MARCO OMIZZOLO, EURISPES: BENE L’ATTENZIONE SULLO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI IMMIGRATI, MA PARLAVAMO DI DOPING GIÀ 10 ANNI FA

Come Eurispes, ci siamo occupati del fenomeno dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, – spiega Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore dell’Istituto – denunciando attraverso le nostre pubblicazioni e sul nostro magazine online, fin dal 2014, il problema dei braccianti dopati per affrontare lunghe ed estenuanti ore di lavoro. In particolare, ricordo il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”.

Eppure, solo oggi importanti testate giornalistiche presentano, quasi come uno scoop, il fenomeno del doping tra i lavoratori agricoli.

Il fatto che finalmente l’opinione pubblica venga informata sull’esistenza di fenomeni estremi come questo è di sicuro interesse e significativo, affinché episodi così gravi possano trovare emersione.

A mio parere, però, la circostanza è indicativa della scomparsa, dal dibattito, del tema di una più equa distribuzione della ricchezza nella catena del valore delle filiere produttive. Abbiamo lasciato che la società si dividesse in due a causa del divario tra lavoro tutelato e lavoro povero – non solo in agricoltura ma in tutti i lavori, compresi quelli intellettuali – caratterizzato da bassi salari, insufficienti al mantenimento del lavoratore e della propria famiglia e in contrasto con quanto sancisce l’art.36 della nostra Costituzione.

Qualcosa però si sta muovendo in Italia. Si pensi, ad esempio, alle diverse inchieste giornalistiche e giudiziarie sulla filiera degli articoli di lusso, in cui emerge la tendenza alla esasperata ricerca della minore retribuzione possibile per gli addetti alla produzione. Si pensi anche alla questione dei raider e al fatto che, quando parliamo di sfruttamento, questo non riguarda solo la popolazione immigrata, ma sempre più spesso una quota di italiani che vivono in particolare indigenza. Occorre, dunque, affrontare in sede culturale, politica, sindacale il problema di una più equa ripartizione della ricchezza creata. Con equilibrio, gradualità e concretezza. E con un approccio aperto che ci induca a credere che una comunità dove tutti possono coltivare la speranza reale e tangibile di stare, almeno, meno peggio, è una società più equa.

Da parte nostra, come Istituto, continueremo ad esplorare e osservare temi e fenomeni devianti o criminali presenti ma non emersi, per offrire il nostro contributo conoscitivo, al di là di falsi scoop.