Senza voler polemizzare troppo con chi ha iniziato a denigrare la nuova amministrazione Trump cercherò di sintetizzare (aiutandomi dai giornali che seguo ogni mattina)le principali misure varate nelle stesse ore del suo insediamento da presidente americano, che, naturalmente, rappresentano forti segnali non solo per l’America ma per il mondo intero.
Forse non è l’età dell’oro annunciata ma sicuramente un nuovo capitolo nella storia del pianeta. “L’America che Trump ha descritto è molto diversa da quella col cappello in mano dell’era Obama-Biden: è una superpotenza che si è stancata di autoflagellarsi ed è determinata a riaffermare i propri interessi nazionali senza guardare in faccia a nessuno. Le reazioni scomposte della sinistra mondiale sono prova provata di quanto questa nuova America ambiziosa e sicura dei propri mezzi faccia paura alla mafia globalista. (Luca Bocci, Torna Trump e torna l’America: una superpotenza stanca di autoflagellarsi, 21.1.25,atlantico.it). Si è capito fin dalle prime battute che non si sarebbe trattato del solito discorso pacato, istituzionale, di quelli che fanno addormentare dopo cinque battute. Trump ha sempre usato con parsimonia immagini religiose ma stavolta non ha problemi a dire che “Dio ha salvato la mia vita per una ragione: perché rendessi l’America di nuovo grande”. Per questo il 20 gennaio 2025 sarà per i cittadini americani il “giorno della Liberazione”. Nel discorso di Trump qualcuno addirittura ha visto la retorica reaganiana del Morning in America, spingendo forte sulle corde del cosiddetto “eccezionalismo americano”, vedremo.
“La più importante decisione di Trump, secondo me, è stata quella di ristabilire la libertà di parola e opinione anche in pubblico, come previsto dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, dopo che, negli ultimi 4 anni, «la precedente amministrazione ha calpestato i diritti di libertà di parola censurando il discorso degli americani…con il pretesto di combattere “disinformazione” e “misinformazione”, il governo federale ha…promosso la narrazione preferita dal governo su questioni significative del dibattito pubblico». Una decisione, scusate il gioco di parole, decisiva anche per la libertà religiosa nel paese e dovrebbe essere presa sul serio anche dalle istituzioni europee, sempre più affascinata dalla censura politicamente corretta. (Luca Volontè, La rivoluzione di Trump è iniziata subito. E favorisce la vita, 23.1.25,lanuovabq.it) Altri fattori evidenziati da Volontè, senza volerli sottolineare tutti, sono quelli che interessano il valore della vita nascente, l’ideologia gender e woke, l’educazione.
Pertanto, Trump ha dato riprova anche della sua avversione alle pericolose e fantasiose ideologie del gender e un ordine esecutivo specifico sull’ideologia di genere, o in difesa della specificità femminile e maschile, riafferma la evidenza biologica e biblica dei due sessi e delle loro differenze e complementarietà che Joe Biden, con le sue politiche ed iniziative ossessive, negli ultimi quattro anni ha cercato di cancellare, imponendo dapprima la confusa ideologia dell’istintività gender, poi la promozione del transgenderismo. Al posto di confusione ed equivoci su “identità di genere” e “sesso assegnato alla nascita”, questo ordine esecutivo cerca di radicare la legge e la politica federale sul fondamento della biologia e cancellare la promozione federale dell‘ideologia di genere, anche nelle prigioni femminili, vieta il finanziamento federale delle procedure di “transizione” di genere e, di conseguenza, annulla tutti i precedenti documenti di orientamento del Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti relativi all’ideologia di genere.
In estrema sintesi, se Biden si era impegnato per cancellare quanto fatto da Trump in quattro anni, la squadra di Trump ha un obiettivo più ambizioso: riportare l’orologio della politica americana al 2008, prima della nefasta era Obama. E, “poco importa che molte di queste decisioni vedranno una feroce resistenza sia nel Congresso che nei tribunali: Trump ha fatto capire a tutti che stavolta ha fatto i compiti a casa e che non si farà distrarre dal raggiungere i suoi obiettivi”.
Non si sa esattamente se i decreti sono 200, è probabile che sono di meno, tuttavia, sono tanti, giusto “per far scoppiare il fegato ai sinistrati, che stanno già perdendo la voce a forza di ululare alla luna”. Comunque sia, “Arrivare con un numero tale di decreti già pronti è un segnale chiaro di quello che molti avevano fatto finta di non vedere: Trump ha usato gli ultimi quattro anni per selezionare un gruppo di lavoro di ottimo livello e definire passo dopo passo cosa farà nel corso del suo secondo e ultimo mandato presidenziale”. (Luca Bocci, Partenza a razzo: in 200 decreti ecco la rivoluzione Trump. Ed è solo l’inizio 22.1.25, atlantico.it)
L’evento storico dell’insediamento è stato rilevato anche dal professore Eugenio Capozzi, raramente era capitato, negli ultimi decenni, che l’insediamento di un nuovo presidente degli Stati Uniti d’America fosse atteso con tanto interesse e partecipazione come quello di Donald Trump.“La sensazione che il mandato del nuovo presidente stesse per segnare uno spartiacque, la fine di una fase storica e l’inizio di un’epoca nuova”, è abbastanza evidente per Eugenio Capozzi.
“Il secondo mandato di Donald Trump viene inquadrato già dalla maggior parte degli osservatori non soltanto come il segno di un cambiamento decisivo negli equilibri della società statunitense e di quelle occidentali, bensì anche come l’annuncio di un complessivo riassetto degli equilibri di potere e di potenza a livello mondiale”. (Eugenio Capozzi, Trump 2: un’America ambiziosa ma pragmatica in un mondo multipolare, 20.1.25, Lanuovabq.it)
I motivi di questa svolta storica sono diversi. I democratici sono stati costretti in campagna elettorale in corso al cambio del candidato presidente e poi è stata oggettivamente l’ultimo atto di un drammatico scontro politico e culturale cominciato nel 2016. “L’irruzione, allora, di Trump nella politica statunitense e la sua inattesa vittoria contro Hillary Clinton avevano travolto l’intero establishment del partito democratico e di quello repubblicano, del conservatorismo e del progressismo tradizionalmente intesi”. Non solo aveva modificato drasticamente le linee di frattura nella dialettica politica del Paese, ma anche nel mondo, in tutto l’Occidente. “L'”intruso” tycoon, con la sua radicale alterità, – scrive Capozzi – per tutto il suo mandato dovette fronteggiare una potente reazione di rigetto da parte di quell’establishment che aveva sfidato, tra le false accuse di compromissione con Putin (il Russiagate), le innumerevoli inchieste giudiziarie ad personam, l’ostracismo feroce del sistema mediatico mainstream, lo scatenamento della piazza estremista dei Black Lives Matter”.
La sua sconfitta contro Biden nelle contestatissime elezioni del 2020, e poi le accuse di eversione a lui mosse dopo l’invasione del Campidoglio del 6 gennaio 2021, avevano convinto gran parte dei suoi avversari che il suo astro fosse tramontato definitivamente. Ma non è stato così. In questi quattro anni di amministrazione democratica, l’immigrazione clandestina incontrollata favorita dall’ideologia multiculturalista è aumentata. La transizione energetica forzata imposta dalla dottrina “gretista” green ha accentuato l’inflazione e favorito ulteriormente la deindustrializzazione a favore della concorrenza cinese. “In questo contesto il trumpismo è riemerso e si è consolidato come unica plausibile alternativa a una deriva distruttiva e disgregante. Ha mantenuto la sua radice originaria di rappresentanza dei “dimenticati”, ma è diventato qualcosa di più ampio: una dottrina della crescita, della riaggregazione sociale in nome dell’interesse nazionale”. The Donald è tornato a vincere perché ha promesso di dare un taglio alle follie DEI, gender e woke in scuole e servizi pubblici; di porre fine all’ondata di immigrazione selvaggia; di consentire la ricerca del massimo possibile di materie prime energetiche abbassandone il prezzo; di tagliare gli sprechi della burocrazia e le spese per guerre all’estero; di proteggere il sistema industriale dal dumping asiatico, abbassando la pressione fiscale e incentivando gli investimenti.
a cura di DOMENICO BONVEGNA