L’emendamento governativo alla legge di Bilancio 2022 in materia di magistratura onoraria, nel testo depositato oggi alla Commissione Bilancio del Senato, ha pericolosamente incrinato il rapporto fiduciario, che, in un sistema democratico, deve sovraintendere il rapporto tra le istituzioni e i cittadini.
Nei regimi rappresentativi chi è selezionato per governare il Paese deve godere del consenso e della fiducia dei cittadini nella sua capacità di affrontare e dare risposte alle loro legittime istanze in modo efficace ed efficiente, naturalmente nel pieno rispetto dei principi di diritto.
«Lo Stato democratico non ha bisogno solo di una legittimità legale, attraverso il rispetto delle procedure, ma anche di una fiducia».
Con l’emendamento in questione viene legittimato il ricatto al lavoratore da parte del datore di lavoro, in questo caso lo Stato e, precisamente, il Ministero della Giustizia.
La norma prevede che il Giudice onorario, che intenda essere confermato nell’esercizio delle sue funzioni, debba sottoporsi ad una procedura valutativa dinanzi ad una commissione composta dal Presidente del Tribunale, da un magistrato e da un avvocato designato dal Consiglio dell’Ordine, presenza quest’ultima quantomeno inopportuna e lesiva del principio di autonomia e indipendenza del giudice, che si vedrà esaminato dallo stesso avvocato del quale potrebbe aver deciso (o essere chiamato a decidere) una causa.
La mancata presentazione della domanda di partecipazione alla procedura valutativa è causa della cessazione dal servizio, mentre la presentazione della domanda “comporta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso, salvo il diritto all’indennità di cui al comma 2 in caso di mancata conferma”. In questo comma si consuma l’odioso ricatto nei confronti del magistrato, ancora definito onorario, ma riconosciuto quale lavoratore subordinato dalla Corte di Giustizia Europea.
Il datore di lavoro, quale semplice condizione per accedere al “concorso”, impone al prestatore di rinunciare a far valere i propri diritti, attuali e pregressi, senza nemmeno fornire la garanzia dell’assunzione.
Il ricatto è ancora più grave, se si considera che la rinuncia deve riguardare anche i diritti indisponibili del lavoratore, perché tutelati costituzionalmente, come il diritto a percepire una retribuzione dignitosa, il diritto al riposo giornaliero, settimanale ed annuale per ferie, nonché quello riguardante il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, diritti ritenuti irrinunciabili ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione e tutelati con la previsione di specifiche e rigorose norme invalidanti (art. 2113 c.c.).
Inquieta la circostanza che la norma in questione, chiaramente illegittima e contraria ai fondamentali principi del nostro ordinamento e della nostra civiltà giuridica, provenga dagli uffici del Ministero della Giustizia che, si presume, siano composti da personale altamente specializzato e certamente in grado di comprenderne la portata e gli effetti.
Non è chiaro se la Ministra della Giustizia abbia esaminato il testo dell’emendamento; in tal caso sarebbe estremamente grave la sua approvazione, considerata la sua indubbia preparazione giuridica; non meno grave sarebbe l’ipotesi di divulgazione a sua insaputa di un testo a lei riferibile nella qualità di capo del ministero.
Inquieta anche il silenzio della politica, salvo qualche rara eccezione, troppo spesso distratta ed incline ad accogliere acriticamente tutto ciò che provenga dagli uffici ministeriali.
Non ci si illuda che la questione sia di poco conto perché riguarda un numero limitato di cittadini e di lavoratori, in quanto ciò che deve preoccupare è il principio che si vuole affermare e che potrebbe colpire qualunque altra categoria di lavoratori.
È, pertanto, importante che ci si opponga tutti, con forza e con sdegno, a tanta tracotanza e spetta principalmente alla Politica il compito di ristabilire il rispetto dei principi basilari dell’ordinamento.
Il processo, attraverso il quale si accumula fiducia e con essa consenso verso le istituzioni e le politiche messe in atto, si basa su una valutazione razionale e retrospettiva dell’esperienza con lo Stato; in quest’ottica quale rispetto e quale fiducia può nutrirsi nei confronti di istituzioni che legittimano il ricatto verso soggetti deboli?
Non è peregrino pensare che la perdita di fiducia nelle istituzioni e nella politica possa provocare lo scardinamento del sistema democratico e che questo abbia inizio da piccoli episodi che ai più possano sembrare irrilevanti, perché non toccati direttamente.
Se coperti dal silenzio e dall’indifferenza, i soprusi possono moltiplicarsi fino a minare le basi dell’ordinamento.
L’auspicio, nell’interesse non solo della categoria della magistratura onoraria ma della collettività intera, è che la Politica si riappropri del suo compito e vigili attivamente e fattivamente sull’operato degli uffici ministeriali e si faccia essa stessa promotrice di iniziative legislative rispondenti alle esigenze della categoria ed ai principi dell’ordinamento nazionale e sovranazionale, ricomponendo il corretto rapporto fiduciario tra cittadino ed Istituzioni.
Per il Direttivo Assogot
Avv. Massimo Morgia