercettato la voglia popolare di farla pagare a chi comanda, quella voglia di rivalsa che cinque anni fa aveva investito in Accorinti. Queste elezioni dovevano essere, secondo gli scienziati della politica messinese, l’apoteosi del voto di trascinamento e invece sono diventate il festival del voto disgiunto.
De Luca lo ha capito per tempo e non si è preoccupato di presentare liste credibili. Tanto i consiglieri se li prende pret-à-porter, cotti e mangiati. Sa bene che gran parte dei candidati che davvero aspiravano ad essere eletti intrattenevano con liste, partiti e coalizioni un rapporto di convenienza. Per loro erano solo veicoli per potersi candidare. In tanti potranno firmare il loro contratto con De Luca perché rispondono solo del loro pacchetto di voti.
Tutti coloro che ancora oggi trattano la figura di Cateno De Luca con sufficienza dimostrano di non capire con cosa hanno a che fare, sono annebbiati dal loro snobismo.
Tra tutti i candidati sindaci lui era l’unico ad avere un piano. Ha dosato sapientemente i toni accesi del populismo e del leader carismatico con quelli più compassati dell’amministratore di successo.
Oggi ha cambiato ulteriormente registro e fa l’uomo delle istituzioni, ma, soprattutto, si muove con atteggiamento tattico in un mondo (quello di Palazzo Zanca) che conosce poco o nulla.
Di certo il suo arrivismo politico mai celato e la ferma volontà di puntare alla Presidenza della Regione fanno della partita messinese un terreno centrale su cui acquisire legittimità e consenso.
Pian piano si svelerà e quando questo accadrà molti di quelli che oggi guardano a lui con speranza avranno da ricredersi.
Il suo primo annuncio, la privatizzazione del servizio di smaltimento dei rifiuti, ne è la premessa. Dall’internalizzazione all’esternalizzazione il passo è stato breve.
Laboratorio Territoriale