Nella sua relazione di inizio mandato e in vari comizi pubblici il sindaco De Luca ha puntato i riflettori, con estrema decisione e insistenza, su alcune questioni che in una moderna ed evoluta comunità cittadina rivestono particolare importanza per i risvolti sociali, etici ed economici in esse insite.
Tralasciando i punti nodali della citata relazione che riguardano il Piano di riequilibrio, il funzionamento della macchina comunale, il rapporto con il Consiglio comunale, le partecipate e i rapporti coi sindacati, da questo osservatorio vogliamo concentrarci sul tema dei Servizi sociali.
Da che mondo e mondo la politica, nel momento in cui si ritrova invischiata in difficoltà economiche o di quadratura di conti che non tornano, una tra le prime operazioni che compie è tagliare la spesa sociale. Pare che anche l’amministrazione De Luca non voglia sfuggire a questo principio di malcostume politico – sociale oramai ben collaudatoe i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Ma non vogliamo fermarci ad analizzare superficialmente le mosse del sindaco De Luca perché, dinnanzi a una analisi precisa e circostanziata sul dissesto dei conti comunali, difetteremmo quanto meno di lealtà e questo non ci pare corretto. Anzi vogliamo contribuire a dare un apporto significativo alla revisione e alla ricerca di nuove soluzioni nella gestione del welfare comunale.
Nell’attesa di comprendere se effettivamente il welfare cittadino pesi sul bilancio per 18 milioni di euro, come sostiene la vecchia amministrazione, o per 55 milioni, come sostiene De Luca nella relazione di inizio mandato, forse è più opportuno porsi una domanda in funzione di un cambio di passo per ciò che riguarda il welfare. La domanda che la nuova giunta comunale deve porsi è: ma in una comunità è solo l’amministrazione pubblica che produce servizi di welfare?
Dal nostro osservatorio riteniamo proprio di no, anzi auspichiamo che si possa finalmente giungere a un modello di “città zero gare” nella quale il welfare non sia appannaggio esclusivo della pubblica amministrazione, ma ad esso collabori l’intera comunità.
In parte condividiamo la critica al modello di gestione di servizi affidato a realtà sociali che per forza di cose sono divenute paraistituzionali, di certo però non riteniamo che la soluzione più adeguata sia internalizzare totalmente il settore, piuttosto crediamo necessario avviare un percorso che conduca da un modello basato sul paradigma competitivo a un modello che poggi il proprio fondamento sul paradigma collaborativo.
Una ridefinizione efficace del welfare cittadino oggi non può prescindere dalla recente Riforma del Terzo Settore la quale, ferme restando le caratteristiche fondamentali che ispirano l’azione della pubblica amministrazione, pone gli Enti pubblici con responsabilità istituzionali dinnanzi a un bivio rispetto al rapporto con gli Enti di Terzo settore.
Da un lato si può continuare a muoversi nell’ottica dell’affidamento di servizi verso un fornitore e quindi nell’ottica di una competizione tra soggetti tra loro concorrenti e controinteressati rispetto alla pubblica amministrazione, viceversa, muovendo dall’identità di finalità tra Enti pubblici e Terzo settore, ribadita dalla Legge 106/2016, ci si può orientare a intraprendere un percorso fatto di relazioni collaborative promosse dalla pubblica amministrazione al fine di includere, entro gli orientamenti delle politiche pubbliche, e auspicabilmente integrare tra loro, le risorse del territorio; ciò significa, nella pratica, dare vita ad un lavoro comune tra Enti pubblici e Enti di Terzo settore per condividere la lettura dei bisogni, definire gli obiettivi, elaborare la programmazione degli interventi, individuare le risorse a tal fine necessarie, per giungere quindi alla progettazione e infine alla realizzazione di concreti interventi sociali.
Da un punto di vista amministrativo le possibilità richiamate fanno riferimento a due differenti impianti legislativi, al D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), per quanto riguarda l’acquisto di servizi tramite gare d’appalto, e alla Legge 241/2016, sul procedimento amministrativo, per ciò che concerne gli strumenti collaborativi: queste due opzioni sono a fondamento di azioni amministrative che differiscono in modo sostanziale per presupposti e intenti, in un caso coerenti con un paradigma competitivo, nell’altro con un paradigma collaborativo.
I motivi dunque per i quali la collaborazione tra pubblica amministrazione e Enti del Terzo settore costituisce un esito auspicabile sono molteplici e riguardano sia i vantaggi della collaborazione che gli svantaggi della competizione. Inoltre i paradigmi collaborativi, oltre ad avere ricevuto un indubbio rafforzamento dalla Riforma del Terzo settore, sono fortemente radicati nella storia dei servizi del nostro Paese attraverso la L. 328/2000 e il successivo d.p.c.m. del 30 marzo 2001 che delineano lo strumento delle istruttorie di coprogettazione per servizi sperimentali e innovativi, strumento questo riconosciuto, nella sua legittimità, anche dall’ANAC.
Ma le istruttorie di coprogettazione originate dalla 328/2000 non sono l’unico strumento collaborativo al quale si può ricorrere: si possono immaginare altri strumenti quali patti di sussidiarietà, regolamenti per l’amministrazione condivisa di beni e servizi e tutta un’altra serie di opportunità consentite dalle leggi in vigore che possono davvero trasformare la fisionomia del welfare comunale aiutando il sindaco De Luca e la sua amministrazione a non essere ricordati come coloro che hanno compiuto “macelleria sociale”.
La qualificazione degli enti operanti nel Terzo settore è un elemento di sostegno e di semplificazione dell’azione amministrativa, rendendola al contempo efficace e efficiente rispetto agli obiettivi di benessere sociale che un welfare moderno deve necessariamente contemplare e perseguire.
Per mettere a posto i conti legati al welfare non è dunque necessario muoversi su un piano burocratico – centralista, tagliando e riducendo i servizi sociali, al contrario si possono innescare virtuosi processi di sussidiarietà tali da rendere protagonista la società, qualificare la spesa pubblica e allo stesso implementare l’erogazione dei servizi rivolti alle persone.
In queste ore nelle quali il primo cittadino, on. Cateno De Luca, è costretto a prendere decisioni importanti per la nostra città riteniamo utile stimolare il dibattito attorno ai temi del welfare evidenziando come ogni euro speso dal Terzo settore per il sociale ha un ritorno di circa sette euro di cui beneficia l’intera comunità.
Nicola Currò