Messina – Si rende noto che in data 17 febbraio 2023 è stato presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte Edu) avverso la sentenza n. 378/2022 della Corte di Cassazione conclusiva del procedimento penale Ghota 6. L’avv. Giuseppe Lo Presti, procuratore di un proprio assistito in detto procedimento, unitamente all’avv. Francesco Torre, che lo ha coadiuvato nella stesura dell’atto di ricorso, intendono porre all’attenzione della stampa le seguenti considerazioni.
Il processo Ghota sei è balzato agli onori della cronaca per aver contribuito ad assicurare alla giustizia i vertici dell’organizzazione mafiosa barcellonese. Non è, però, noto ai più che il procedimento Ghota sei si è svolto in plateale violazione delle regole che governano il processo penale.
Ed invero, dopo oltre due anni di udienze e centinaia di testimonianze trascritte in oltre 6.000 pagine di verbali, all’udienza del 31 maggio 2019 il Presidente del Collegio della Corte di Assise di Messina, veniva sostituito con altro Presidente.
In origine il codice di procedura penale prevedeva che solamente il Giudice che aveva assistito al processo personalmente ed aveva quindi ascoltato e veduto direttamente i testimoni, poteva emettere sentenza. Pertanto, cambiare il giudice durante un processo, comportava la necessità di risentire tutti i testimoni.
Successivamente, con l’introduzione dell’art. 190 bis c.p.p. e con l’orientamento assunto dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, il principio di buon diritto sopra ricordato è stato sacrificato proprio per consentire la celebrazione di maxiprocessi ed evitare così l’impegno di più collegi e più magistrati (il cui numero ci si ostina a non aumentare) che invece sarebbero stati necessari per celebrare più processi (anziché un solo maxi) snelli e veloci.
Celebrare un maxiprocesso, atteso il tempo necessario, poteva ben comportare la sostituzione di un Giudice e di conseguenza, l’allungamento dei tempi processuali, la rinnovazione delle testimonianze davanti al nuovo Giudice e conseguentemente la eventuale scarcerazione di possibili colpevoli (presuntivamente innocenti) per la perenzione dei termini di custodia cautelare.
Ma questa conseguenza andava evitata proprio evitando di istruire maxiprocessi e disponendo, invece, più processi attraverso l’aumento dell’organico della magistratura, invece che, al contrario, eliminare, il sacrosanto diritto di essere giudicati da chi ha assistito personalmente e direttamente alla formazione della prova.
Addirittura, poi, con il processo Ghota 6, si è violata anche l’attuale disciplina che consente, alla difesa, in caso di sostituzione del Giudice, di chiedere un idoneo termine di sospensione del processo per verificare specifiche esigenze di risentire i testimoni allegando fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni.
Come appare evidente anche al comune cittadino, di fronte ad una tale mole di testimonianze sarebbe stato impossibile, riuscire ad effettuare la verifica consentita dalla legge senza la concessione di un termine a difesa – sollecitato dall’avv. Lo Presti nonché da altri difensori – per poter accuratamente studiare le carte ed, eventualmente, proporre integrazioni probatorie.
La stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza Bajrami) ha riconosciuto pacificamente un tale diritto, che è stato, però, negato nel caso di specie dalla Corte di Assise di Messina, con ordinanza del 31.05.2019, senza fornire alcuna legittima spiegazione.
Negato tale termine, il Collegio rilevava che nessuna delle parti aveva proceduto (ex abrupto) alla consentita verifica (6000 pagine), e, riteneva di non procedere ad alcun nuovo esame, rinnovando solo formalmente l’istruttoria ossia disponendo una finzione giuridica attraverso la quale si presumono risentiti in una udienza tutti i testimoni ascoltati in due anni di processo.
Il nuovo Giudice partecipava, quindi, alla decisione di un processo senza avere personalmente udito e veduto tutti i testimoni d’accusa e la gran parte di quelli della difesa.
È su tali doglianze che si fonda il ricorso alla Corte EDU presentato dall’avv. Giuseppe Lo Presti, coaudiuvato dall’avv.Francesco Torre, ossia il mancato rispetto dell’art.6, par. 1 e 3 lett. b) e d) della Convenzione Europea dei Diritti dell’UOMO.
La ragione giustificatrice della rinnovazione della prova, infatti, si fonda, sulla opportunità di mantenere un diverso e diretto rapporto tra giudice e prova non garantito dalla semplice lettura dei verbali. E’ ,cioè, fondamentale che vi sia la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati, che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio (così ord. 205/2010 della Corte Costituzionale).
La violazione dei diritti di difesa prima, e del principio di immediatezza poi, sono la rappresentazione della assenza nei Tribunali Italiani di quella cultura giuridica liberale ed europea formalizzata nella Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, assenza che ha comportato un enorme spreco di risorse ed energie nella celebrazione del processo.
Siamo certi che la Corte di Strasburgo, avulsa da logiche di mera “economia processuale” e sensibile alle questioni sollevate, e già attenzionate da illuminata giurisprudenza , colga la gravità delle violazioni commesse nella celebrazione del procedimento, determinando, per conseguenza, la revisione del processo.
Avv. Giuseppe Lo Presti
Avv. Francesco Torre