La serenata della borghesia messinese a Cateno De Luca è forse soltanto uno dei tanti paradossi che Messina regala ai cittadini nel tempo del Coronavirus. Sotto il peso dell’emergenza Covid 19 la città dei ricchi ha dato il suo placet al matrimonio con l’uomo di Fiumedinisi che, dopo aver conquistato Palazzo Zanca, punta decisamente a guidare la Sicilia. Direte forse…ma in fondo è normale per un luogo dove gli abitanti sono bollati come buddaci…
E invece questo strano sposalizio rappresenta lo scenario più gradito al cosiddetto centro – destra e a quella larga parte di establishment che si sta adattando al vento che sembra soffiare sullo Stretto, colpa anche della mancanza di personaggi autorevoli nelle istituzioni. Il popolo bue alla fine si adegua: l’importante che il vincitore prometta pasta e dolci! Nell’andazzo sono accomunati tutte le ideologie, tutti i cosiddetti partiti. Basta vedere cosa è successo in Consiglio comunale: il marchingegno del sindaco De Luca è stato talmente geniale nella sua semplicità che forse meritava di essere brevettato. E poi non è forse vero che il tradimento ce l’abbiamo nel DNA? Di questo e di altro ne parliamo con Giuseppe Billè, attento osservatore dei fatti di casa nostra che senza peli sulla lingua spiega come si vive a Messina sotto la cappa della finta democrazia partecipata: dove per evitare vendette della gente ci si imbosca nei corridoi di Palazzo. O si va dietro al pifferaio magico di turno.
Giuseppe Billè, in redazione spesso arrivano email di giovani che manifestano delusione verso le istituzioni. Si sentono inutili, senza energia e soprattutto senza una via di uscita. In pratica, sostengono, che in mano non hanno nulla di concreto dopo aver investito tanto nello studio e nella formazione.
I giovani soffrono l’apatia di una città che non li coinvolge mai del tutto in attività di interesse collettivo, civile, sociale, culturale e sportivo a loro strettamente destinati. Non ci sono più le segreterie di partito, le Acli o gli oratori, i giochi in piazza o nelle strade, vere fucine di conoscenza e di vita per uomini e donne, centri veri di aggregazione e confronto che alimenterebbero la conoscenza di sé e degli altri. Professionalmente e di lavoro offre poco o nulla se non precariato, sfruttamento e lavoro nero per quanto riguarda il lavoro “privato”, nel pubblico contano molto le conoscenze e la “famigghia” più del merito e della preparazione, per questo molti ragazzi, quelli che riescono a laurearsi visto che l’ascensore sociale è oramai fermo da tempo, preferiscono lasciare la città. Questo è un ulteriore impoverimento per il territorio, la città e per l’economia. Hanno ragione, questo rispondo, e le istituzioni non fanno nulla per invertire questo sentimento di disagio dei giovani, solo parole.
Messina quante possibilità ha di rialzarsi?
Messina ha le stesse possibilità di rialzarsi di quelle di tutte le altre città e della nazione. Non lasciamoci ingannare dalla produttività e della crescita economica di certe zone del nostro paese, che poi sono sempre le stesse tranne qualche caso. La situazione di Messina come della Sicilia o del Sud in generale, è strettamente legata a doppio filo allo Stato, al Governo centrale e poi all’Europa. La EU ci controlla finanziariamente ed economicamente, se non si parla di questo è inutile discutere di altro, tutte le possibili scelte di investimento per far decollare Messina, la Sicilia e il Sud e tutto il Paese hanno bisogno un unico comune denominatore, lo Stato. Senza uno Stato che emetta la propria valuta e quindi dia margini di impiego di fondi per approntare e organizzare una ristrutturazione totale del Paese, ci sarà sempre un “sud”, se prima eravamo il meridione d’Italia, adesso l’Italia è il meridione d’Europa.
Cosa ama in particolare di questo luogo?
Di questo luogo amo le “radici” che mi tengono saldo alla mia esistenza. Qui è la mia casa, la casa di mio padre e dei miei nonni, qui è la mia essenza di uomo e di persona, questo è il luogo in cui se solo si volesse tutto sarebbe possibile.
Cosa invece le dà più fastidio?
L’omertà, la “mafia”, non la piccola delinquenza che si trova dappertutto, la mafia quella dei colletti bianchi e dei “prenditori” dello Stato, quella che siede nelle istituzioni, quella che ne sfrutta le pieghe per prendersi tutto o gestirlo in nome dello Stato, quella che allo Stato non si oppone ma si adegua. Infastidisce il modo in cui la politica e le istituzioni mantengano sacche di persone e di cittadini entro recinti fatti di baracche, ignoranza, divisioni, ghetti, tenuti apposta e da dove possono e prendono il consenso manipolato o “acquistato”, mi danno fastidio le corporazioni fatte da personaggi altezzosi, buonisti, classisti e che danno mance o buste di spesa solo per tenersi distinti e distanti dalla plebe e tenerla al guinzaglio ed eliminare ogni possibile velleità dai loro cuori e dalle loro menti di potersi ribellare.
Come siamo messi con l’informazione?
L’informazione tranne qualche caso non esiste. E’ solo “formazione” del consenso o del “dissenso” secondo ciò che più serve ai padroni dei giornalini o di certi “blog”. Legati a mandata doppia la necessità, anche per loro di dover mangiare e quindi di avere un reddito che è fornito dalle pubblicità che riescono ad avere nei propri giornali. Non si fanno domande, specie quelle scomode, ci si limita a scrivere direttamente le comunicazioni che le istituzioni o la politica decidono di dare, e poi li vedi tutti insieme a farsi selfie, agli apericena, agli avvenimenti mondani costruiti all’uopo e che no servono a nessuno se non a esaltare la loro immonda “immagine”.
Cosa rimane delle vecchie e buone ideologie di un tempo?
Delle ideologie di un tempo purtroppo rimane poco pochissimo. Anche quelle servivano a confrontarsi sui diversi modi di intendere la politica, sui diversi e molteplici modi di intendere la politica ad uso e consumo della collettività, ad indirizzarla, istruirla, metterla a conoscenza. Alle decisioni che l’uso di una piuttosto che l’altra avrebbe avuto a ricaduta sulla nazione, sullo Stato sui cittadini, la politica quella intesa necessaria a garantire la crescita civile, sociale ed economica del proprio paese, quella che come fine ultimo aveva il benessere dei cittadini. Ma hanno tolto le piazze, la strada, le segreterie e tutti quei luoghi di aggregazioni veri, fisici, reali, e li hanno sostituiti con il confronto e la piazza virtuale che avrebbe dovuto arricchirci e metterci ancora più in contato, invece ci ha divisi fisicamente, manca il contatto, mancano mani che si incrociano e sguardi che si incrociano, vite in sospeso, virtuali.
Alla sua età non s’è stufato di fare il rivoluzionario?
Rivoluzionari lo si è nell’anima. Si può imparare e si deve imparare la moderazione, ma essere rivoluzionari o ribelli non è un lavoro o una scelta. E’ un moto dell’anima, è non piegarsi e non zittirsi davanti alle ingiustizie, è non abbassare lo guardo davanti le violenze di qualunque colore o genere siano. E’ non accontentarsi, non chiudere un occhio, è metterci la faccia sempre. Io ho scoperto di esserlo quando, in prima media, in quella che era un ottima scuola ma c’erano dei gruppetti pericolosi e più di qualche bullo, a quei tempi essere gay non era semplice, e non era consigliabile che si venisse a sapere, un ragazzino di seconda media lo era, ed era preso sempre di mira, un giorno durante la ricreazione assistetti a qualcosa che mi fece ribollire il sangue, non stesi zitto e picchiai i due che lo avevano fatto mettere a piangere e impaurito nel cesso della scuola. A quel tempo per i miei compagni ero “rivoluzionario”, in quanto difendevo un “ricchione” sulla quale quasi tutti scaricavano le loro umiliazioni approfittando di quel ragazzo, e quindi ero contro il pensiero “unico” del tempo.