Non ricordo ma sono sicuro che molti anni fa mi ero spinto a scrivere di stare con lo Stato di Israele. Non solo ma ricordo bene come spesso Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, grande studioso, e conoscitore anche della politica internazionale, in più occasioni sosteneva che lo Stato israeliano rappresenta l’antemurale dell’Occidente, l’ultimo baluardo difensivo del nostro mondo di fronte alla massiccia pressione del fondamentalismo islamista.
Chi non capisce questo o è ignorante, oppure odia talmente l’Occidente che preferisce essere sottomesso alle frange islamiste. Con mia grande meraviglia leggo dall’Unità del 9 Ottobre scorso in un editoriale di Andrea Aversa (Perché Israele va difeso, se cade lo Stato Ebraico muore l’Occidente) si scrive a due giorni dell’attentato terroristico di Hamas che ha massacrato oltre 1.500 ebrei: “Gli attacchi terroristici non hanno nulla a che vedere con la lotta palestinese. Dei palestinesi non interessa nulla ad Hamas che li tiene in ostaggio nella Striscia di Gaza. Non interessa nulla alla vetusta e corrotta autorità palestinese. Non interessa di certo ai regimi arabi che invece la usano per attaccare Israele e l’Occidente. Se fosse vero il contrario, lo stato palestinese sarebbe già nato da anni. Questa è un’ennesima guerra di civiltà, tra le dittature e le democrazie. Una guerra geopolitica, di convenienza e di supremazia tra potenze regionali come l’Iran e l’Arabia Saudita. È un conflitto combattuto da chi non parla di sconfitta o vittoria ma di chi predica l’estinzione e la distruzione di uno stato e del suo popolo. È lo scontro culturale di chi manifesta il proprio antisemitismo e la propria ossessione antisraeliana. Perché ancora oggi l’unica colpa degli israeliani è quella di essere ebrei. Per questo l’Europa, gli Usa e l’intero mondo occidentale – liberale e democratico – non possono girarsi dall’altra parte. Vorrebbe dire soccombere alle barbarie”.
Un simile ragionamento viene fatto da Ernesto Galli della Loggia, il 22 novembre scorso su Il Corriere della Sera (Noi e Israele, l’ostilità nascosta) Ancora una volta gli ebrei sono stati lasciati soli, forse possono contare sugli Stati Uniti, non certo su di noi, sull’Europa. ”Con la sua sola esistenza, Israele ricorda a noi occidentali quello che non siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere e suscita un’infastidita insofferenza”. Galli della Loggia ci tiene a precisare che il 7 ottobre è stato un vero e proprio progrom antiebraico, di odio degli ebrei. Occorre chiedersi, che tipo di risposta “giusta” si poteva dare di fronte alla carneficina del 7 ottobre? Cosa poteva “prefiggersi chi aveva visto un migliaio e più dei propri concittadini inermi, le proprie donne e bambini, sgozzati, stuprati, sventrati, fatti a pezzi? Inoltre, “Quale avrebbe dovuto essere la «giusta» reazione di chi aveva visto oltre duecento di essi rapiti come ostaggi?” Si chiede Galli della Loggia.“Finora nessuno lo ha saputo dire, e soprattutto come sarebbe stato mai possibile eseguirla concretamente: nessuno che io sappia. Eppure non si contano coloro che fin dall’inizio, fin dalle prime ore dell’attacco israeliano a Gaza hanno immediatamente cominciato a denunciarne la natura di «crimine di guerra», addirittura di «genocidio»”.
Intanto dalle dichiarazione di Netanyahu, l’esercito israeliano intende distruggere Hamas ad ogni costo, probabilmente però un obiettivo irraggiungibile.
Tuttavia, cresce nell’opinione pubblica europea una certa ostilità, perlomeno la dissociazione nei confronti dell’operazione militare israeliana. Si tratta di una antipatia più o meno esplicita per Israele. Per l’Occidente, Israele è diventato profondamente antipatico. Per la sua società, per i valori che lo animano, per i modi della sua gente, “Israele suscita in molti qui da noi un sentimento di fastidio, di sordo rigetto. Israele non ci piace. Ma non è la sua diversità in quanto tale che ci dà fastidio (nessuno si fa infastidire dalla diversità, poniamo, dell’Islanda o del Portogallo)”.
A questo punto Galli della Loggia scrive una cosa interessante, Israele, con la sua sola esistenza, infatti, ci “ricorda a noi occidentali quello che non siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere. Per ragioni se si vuole anche in buona parte indipendenti dalla sua volontà, tuttavia lo Stato ebraico è l’esempio di una società divisa al proprio interno anche in modi asprissimi — ad esempio sulla questione cruciale del ruolo della religione — ma che nei momenti critici sa mettere da parte ogni motivo di frattura e mostrarsi straordinariamente unita e coesa”.
“È una società che crede in se stessa, nel senso profondo della propria esistenza, della propria storica ragion d’essere, e capace come nessun’altra di instillare questo sentimento nei propri cittadini”. Il giornalista ricorda che sono a migliaia, i cosiddetti riservisti che lasciano i loro affari ai quattro angoli della terra e “nell’ora del pericolo, senza che nessuno li richiami, sentono spontaneamente il dovere di ritornare in 24 ore nella propria patria per difenderla è una circostanza che parla da sola”. Basta solo questo per “indicare la nostra siderale diversità”, con loro.
Pertanto, “che lo vogliamo o no, che lo sappiamo o no, per i popoli di cultura cristiana quali noi ancora siamo, Israele non è, né può essere un luogo qualsiasi”. Alcuni quasi si compiacciono se Israele commette errori, sembra che stiamo lì col dito puntato contro. Ma nello stesso tempo gli ebrei, gli israeliani, ci meravigliano per il senso della comunità, il senso civico, la disponibilità al sacrificio personale che connotano la loro vita e che si esprimono in modo peculiare nel suo rapporto con la guerra. E loro sono impegnati in una guerra continua che dura da settantanni, e per le nostre società segnano da tempo una lontananza abissale. “Morire in guerra per noi è diventato ormai inconcepibile”. E tuttavia avvertiamo che quella circostanza così drammatica, la guerra, mette in gioco tratti ancestrali dell’identità umana cui è difficile negare un valore elementare quanto si vuole ma pur sempre cruciale: il coraggio, il sentimento di solidarietà con chi sta al nostro fianco, l’abnegazione”.
Qualcosa di simile possiamo constatare in Ucraina. Che cosa dovevano fare gli ucraini di fronte all’invasione russa?
Israele ci costringe a fare l’esame di coscienza, a noi europei, occidentali. Noi che odiamo la nostra civiltà, che non siamo più convinti della nostra identità, della nostra cultura (Atene, Roma, Gerusalemme). L’Occidente, l’Europa odia se stessa diceva il cardinale Joseph Ratzinger prima di diventare Papa. Certo la nostra Storia ha lati oscuri di cui dobbiamo vergognarci, ma pur restano i lati positivi, pieni di luci.
DOMENICO BONVEGNA
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