Da settimane la sinistra fomenta ansia e allarmismo, capeggiata dal segretario della Cgil, Maurizio Landini che – dopo anni di sonnolenza sindacale – oggi “vuole rovesciare il Paese come un guanto in nome della rivolta sociale”. La sinistra è da mesi che ha intrapreso una sua battaglia politica contro il centrodestra che ha vinto le elezioni. A Roma si dice “nun ce vonno sta’ ”. Mentre in Italia assistiamo a questa tragicommedia, la stessa presidente del Consiglio riceve attestati internazionali di consenso spesso inaspettati a cominciare da giornali che notoriamente non sono di Destra o sovranisti e poi dai presidenti Milei a Trump. Tutti parlano con interesse di noi e del nostro governo. Siamo un Paese forte, anche se ci percepiamo deboli.
Tra i giornali troviamo Politico.eu e a The Economist. Le Figaro e il The Wall Street Journal. Soprattutto il primo Politico.eu della tedeschissima Axel Springer. che incorona Meloni “the most powerful person in Europe”. Benché con proprio grave rammarico, in quanto descrive un’Italia che – secondo quel giornale – limita libertà di parola, cerca di mettere a tacere i critici, ha preso di mira i giudici e comunità Lgbtq+, fa accordi sui migranti con regimi repressivi, insomma erode le libertà civili.
Ad aprire le danze è stato l’ottimo Javier Milei. Il quale, a casa di Donald Trump, ha auspicato “un’alleanza di nazioni libere, custodi dell’eredità occidentale, stabilendo nuovi legami politici, commerciali, culturali, diplomatici e militari”, mettendoci dentro “gli Stati Uniti nel Nord, l’Argentina nel Sud, l’Italia nella vecchia Europa e Israele come sentinella alla frontiera in Medio Oriente”. Va da sé che egli consideri l’Italia libera e all’altezza della bisogna. Un bel complimento.
Lo ha ribadito a Baires, ricevendo Giorgia Meloni: “perché l’Occidente si trova nelle tenebre e chiede a noi che difendiamo la libertà – anche se siamo ancora pochi – possiamo fare luce e segnare la strada perché la vittoria della guerra non dipende dalla quantità dei soldati ma dalle forze che ci arrivano dall’Alto”. Un altro bel complimento. Se ne è accorto anche il The Wall Street Journal, secondo il quale Trump e Meloni avrebbero un bel “terreno comune” su immigrazione incontrollata, valori tradizionali, sostegno “senza ambiguità” ad Israele e condanna di Hamas, sostegno alla deterrenza contro Putin. Poi, fa l’esempio militare: “più di 12.000 soldati statunitensi sono di base in Italia e Napoli è il quartier generale della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti. In Europa, solo la Germania ospita più membri del servizio americano”. Insomma, “il ritorno di Trump a Washington è un’opportunità promettente. Per governare in modo efficace, avrà bisogno di amici in Europa. Non troverà un’alleata migliore della signora Meloni”.
Donald Trump, parlando di Meloni dice che è “grande” e che ha “molta energia”, aggiungendo: “sono stato molto con lei” e “siamo andati d’accordo alla grande”. Ribadendo che Meloni è “un fantastico leader ed una fantastica persona”, senza dimenticare un “amo l’Italia”, che non sta mai male. Che Dio benedica Donaldo.
Le conclusioni di queste citazioni potrebbero essere le seguenti: “parlare con interesse di noi e del nostro governo, non capitano tutti i mesi. Anzi, non capitano quasi mai, forse proprio mai. Eppure, questo mese sono capitate. Che vorrà dire? Che siamo un Paese forte, anche se ci percepiamo deboli. Che abbiamo una politica estera sensata, anche se fatichiamo a intravvederla. Che abbiamo i soliti nemici, in giro per L’Europa. Ma che abbiamo pure qualche buon amico, in giro per il mondo”. Così conclude atlanticoquotidiano.it. Sull’argomento è intervenuto anche il professore Eugenio Capozzi, “Anche i media progressisti ogni tanto vengono assaliti dalla realtà, e devono, almeno in parte e a malincuore, rinunciare ai loro rigidi stereotipi ideologici per cercare di fare seriamente i conti con le tendenze che stanno rimodellando la storia della politica occidentale. Almeno quando la realtà è così coriacea e fa tanto male, quando ci si schianta contro di essa, da lasciare segni indelebili”. (Trump e Meloni, ammissioni progressiste senza comprensione, 14.12.24 lanuovabq.it) Capozzi oltre a Meloni fa riferimento al riconoscimento che ha ricevuto Trump dopo la sua elezione, come protagonista indiscusso, era inevitabile anche se secondo la rivista Time ci sono ancora rischi per quanto riguarda il trumpismo come un fenomeno politico. Invece per quanto riguarda la nostra presidente del Consiglio il giudizio per esempio di Politico.eu era meno prevedibile. In sintesi, la rivista riconosce alla leader del centrodestra e presidente del Consiglio italiana la capacità di superare il punto di partenza su cui aveva costruito la propria personalità politica – quella, ai suoi occhi, della destra «ultranazionalista» ed euroscettica – per muoversi con efficacia verso posizioni moderate, fare da mediatrice tra la «maggioranza Ursula» e le forze sovraniste in ascesa. Secondo Capozzi, anche per la Meloni, come per Trump, il ritratto è denso di chiaroscuri, e non certo benevolo. Politico descrive sostanzialmente la Meloni come una tessitrice molto abile a nascondere, dietro posizioni opportunistiche, la persistenza di una sostanza politica fortemente illiberale. A sostegno di questa tesi la rivista elenca una serie di presunti regressi autoritari avvenuti in Italia sotto il suo governo, descritti con la stessa retorica allarmistica riservata solitamente all’Ungheria di Orbán: minacce alla libertà di informazione, attentati ai “diritti” Lgbt, propositi di irregimentazione della magistratura, e simili”.
Anche in questo caso, come in quello del giudizio di Time su Trump, si ammette che la destra “populista” incarna tendenze fortemente proprie della presente epoca, ma se ne legge il successo non come un’espressione fisiologica della dialettica liberaldemocratica, bensì come il segno di una sua patologia strutturale, di una crisi che potrebbe rivelarsi fatale. Insomma per Capozzi, manca ancora, “totalmente in questa analisi la volontà di comprendere le ragioni effettive dell’affermazione di quelle destre di cui Meloni è dipinta come la più pragmatica espressione. Di comprendere, insomma, che se un numero sempre crescente di elettori europei vota per i “populisti” perché è esasperato dall’immigrazione selvaggia, dal “green deal” che distrugge l’industria e il lavoro, dalla tirannia woke e Lgbt, ciò non avviene per colpa dei diabolici e antidemocratici “populisti”, ma per ragioni oggettive di insostenibilità di quelle politiche: fondate, esse sì, su un estremismo ideologico illiberale, che oggi è proprio delle forze politiche e culturali liberal”.
DOMENICO BONVEGNA