L’esempio che tanti uomini di Chiesa oggi danno è un impasto di ambizione e subdole strategie…

Carissimi, mentre la canicola estiva imperversa con temperature roventi e la maggior parte delle persone ne approfitta per godere il meritato riposo, noi ci prepariamo, come comunità, all’ormai imminente visita del Pastore della Chiesa locale che, come ben sappiamo, si snoderà nei giorni compresi tra il 14 e il 16 Settembre p.v.
Sarà questo un momento di revisione, analisi, discernimento e confronto sul tema “Un tesoro in vasi di creta”, espressione tratta dalla Lettera di S. Paolo alla comunità di Corinto (2 Cor 4,7), su cui già il biblista José Costa ha proposto uno schema sintetico di Catechesi biblica rintracciabile sul sito www.diocesimessina.it/2cor-47-un-tesoro-in-vasi-di creta/.
La fede spiega la Chiesa e la sua missione ed è nella logica della risposta alla chiamata di Dio che si pone e si capisce il cammino che ciascun battezzato in essa dovrà compiere con disponibilità e impegno a vivere la carità nei confronti della comunità parrocchiale, di cui è parte più o meno attiva, ma sempre membro del corpo mistico del Cristo, indossando il vestito del servizio umile e costante, all’insegna della gratuità del dono ricevuto.
Il mio intervento si colloca su questo solco, ma con un taglio prettamente esistenziale, ben consapevole, come l’Apostolo delle Genti, che il messaggio di salvezza che desidero proporre è annunziato tramite un corpo mortale che ritornerà in polvere. Per rendere immediata la percezione del mio pensiero vi propongo un’immagine desunta direttamente dal Vangelo di Marco (Mc 14,3ss), ove si legge di un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo volontariamente spezzato, ma che attira l’indignazione di tanti.
Sono fermamente convinto che quando una persona è spezzata dalla prova, dalla malattia, dalle avversità, è allora che spande al meglio il profumo e la luce di Gesù attorno a sé. Il vaso è fragile, l’uomo esteriore si deteriora, ma il contenuto (Gesù Cristo) resiste e ne mantiene viva l’efficacia. Ciò provoca nel credente una contrapposizione tra forza e debolezza.
Parola ed Eucaristia cambiano l’uomo dal di dentro, lo mettono in cammino e la comunità dei credenti si allarga e si espande per la gloria di Dio. Le icone evangeliche delle pecore senza pastore, del sordomuto, del seminatore, dei due di Emmaus da una parte descrivono aspetti della condizione di vita degli uomini della società di oggi, dall’altra spiegano perché, ancora una volta, la Chiesa intraprende la via dell’evangelizzazione, del confronto e del discernimento.
In questi anni ho citato molte volte un libro del gesuita Michel De Certau, La debolezza del credere, Vita e Pensiero Editrice 2020, che avrebbe dovuto (e dovrebbe ancora) obbligare a rivedere percorsi e progetti pastorali incentrati unicamente sul raggiungimento di obiettivi pratici in perfetto allineamento con i dettami del diritto canonico.
Il motivo di tale conversione pastorale si colloca nell’accogliere il messaggio evangelico dal quale traspare che Gesù non si è presentato come un guerriero armato né come un re glorioso che attira a sé per il suo fascino mondano. Il Vangelo insegna che Lui è il compagno di viaggio che soffre con gli uomini e per gli uomini. Purtroppo l’esempio, che tanti uomini di Chiesa oggi danno, è un impasto di ambizione e subdole strategie per raggiungere il successo apostolico, ammantato di mondanità ecclesiale, come papa Francesco ha denunciato più volte.
Stando alla Scrittura, la scelta perseguita da Gesù per rivelare l’amore di Dio è proprio la debolezza che inevitabilmente scandalizza tante persone, a partire dai primi discepoli. Sarebbe opportuno tenere presente il contrasto fra l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e il processo davanti al procuratore romano Ponzio Pilato, a distanza di poche ore!
Dal racconto della passione i cristiani attingono la consolante esperienza di un Dio vicino, misericordioso e materno. Perché è salito sulla croce? Per essere con me e come me perché io possa essere con Lui e come Lui. Penso che il segno chiaro ed evidente della croce – simbolo di
totale fragilità – debba essere letto come radicale condivisione del dolore degli uomini. La croce del Vangelo, scrive Ermes Ronchi, è l’impensabile di Dio, la prova che Dio ama me più della sua propria vita. Allora per capire questa parola di Gesù, forse basta sostituire il termine croce con la parola amore: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace”. Prendi la tua porzione d’amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di croce che ogni amore comporta, altrimenti non ami: la croce è il prezzo dell’amore.
Nel romanzo “Silenzio” (Rusconi Ed. 1982, p.223) Endō Shisaku pone sulle labbra di Kichijro, un uomo vigliacco e debole, delle parole sconvolgenti durante un suo confronto con un gesuita: “È vero, sono debole, ma la debolezza è un peccato?”. A tale domanda ognuno di noi potrà dare la propria risposta. Ne azzardo una anch’io, attingendo alla Parola e parafrasando S. Paolo: è la forza della debolezza che confonde i forti. Questa è la forza di Dio. Auguro a tutti di dare un colore vivo e luminoso alla propria esistenza, vivendo pienamente le promesse battesimali da evangelizzati, contribuendo fraternamente alla retta edificazione del mondo mediante una partecipazione attiva e responsabile, a servizio della Chiesa locale, in mezzo alla società, in tutti i cantieri della vita del mondo, lungo la strada che conduce al Padre.

Ettore Sentimentale