Messina per me è sempre quella in cui sono stato nella mia giovinezza, una bellissima città su cui si è soffermato benevolo e generoso lo sguardo di Dio, con problemi magari che si trascinavano fin dal terremoto del 1908.
di Andrea Filloramo
Rispondo a quanti attraverso email mi invitano a scrivere ancora su ImgPress
Sicuramente riprenderò la scrittura non appena mi libererò dall’impegno di portare a compimento la pubblicazione di un mio libro, che presenterò al più presto a Messina.
Continuerò quindi a scrivere su quanto avviene in quella che ho sempre considerato la mia città dove sono nato, dove riposano i miei genitori e dove, dopo tanti anni vi è ancora chi mi vuole bene e mi segue leggendomi.
Nei confronti di questa città provo una profonda nostalgia che consiste, come scrive Freud nel “desiderio di tornare ad una luogo nascosto, rielaborato, contaminato da ricordi che si perdono nell’inconscio”.
Messina per me è sempre quella in cui sono stato nella mia giovinezza, una bellissima città su cui si è soffermato benevolo e generoso lo sguardo di Dio, con problemi magari che si trascinavano fin dal terremoto del 1908, con cittadini per lo più ignavi. Uso questo termine nel senso che dà Dante Alighieri nella Divina Commedia ai peccatori che incontra nell’Antinferno. Si tratta di coloro che, durante la loro vita, non hanno mai agito né nel bene e né nel male, non hanno mai avuto idee proprie, ma si sono solamente schierati con il più forte.
Tuttavia nel passato, mai la città si era ridotta a quella che è oggi, un grande paese di provincia dal quale tutti fuggono, senza infrastrutture che dovrebbero favorire il turismo, vocazione prima di una città che si affaccia sullo Stretto, una città che è diventata una discarica a cielo aperto, con le strade dissestate, con una corruzione che la stessa magistratura non riesce a scalfire, ferita da una speculazione edilizia che non ha pari nelle altre città.
Basta guardare alla vallata dell’Annunziata, dove sono nato e cresciuto, dove l’invasione del cemento ha cancellato “terrazze collinari” che s’affacciavano sui due mari ma ha lasciato intatte le baracche che da 110 anni sono sempre là a denunziare che per i messinesi è impossibile pensare che nulla può e deve cambiare, anzi che «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima», come nel romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e come sempre è avvenuto con le diverse amministrazioni di colore anche diverso alle quali i messinesi hanno consegnato le sorti della città.
Fra qualche mese i messinesi saranno chiamati alle urne per scegliere il sindaco. Auguro che la scelta sia un chiaro segno di cambiamento che aiuti a guardare il futuro con speranza.