Un rapporto pubblicato il 2 maggio scorso dal Servizio della società dell’informazione del Consiglio d’Europa, individua le principali minacce alla libertà d’espressione in Europa nel 2018 e le azioni che i governi dovrebbero avviare per contrastarle in via prioritaria.
Il Consiglio d’Europa, che è organismo diverso dall’Unione Europea, con sede a Strasburgo e 47 Paesi membri, è stato fondato proprio 70 anni fa (5 maggio 1949) per promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Una organizzazione internazionale che include anche Paesi ben lungi dall’Ue, come per esempio Russia e Svizzera. Le sue osservazioni sono teoricamente e praticamente più “stemperate” e “diffuse” visto che includono Paesi che non sottostano alle pur blande norme dell’Unione in tema di diritti dell’individuo; quindi ci danno un quadro più ampio e realistico della questione sottomessa a questo rapporto.
Per quanto riguarda l’Italia, senza consolarci perché ci sono Paesi ben più messi male di noi come la Russia che in tema di violazione dell’articolo 10 della Convenzione dei diritti umani batte tutti, viene subito agli occhi il fatto che lì dove il rapporto parla di indipendenza dei media si legge:
«Pressioni finanziarie, favoritismi e altre forme di manipolazione indiretta dei media sono sempre più utilizzati da politici di ogni tipo». L’Italia è inserita come esempio: «il vice primo ministro e leader del Movimento cinque stelle ha chiesto alle aziende statali di interrompere la pubblicità sui giornali e ha annunciato piani per “una riduzione dei contributi pubblici indiretti” ai media nel bilancio 2019. Nel novembre 2018, ha pubblicato sui social media un post contenente frasi offensive nei confronti dei giornalisti italiani e ha richiesto nuove restrizioni di legge sugli editori».
Situazione che trova riscontro nella vicenda di Radio Radicale, a cui son stati tagliati i contributi per il servizio pubblico sui lavori parlamentari che svolge. Servizio non svolto da altri e su cui, nonostante esista il servizio pubblico di informazione radiotelevisiva (Rai), ci si ostina a non provvedere in tal senso o a non fare un bando di gara per l’assegnazione (gara che Radio radicale chiede da sempre). Anche perché Radio Radicale svolge questo servizio con un contributo di 10 milioni all’anno (5 dei quali sono stati negati quest’anno col preannuncio di rottura totale della convenzione in corso), importo che che se fosse gestito dalla Rai pubblica, molto probabilmente basterebbe per un solo mese di servizio all’anno.
C’é tutto, e senza azzardo. il collegamento coi richiami del Consiglio d’Europa, per il fatto in sé quanto come esempio di un pubblico potere che vuole oscurare le informazioni dirette e senza veli dei propri lavori istituzionali.
Ora va di moda, tra i megafoni quotidiani della maggioranza al governo, dire che tutto quello che viene dall’Europa è brutto, sporco, cattivo e fatto proprio per far male al nostro Paese. E, ovviamente, anche se il Consiglio d’Europa è organismo ben diverso dall’Unione, immaginiamo che questo valga anche nel nostro caso… sembra che la parola “Europa” emani di per sé una sorta di negatività di cui l’Italia ne è principale vittima. Ma qualcosa, anche più di qualcosa, non torna in questo caso, visto che il rapporto di cui stiamo parlando è, per esempio, emanazione di un organismo di cui fa parte uno dei principali alleati della maggioranza al governo, la Russia. Oltre a tutti quegli altri Paesi dell’Unione che stanno organizzandosi (leader – sembra – l’Italia) per una sorta di internazionale sovranista che per affermarsi pare che debba non solo chiudere le frontiere a merci e persone ma anche impedire libertà d’espressione e di comunicazione
convogliando tutti i mezzi sotto l’ala protettiva dei vari governi.
A noi sembra che questo rapporto del Consiglio d’Europa abbia, proprio grazie all’esempio di Radio Radicale, ben individuato e sottolineato il problema. Lo dobbiamo lasciare sulla carta su cui è scritto o vogliamo cogliere l’occasione del prossimo rinnovo del Parlamento europeo per dare un segnale di quali siano i nostri interessi di utenti dei servizi di informazione e comunicazione?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc