“La piazza è mia. La piazza è mia.” Mi dispiace per il mio amico Lino Santoro. La sua iniziativa era ed è di retroguardia.
Ha fatto bene il Sindaco a ingranare la retromarcia su Piazza Cairoli. Solo i cretini non cambiano opinione.
Vi sono, in verità, cretini che per inseguire le tendenze dei “mi piace” si infilano in strade, a senso unico, con unica corsia, senza uscita per poi fare marcia indietro alla conta dei pollici verso.
Piuttosto, perché mi limito a dire Piazza Cairoli senza aggiungere “isola”?
Perché isola non è. In questo Lino Santoro ha ampiamente ragione. Non è isola pedonale nessuno spazio interdetto al traffico veicolare con transenne (fisiche o figurate). Lo sarà – forse – per il codice della strada. Non lo è, per la polis, in mancanza di progetto urbano di riqualificazione, decoro, animazione.
L’isola pedonale è molto di più di una area vocata al passeggio e allo shopping. È molto di più di una delibera per ridurre le emissioni inquinanti dell’aria nel rapporto tra percorsi e parcheggi, tra piani di mobilità e strumenti di pianificazione urbanistica, tra mezzi di trasporto privati e pubblici, tra passi e sottopassi, tra mercati e destinazioni commerciali naturali, tra negozi, architetture storiche e musei a cielo aperto, tra vivibilità e viabilità.
Una isola pedonale scandisce il tempo della Città, offre spazio identitario, genera occasione e appeal di agorà.
Su questo cittadini e commercianti, unitamente a tutti i portatori di interesse diffuso (i c.d. stakeholder) nel dialogo interno ed esterno ad associazioni e movimenti, sindacati e partiti, relazionandosi con le Istituzioni dovrebbero interrogarsi con contributo “partecipativo”.
Avevo, appena qualche giorno fa, consigliato a Lino Santoro di non insistere. Piuttosto, di avviare il dibattito su una provocazione. La realizzazione, nel rapporto tra territorio, residenti e ospiti della più grande isola pedonale di Italia. Una isola pedonale da Villa Dante a Piazza Castronovo capace di intersecare Piazza del Popolo, Piazza Università, Piazza Duomo, Piazza Municipio, Piazza Antonello, Villa Mazzini, Piazza Don Vincenzo, Piazza Casa Pia. Una follia? Forse si. Come folle era l’idea di Giovanni Ardizzone sulla zona falcata, di Alessandro La Cava sulla Cortina del Porto, di Gianfranco Scoglio e Pippo Ricciardi sul P.I.A.U. (dal Cavalcavia al Zaera se non a Gazzi), di Alessandro Tinaglia sulla Messina Città di luce e mare, di Enzo Garofalo e Mario Chiofalo di prosecuzione dell’area fieristica da consegnare alla fruizione pubblica ben oltre la rada San Francesco, di Benedetto La Macchia sulla Mortelle -Tono, di Pippo Prananica sulla liberazione dalla servitù militari, demaniali e soprattutto ferroviarie, di Pino Falzea sul consumo di suolo zero con proiezioni in verticale. Tra le follie, mi sento, di rammentare lo sbaraccamento e il risanamento ripreso da Cateno De Luca e Marcello Scurria.
Mi scuseranno gli altri folli non contemplati. Questi e altri folli sono stati lasciati soli o si sono lanciati in fughe in avanti. Inopinatamente, stupidamente.
Inopinatamente, stupidamente Messina non si è ancora strategicamente e strutturalmente conformata all’essere porta della Sicilia e crocevia di binari e corridoi di culture e religioni diverse del Mediterraneo e Continenti distinti. Questione – per buona pace sia del #noponte che del #siponte – che prescinde concettualmente dalla realizzazione o meno dell’opera di collegamento stabile.
Mutuando da Pippo Campione … “la Città ci garantirà quello che ci ha promesso”. La geografia del contesto urbano si farà storia … la nostra storia?
Di cosa parliamo? Non ci crederete. Di qualità della vita? Non solo. Di produzione di beni immateriali, di marketing territoriale, di commercio, di turismo, di accoglienza e ricettività? Non solo. Di crescita, sviluppo, lavoro? Non solo. Di “A”mministrazione e “P”olitica … sine qua non.
Emilio Fragale