“La crisi di Stellantis non è solo la crisi di un colosso dell’automotive, è il simbolo di un sistema industriale italiano che si sta indebolendo sotto il peso di dinamiche globali, scelte politiche miopi e transizioni mal pianificate. Il crollo di un settore che per decenni è stato la spina dorsale dell’economia italiana impone una riflessione profonda”. E’ la riflessione di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners.
“Le dimissioni di Carlos Tavares- spiega- segnano un punto di svolta nella crisi Stellantis. La fusione tra Fca e Peugeot, celebrata come una svolta epocale, si è rivelata un matrimonio più finanziario che industriale. La produzione si è spostata verso Paesi con costi più bassi, mentre gli stabilimenti italiani sono rimasti a corto di investimenti e nuovi modelli. I numeri sono impietosi: 42.500 dipendenti in Italia, in calo del 25% rispetto al 2021, e un’età media che supera i 57 anni. La cassa integrazione è ormai la norma in tutti gli stabilimenti, e il costo per lo Stato supera i 700 milioni di euro solo negli ultimi tre anni. Di piani industriali lungimiranti, però, non c’è stata traccia. La geopolitica detta in modo sempre più cogente le regole dell’economia globale, non è più il mercato a decidere liberamente.
L’Ue ha scelto di imporre standard che, sebbene motivati dall’urgenza climatica, hanno ignorato le logiche del mercato e delle competenze produttive locali. La decisione di abbandonare i motori endotermici entro il 2035 è emblematica di questa deriva. Non si tratta di un semplice cambiamento tecnologico, ma di un’imposizione che ha travolto un sistema produttivo costruito su decenni di innovazioni nel motore a combustione. Questa imposizione ha offerto ai giganti cinesi un vantaggio competitivo clamoroso, mentre l’Europa si è trovata a rincorrere. E in Italia, questa rincorsa si è trasformata in una caduta: la filiera dell’automotive, che conta oltre 2.000 aziende e genera un fatturato di 60 miliardi, è oggi un settore in affanno”.
“Non è solo l’automotive a soffrire- sottolinea poi Livolsi- La manifattura italiana, uno dei fiori all’occhiello della nazione, che ha sostenuto il Paese nei momenti di crisi, mostra segni di cedimento sempre più evidenti. Il suo contributo al PIL continua a scendere, dal 19,9% del 2019 all’attuale 18,1%. Numeri che raccontano un declino lento ma inesorabile, reso ancora più evidente dalla mancanza di politiche industriali coerenti. Intanto, i grandi gruppi industriali sembrano più interessati a delocalizzare che a innovare sul territorio nazionale, e il governo fatica a trovare un equilibrio tra sostegno pubblico e incentivi al rischio privato”.
“Nella Legge di Bilancio in via di approvazione, risultano certamente positivi gli sconti sull’Ires, finanziati attraverso un nuovo contributo a carico di banche e assicurazioni, destinati alle imprese che reinvestono la maggior parte degli utili nell’attività e promuovono la creazione di nuova occupazione stabile. Allo stesso modo, sono apprezzabili le risorse stanziate per gli incentivi destinati alla Zes (Zona economica speciale) al Sud, che potranno essere cumulati con quelli previsti dal programma Transizione 5.0, a loro volta rafforzati e semplificati. Tuttavia, serve una revisione radicale delle strategie, che metta maggiormente al centro l’innovazione, la formazione e la capacità di attrarre investimenti in settori strategici. Bisogna evitare le soluzioni tampone e iniziare a costruire un modello industriale capace di competere a livello globale e anticipare il futuro. La crisi di Stellantis è gravissima- conclude Livolsi- ma può essere l’occasione per ripensare il ruolo dell’industria italiana in un mondo che cambia a velocità rapidissima”.