L’INTERVENTO: LIBANO VERSO LA PACIFICAZIONE

E’ doveroso il mio intervento sulla nuova situazione politica in Libano, in passato soprattutto negli anni ’90 mi interessavo e seguivo ogni notizia che proveniva da questo piccolo Paese Mediorientale, ma importante e fondamentale per mantenere la pace e il dialogo nel territorio. Basti pensare che tutti i Pontefici hanno preso a cuore le sorti del Libano, in particolare Giovanni Paolo II che il 10 maggio 1997 ha emanato una Esortazione Apostolica post-sinodale, “Una nuova speranza per il Libano”.

Mentre in occasione della grave esplosione nel porto che ha devastato Beirut (agosto 2020) – 220 morti, 6.000 feriti e 300 mila sfollati – Papa Francesco richiama tutti alla “Giornata universale di preghiera e digiuno per il Libano”. Nell’accorato appello a tutti i libanesi, ricordava il richiamo di 30 anni fa di San Giovanni Paolo II, affermando: “Di fronte ai ripetuti drammi, che ciascuno degli abitanti di questa terra conosce, noi prendiamo coscienza dell’estremo pericolo che minaccia l’esistenza stessa del Paese.

Il Libano non può essere abbandonato nella sua solitudine”. Per oltre 100 anni, il Libano è stato “un Paese di speranza“, “un luogo di tolleranza, di rispetto, di convivenza unico nella regione“. Come disse San Giovanni Paolo II nel 1989, “il Libano rappresenta qualcosa di più di uno Stato, il Libano è un messaggio di libertà, è un esempio di pluralismo tanto per l’Oriente quanto per l’Occidente‘”. Francesco ha ribadito: “Per il bene stesso del Paese, ma anche del mondo, non possiamo permettere che questo patrimonio vada disperso”. (3 settembre 2020)

E’ in Libano che si sperimenta la vera pace tra le religioni monoteiste. Il Paese ha una lunga storia di equilibrio tra queste fedi. Pertanto l’elezione del nuovo presidente il generale Joseph Aoun, viene salutata come un inizio di pacificazione e di ordine per il Paese. Riempie un vuoto istituzionale durato più di due anni. Soddisfazione dei partner internazionali e di Israele. Sconfitta politica per Hezbollah e gli sciiti di Amal. Le grandi potenze straniere, Francia, Usa e Arabia Saudita in testa, non sentono ragioni: stavolta il presidente s’ha da fare, pena l’immediato blocco degli aiuti finanziari di cui ha urgente bisogno il Paese, gravemente danneggiato dalla recente guerra tra Hezbollah e Israele. Questo è il commento quasi unanime dei giornali di ieri. In particolare ho seguito il servizio di Andrea Morigi su Libero (Medio Oriente

Il Libano elegge “l’occidentale” Joseph Aoun per disarmare Hezbollah, 10.1.25) In pratica per mettere un po’ di ordine a Beirut bisognava che cadesse Damasco. “Rovesciato il regime di Bashar Assad, si sono interrotti i rifornimenti di armi e denaro che dall’Iran passavano attraverso la Siria per arrivare ai terroristi islamici di Hezbollah in Libano”. Ma questo è potuto avvenire grazie soprattutto alla caparbietà di Israele che, prima di accettare la tregua e dare il via al ritiro delle sue truppe, per oltre un anno ha decimato la milizia sciita, rendendola quasi inoffensiva. Naturalmente poi ha influenzato l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, soltanto a queste condizioni l’Assemblea nazionale libanese è riuscita a eleggere Joseph Aoun capo dello Stato. Aoun è un militare, comandante delle Forze armate come lo fu il suo predecessore Michel Aoun, il cui mandato era scaduto nell’ottobre del 2022. I due, hanno soltanto il cognome uguale, ma non sono parenti. Tuttavia il nuovo presidente appartiene alla comunità cattolica di rito maronita, ma non ha lo stesso orientamento politico del precedente generale, che sostanzialmente era una pedina della Repubblica islamica dell’Iran, con il quale aveva stretto un patto scellerato pur di ottenere il sostegno sciita. Oggi, scrive Morigi, “se Hezbollah ne avesse avuto la possibilità e la forza, avrebbe preferito un altro candidato, Suleiman Frangieh, leader di un piccolo partito cristiano del Libano settentrionale con stretti legami con l’ex raìs siriano Assad”. Invece stavolta hanno prevalso le Forze Libanesi di Samir Geagea, di centrodestra e non pregiudizialmente ostili a Israele, che sono riuscite a formare una maggioranza insieme alle formazioni legate alla monarchia di Riad. Morigi ricorda ai lettori come avviene la distribuzione dei poteri politici in Libano. In pratica il Paese dei Cedri distribuisce le cariche istituzionali in base a un criterio confessionale:il presidente della Repubblica è un cristiano, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Per decenni questo tipo di rappresentanza politica fu considerato un felice esperimento di convivenza fra comunità religiose in Medio Oriente, che assicurava benessere e pace a tutta la regione. Il Libano era considerato la “Svizzera del Medio Oriente”.

Poi, negli anni 1970,l’arrivo dei profughi palestinesi di Arafat che ruppero questa “precaria armonia interreligiosa e scatenò un conflitto interno al Libano che ridusse il Paese a brandelli e lo fece diventare fino a oggi territorio di conquista per le potenze regionali”. Adesso bisogna tornare nella direzione indicata dalle risoluzioni dell’Onu, che impongono il disarmo delle milizie e il loro ritiro dietro il fiume Litani. Ma questa “svolta si potrà realizzare quando lo Stato libanese avrà «il monopolio delle armi», come ha promesso ieri Joseph Aoun nel suo discorso d’insediamento, aggiungendo che il Paese «deve investire nel proprio esercito per poter proteggere i propri confini, lottare contro il contrabbando e il terrorismo e prevenire l’aggressione israeliana sul territorio».

Per ottenere quest’ultimo obiettivo, basta impedire a Hezbollah di attaccare lo Stato ebraico. Finora, nemmeno l’Unifil vi è riuscita. Infatti, il primo a congratularsi con il nuovo presidente è stato il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, nella speranza «che questa scelta contribuisca alla stabilità, a un futuro migliore per il Libano e il suo popolo e a relazioni di buon vicinato». Per rimettere in piedi l’economia del Libano, che ha superato da tempo il baratro del fallimento, la condizione necessaria è l’equilibrio della pace.

DOMENICO BONVEGNA

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