In questo momento storico l’elaborazione dei percorsi di formazione assume rilievo particolare.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Scandicci, a Villa di Castel Pulci, per la cerimonia del decennale della Scuola superiore della magistratura. Dopo la Relazione introduttiva di Giorgio Lattanzi, Presidente della Scuola superiore della magistratura, sono intervenuti David Ermini, Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura e Marta Cartabia, Ministro della giustizia. La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente Mattarella.
La Scuola Superiore della Magistratura è il luogo privilegiato per percorsi formativi idonei a favorire il consolidamento della preparazione professionale, elemento vitale per un corretto svolgimento della funzione giurisdizionale.
Accanto allo scopo di approfondimento professionale, specifico dell’istituto, non sfugge a nessuno come due temi si affianchino in maniera non eludibile: da un lato la questione etica, dall’altro il ruolo significativo che la Magistratura riveste nell’ambito dello sforzo che la Repubblica sta compiendo per raggiungere gli obiettivi delineati nel Piano di ripresa e resilienza.
Le vicende registrate negli ultimi tempi nell’ambito della Magistratura non possono e non devono indebolire l’esercizio della “funzione giustizia” – essenziale per la coesione di qualunque società, anche della nostra comunità – attività, del resto, svolta quotidianamente, con serietà, impegno e dedizione, negli uffici giudiziari. Se così non fosse, ne risulterebbero conseguenze assai gravi per l’ordine sociale e un nocumento per l’assetto democratico del Paese. Ma occorre un ritrovato rigore.
Alla Scuola compete, in questa congiuntura, imprimere impulso alla consapevolezza di ogni magistrato dell’etica che deve accompagnarlo, dalla quale non si può prescindere per assicurare al cittadino la doverosa qualità e credibilità dell’Ordine giudiziario.
Anche la garanzia della sua indipendenza – elemento irrinunziabile nel modello della Costituzione – risiede nel prestigio che gli viene riconosciuto e, quindi, anzitutto nella coscienza dei cittadini.
È un terreno sul quale non sono ammesse esitazioni o incertezze: la Magistratura è chiamata, in questo periodo, a rivitalizzare le proprie radici deontologiche, valorizzando l’imparzialità e l’irreprensibilità delle condotte individuali; rifuggendo dalle chiusure dell’autoreferenzialità e del protagonismo.
In questa direzione deve muovere anche la riforma del C.S.M., non più rinviabile.
L’organo di governo autonomo, quale presidio costituzionale per la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura, è chiamato ad assicurare le migliori soluzioni per il funzionamento dell’organizzazione giudiziaria, senza mai cedere ad una sterile difesa corporativa.
L’attività del C.S.M., sin dal momento della sua composizione, deve mirare a valorizzare le indiscusse professionalità su cui la Magistratura può contare, senza farsi condizionare dalle appartenenze e dedicando particolare attenzione anche alla promozione della parità di genere.
Il dibattito sul sistema elettorale dei componenti del Consiglio superiore deve ormai concludersi con una riforma che sappia sradicare accordi e prassi elusive di norme che, poste a tutela della competizione elettorale, sono state talvolta utilizzate per aggirare le finalità della legge.
È indispensabile, quindi, che la riforma venga al più presto realizzata, tenendo conto dell’appuntamento ineludibile del prossimo rinnovo del Consiglio superiore.
Non si può accettare il rischio di doverne indire le elezioni con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili.
Sotto l’altro aspetto, anche la “funzione giustizia” è chiamata a concorrere per sostenere la ripresa del Paese, nell’ambito del processo di modernizzazione, per realizzare gli obiettivi indicati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
All’Ordine giudiziario compete un ruolo primario per affrontare una fase complessa sotto molteplici aspetti, che può essere superata concentrando gli sforzi sui traguardi comuni da raggiungere. Di questa fase, la Magistratura è, a sua volta, una protagonista.
Le risorse aggiuntive di mezzi e di personale previste rappresentano un’occasione, da non perdere, per innovare le modalità di esercizio della giurisdizione, in vista del raggiungimento dell’obiettivo dei tempi processuali come indicati nel Piano ed in linea con i parametri europei.
Il potenziamento dell’Ufficio del processo si pone, in questa prospettiva, come strumento diretto ad aumentare gli standard di produttività nella volontà di dare risposte alla domanda di giustizia in maniera più efficace e tempestiva.
Affinché ciò avvenga, occorre un significativo mutamento nelle modalità di svolgimento del lavoro giudiziario con l’adozione di un modulo organizzativo basato sulla collaborazione e sul confronto con altre figure.
La stagione di rinnovamento avviatasi con l’entrata in vigore della legge di riforma del processo penale è destinata a completarsi con le indispensabili modifiche al processo civile e all’ordinamento giudiziario.
Il coraggio del cambiamento è la sfida di fronte a cui si trova il nostro Paese, Magistratura inclusa. Sono convinto che si tratti di una sfida che essa saprà raccogliere, manifestando l’indubbia volontà di essere all’altezza della funzione essenziale che l’ordinamento democratico le attribuisce, ottenendo la fiducia che questa funzione merita.
Il contributo della Scuola si presenta fondamentale in questa direzione, attraverso l’elaborazione di corsi formativi capaci di sostenere un cambiamento organizzativo e di mentalità non più rinviabile.
La Costituzione garantisce, all’art. 2, i diritti della persona, e la connessa garanzia di giustizia è affidata alla Magistratura. Lo Stato democratico, fondato sull’uguaglianza e sulla pari dignità delle persone, si basa su questo principio.
La soggezione del giudice soltanto alla legge costituisce garanzia in questa direzione.
Nella storia della Repubblica, la Magistratura ha avuto un ruolo significativo nell’accompagnare l’evoluzione della società, assicurando la tutela di diritti individuali, a volte sollecitando il Parlamento, anche attraverso l’attività ermeneutica, con il richiamo a principi e valori contenuti nella Costituzione.
L’esercizio della giurisdizione è stato sempre influenzato dalle sensibilità del contesto storico-sociale. Pertanto oggi, ancor più che in passato, le decisioni della Magistratura devono essere “comprensibili e riconoscibili” e, per essere tali, vanno improntate ai canoni costituzionali della ragionevolezza e dell’equità, valori che devono guidare nel giudizio.
L’intervento della Magistratura comporta sempre delle conseguenze. La preoccupazione di esse non può determinare o frenare l’azione giudiziaria. È proprio tale consapevolezza a dover guidare il magistrato nell’applicazione della legge, che va calibrata per le implicazioni del caso concreto sia sul singolo che sull’intero tessuto sociale. Va sempre avvertita appieno la necessaria e delicatissima responsabilità – affidata dalla Repubblica – di iniziative o di decisioni che incidono sulla vita e sulla dignità dei cittadini. Ciò deve valere in ciascuna fase processuale, non soltanto in quella della deliberazione conclusiva.
In questa prospettiva, l’applicazione delle norme va sempre responsabilmente orientata ad assicurare una risposta giudiziaria puntuale, che consideri le varie esigenze, senza perdere di vista il loro contesto e l’interesse generale in cui incidono. Per questo il giudice deve conoscere il fatto e le norme, e saper inquadrare la specificità e la complessità del caso alla luce dei principi costituzionali.
L’emergenza pandemica – dalla quale potremo uscire soltanto grazie al completamento della campagna vaccinale – ha reso ancor più evidente l’irrompere – anche nelle aule di tribunale – di istanze individuali alla ricerca di risposte con attese sovente contraddittorie. Al giudice compete trovare soluzioni ancorate al diritto positivo e, al contempo, correttamente declinate in ragione della loro incidenza sull’intera società.
La considerazione dei valori in rilievo non può che avvenire, infatti, facendo applicazione del canone della ragionevolezza, funzionale ad ancorare la decisione al sistema dei principi delineato in Costituzione, nell’ambito del quale si collocano anche i poteri attribuiti alla Magistratura che li esercita con autonomia e indipendenza.
Queste prerogative, tuttavia, non possono mai essere intese come una legittimazione per ogni genere di iniziativa o di decisione, ma rappresentano la difesa da influenze esterne affinché il magistrato utilizzi il suo bagaglio culturale per assicurare la più efficace attuazione del diritto. Interpretazione, infatti, non può voler dire né arbitrio né, tanto meno, una mera esercitazione intellettuale: è sempre la norma – correttamente inserita nella cornice valoriale delineata in Costituzione – a dover perimetrare l’ambito di riferimento della giurisdizione per l’affermazione del diritto e della giustizia.